Cosa cambia dopo il 16 dicembre se l'articolo 18 diventa Legge? (VIDEO)
La canapa industriale rappresenta un settore in crescita con enormi potenzialità per l’economia italiana. Tuttavia, l’articolo 18 del DDL Sicurezza minaccia di ostacolare questo sviluppo. Ne abbiamo parlato con gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio dello Studio Legale Miglio-Simonetti di Roma nella rubrica Un caffè con… che Soft Secrets dedica agli approfondimenti
Il 28 novembre si è concluso l'esame degli emendamenti al "Disegno di Legge per la Sicurezza" già approvato alla Camera il 18 settembre. Ora tocca a Palazzo Madama che dovrà licenziarlo in via definitiva.
Il giorno della verità sarà il prossimo 16 dicembre, quando il Tribunale Amministrativo entrerà nel merito di tutti i ricorsi contro questo decreto che sta facendo molto discutere perché, in linea con la svolta autoritaria del Governo Meloni, introduce misure mirate a potenziare la repressione, inasprendo pene già esistenti e istituendo nuovi reati legati all’ordine pubblico su temi come il diritto alla casa, il diritto di sciopero, i migranti e le fasce più vulnerabili della nostra società.
Tra questi anche il divieto della cannabis light deciso dall’articolo 18 che andrebbe a danneggiare una filiera affermata e in crescita nel nostro Paese, ignorando i benefici economici e ambientali che questa coltura rappresenta e le migliaia di imprenditori che hanno creduto e investito in questo campo.
Cosa cambierebbe dopo il 16 dicembre e cosa rischierebbero gli imprenditori del settore canapicolo se l’articolo 18 diventasse Legge?
È quanto abbiamo chiesto agli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio con cui abbiamo fatto il punto della situazione per evidenziare le storture del disegno di Legge, i problemi che causerebbe e le possibili ancore di salvezza a cui appigliarsi.
“Se entrerà in vigore questa Legge gli imprenditori e i commercianti che vendono il fiore di cannabis, senza avere una destinazione alimentare, tessile, cosmetica o farmaceutica, non saranno più titolati a vendere, anzi commetteranno un reato ai sensi dell’articolo 73 del Dpr 309 del 1990” è quanto ci espone subito l’avvocato Miglio per chiarire l'assurda situazione in cui si ritroverebbero, dall'oggi al domani, moltissimi imprenditori, tra cui tanti giovani, che anni fa hanno deciso di dedicarsi a questa coltura e alla vendita di cbd.
L’alternativa a questa situazione, infatti, per molti sarà la chiusura dell’attività, perché chi andrà a rischiare investimenti, lavoro, tempo, per un’attività che dovrà essere chiusa?
E tutto questo è ispirato da quanto espresso nel comma 1 dell’articolo 18, cioè evitare che l'assunzione di prodotti costituiti o contenenti infiorescenze di canapa, possa esporre a rischio la sicurezza e l'incolumità pubblica attraverso l'alterazione dello stato psicofisico.
“Questo è il vero motivo per il quale il legislatore italiano vieta la produzione e la commercializzazione delle infiorescenze” spiega Lorenzo Simonetti.
“Non perché esiste una normativa europea, qui si crea un “motivo di inventio” in relazione a tutta un'altra normativa che è quella del codice della strada, quindi un aggancio tra un prodotto agricolo di libera circolazione e un altro ambito normativo che è quello del Codice della Strada” continua l'avvocato, sottolineando come il Governo si stia approcciando al tema della cannabis in maniera assolutamente grave legando argomenti che non c'entrano niente l’uno con l’altro. Secondo Simonetti infatti, l'infiorescenza di canapa industriale servirebbe per legittimare un altro disegno di legge che andrebbe a sopprime lo stato di alterazione, rendendo sufficiente lo stato di assunzione a commettere reato, un reato che invece, ad oggi, solo con lo stato di assunzione non potrebbe sussistere.
Quello che rimarcano con forza gli avvocati è che l'unico modo del Governo per derogare al diritto dell'Unione Europea è quello di salvaguardare la salute pubblica, disinteressandosi di quello che succede in Europa sul tema delle infiorescenze di canapa in nome della paura per la sicurezza pubblica.
“Il problema è proprio questa paura” spiega Miglio, che si chiede su cosa sia fondata.
“Questo è un tema che chiaramente esula da competenze giuridiche ma esula anche da competenze del legislatore che non siano agganciate a dati scientifici. Ci dovrebbero essere, cioè, dei dati tecnici, scientifici e tossicologici che dimostrino questa paura”.
E questi dati effettivamente non ci sono.
Stiamo parlando, quindi, di una norma che contrasta in maniera chiara con il dettato dell'Unione Europea perché le infiorescenze che provengono da sementi certificate sono un prodotto agricolo commercializzato in tutta Europa e l’Italia sarebbe l’unico Paese a vietarle.
E come sottolinea Simonetti, qui non si sta discutendo neanche della percentuale di Thc consentita ma si sta parlando di divieto assoluto.
“Il problema" continua l'avvocato Miglio "sarà di quegli imprenditori che nel momento in cui entrerà in vigore questo articolo 18, non potranno attendere probabilmente 2 - 3 anni per una causa risarcitoria”.
“Intanto dovranno attendere il giudice italiano che voglia sollevare la questione o in Corte Costituzionale o fare una pregiudiziale in Corte Europea. E poi purtroppo, bisognerà considerare anche le tempistiche che evidentemente non vanno di pari passo con quelle dell'imprenditore che dall'oggi al domani dovrà dismettere la commercializzazione di fiori senza una destinazione chiara consentita avendo sicuramente un danno notevole”.
“I rimedi naturali dal punto di vista giuridico potranno essere fondamentalmente due” spiega Simonetti.
“Innanzi tutto, posto che da un momento all'altro l'articolo 18 scalza via una serie di interessi economici che dal 2016 si sono stabiliti, riteniamo che ci siano tutti i presupposti, chiaramente caso per caso, per proporre una causa di risarcimento danni nei confronti dello Stato per non aver permesso a tutti gli imprenditori, dagli agricoltori ai commercianti all'ingrosso, di mettersi nelle condizioni di adeguarsi, dando un'aspettativa imprenditoriale che è stata frustrata dalla soppressione della parola infiorescenza. Per quanto riguarda, invece, la tutela della classe imprenditoriale, dovremo rivolgerci all'Europa. L'articolo 34 e l'articolo 36 del trattato del funzionamento dell'Unione Europea garantiscono la libera commerciabilità e la libera circolazione di prodotti agricoli, tra i quali rientrano anche le infiorescenze, a certe condizioni, e la gravità di questo disegno di legge è il fatto che non è che viene richiamato la soglia dello 0,3% di THC della normativa europea, ma viene tout court eliminata la possibilità dell'infiorescenza. Questo è il motivo che ci permette di andare in Corte tramite il giudice italiano”.
Come sappiamo la Commissione Europea è già stata interpellata, grazie a Canapa Sativa Italia e alle associazioni di settore, per rendere osservazioni sul tema.
Ci associamo alla speranza degli avvocati di un ripensamento del legislatore o come conclude Miglio “quantomeno in una pregiudiziale, cioè che il Parlamento, prima di lanciarsi nel baratro, suoni il campanello dell'Europa per chiedere la conformità di un simile disegno di legge al diritto dell'Unione Europea. Questa è la speranza più concreta che possiamo trasmettere” .
Intanto, in attesa di quanto accadrà il 16 dicembre, l’appuntamento è per il 14 a Roma, per la manifestazione nazionale contro il Ddl Sicurezza del Governo Meloni, organizzata dalla “Rete a pieno regime - no Ddl Sicurezza”
“Vogliamo fermare questo attacco alla democrazia. La nostra mobilitazione continuerà anche nei giorni in cui il Ddl approderà in aula. Con pratiche diverse, faremo in modo che questo attacco ai diritti fondamentali non diventi legge”
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