1,5 kg di Cannabis per il mal di schiena, assolta

Marco Ribechi
24 Oct 2022

Scoperta a cedere Cannabis nel parco la polizia perquisisce il suo appartamento dove sbuca fuori oltre un chilo e mezzo di Cannabis confezionata in diversi formati. Ma la dimostrazione di non essere coinvolta in operazioni di spaccio è bastata alla donna per essere assolta in primo grado


Cannabis in Italia, Milano continua ad essere la stella polare verso il progresso e contro l’inutile proibizionismo. Dopo la sentenza dell’insegnante trovata con 750 g di Cannabis e tre piante già sviluppate la città lombarda dispensa ancora una volta insegnamenti per il resto d'Italia. Questa volta ad essere protagonista è una donna di 33 anni al centro di una processo che ha dello straordinario. Infatti, non solo la donna al momento del fermo era sprovvista di ricetta medica, non solo veniva colta in flagrante dagli agenti durante la cessione di uno spinello ma addirittura, al momento della perquisizione del suo appartamento, venivano rinvenuti circa un chilo e mezzo di Cannabis di alta qualità. Nonostante ogni premessa sembrasse portare verso un risultato ovvio gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio sono riusciti a vincere la causa chiusa dal giudice con il consueto “Il fatto non sussiste”.

«Riteniamo questa sentenza davvero storica - spiegano i difensori - perché l’ingente quantitativo rinvenuto non è quello che normalmente possiede un assuntore, pertanto dimostrare l’estraneità allo spaccio non era scontato. Però, quello che in prima battuta poteva sembrare un grande ostacolo, in realtà è la prova che l’ipotesi del Pubblico Ministero può essere contrastata con una difesa che fa emergere la verità a favore dell’imputato. In questo caso la verità è che la nostra cliente utilizzava e deteneva Cannabis ma non aveva il minimo interesse nel venderla».

Nel dettaglio la donna era stata sorpresa una mattina dopo lo yoga in un parco con due amici mentre fumava della marijuana, nelle sue tasche un contenitore con 4,70 grammi di erba. Alle domande degli agenti la donna rispondeva di averla autoprodotta durante il periodo estivo in un campo di cui non ricordava l’ubicazione e di cederla a titolo gratuito agli amici durante l’inverno. Insospettiti gli agenti hanno provveduto alla perquisizione dell’appartamento dove scoprivano cinque buste rispettivamente con 100, 150, 200, 214 e 780 grammi e anche due vasetti con 22 e 26 grammi e infine un barattolo con 36 grammi.

«Una volta ritrovate le buste è scattato subito l’arresto - continuano i difensori - la nostra strategia però è stata quella di certificare immediatamente lo stato di salute della donna che, a causa del suo lavoro, soffriva di una dolorosa lombosciatalgia, lei stessa aveva dichiarato agli agenti di fumare soprattutto con finalità terapeutiche. A questo punto quindi abbiamo contattato uno dei massimi esperti del settore, il dottor Carlo Privitera, che ha certificato che per la patologia che affliggeva la nostra cliente la dose raccomandata era di circa 5 grammi con Thc al 19% al giorno, assunti tramite vaporizzazione. Quindi si poteva plausibilmente affermare che rappresentava la terapia per un fabbisogno di circa 250 giorni».

Inoltre il quantitativo rinvenuto era talmente elevato da rendere plausibile una coltivazione e non l’acquisto nelle piazze di spaccio, così come la stessa aveva dichiarato spontaneamente. «A questo punto il secondo passo è stato quello di dimostrare che l’imputata non aveva bisogno di spacciare la sostanza - proseguono gli avvocati - questo è stato possibile sia tramite il corredo terapeutico fornito dallo specialista Privitera sia attraverso le buste paga della nostra cliente».

Caduta ogni ipotesi di reato il giudice, in primo grado, ha pensato di assolvere la donna: «In questo caso il giudice ha interpretato in modo corretto una causa non facile - concludono gli avvocati - infatti era evidente la cessione e anche la non rudimentalità della coltivazione poiché la qualità della sostanza dimostrava una notevole abilità nella produzione. Eppure la verità, nonostante tutte queste aggravanti, era che la nostra cliente non spacciava e quindi è stata giustamente assolta con formula piena. L’uso terapeutico è sicuramente stato importante ma forse il giudice avrebbe potuto emettere la stessa sentenza anche se fosse stato uso ricreativo poiché l’aspetto basilare è quello di escludere il coinvolgimento in traffici illeciti».

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Marco Ribechi