CBD stupefacente: il Tar respinge il ricorso

Maria Novella De Luca
17 Apr 2025

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio respinge il ricorso presentato da Canapa Sativa Italia, contro l'inserimento delle composizioni orali contenenti CBD nella tabella dei medicinali stupefacenti


Le società che operano nel settore della produzione e/o commercializzazione di prodotti derivati dalla Canapa, si erano rivolte ai giudici amministrativi per contestare il decreto del Ministero della salute del 27 giugno 2024, con il quale erano state aggiornate le tabelle che contengono l'indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope

Ma con la sentenza pubblicata ieri, 16 aprile 2025, il TAR ha convalidato di fatto il decreto del Ministero della Salute che classifica tali prodotti come stupefacenti, applicando il principio di precauzione.

La vicenda aveva avuto inizio con un decreto ministeriale che includeva le preparazioni per somministrazione orale di CBD, ottenuto da estratti di Cannabis, nella sezione B della tabella dei medicinali stupefacenti. Questa decisione aveva suscitato immediate reazioni e preoccupazioni da parte di aziende del settore e associazioni tra cui Canapa Sativa Italia (CSI), Imprenditori Canapa Italia (ICI), Giantec Srl, Società Biochimica Galloppa Srl, Orti Castello di Massimiliano Quai e altre che avevano presentato un ricorso al TAR Lazio.

Le motivazioni del ricorso si basavano principalmente sull’ l’assenza dei presupposti normativi previsti dall’art. 14 del DPR 309/1990. Secondo la loro tesi, né l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) né il Consiglio Superiore di Sanità (CSS) avrebbero accertato "concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica", né confermato che il CBD costituisca una sostanza psicotropa o stupefacente.

Tuttavia, il TAR Lazio ha respinto il ricorso, ritenendo legittima l'applicazione del principio di precauzione da parte del Ministero della Salute. La sentenza si basa soprattutto sul potenziale effetto del THC, una sostanza che può essere presente in tracce all’interno di alcuni oli, in particolare quelli a spettro completo (full spectrum), i quali conservano l’intero profilo chimico naturale della pianta, inclusi cannabinoidi e terpeni. Queste possibili interazioni del THC, sebbene in quantità molto ridotte, hanno rappresentato il fulcro della decisione.

Per questo il Tar ha concluso: “Il provvedimento adottato risulta appropriato, sulla base del principio di precauzione volto a scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica e per la sicurezza senza dover attendere che sia pienamente dimostrata l’esistenza di THC in tutte le preparazioni e la conseguente effettiva situazione di dipendenza”.

Restano fuori dal perimetro del discorso, invece, le somministrazioni ad uso orale di cannabidiolo ottenuti in laboratorio, ossia da CBD sintetico: in questi casi, infatti, il cannabidiolo si presenterebbe puro, non contaminato dal THC o da altri cannabinoidi.

Con l’inserimento nella tabella degli stupefacenti di fatto si vieta la vendita nei negozi, nelle erboristerie e nei tabaccai dell’estratto di cannabis, lasciando come unico canale quello delle farmacie

In più, secondo i giudici, il decreto ministeriale contestato "appare motivato altresì su ragioni di sicurezza per la salute pubblica laddove il parere dell'ISS (che si sofferma maggiormente su questi aspetti) fornisce valutazioni sulla tossicità e sull'insicurezza dei prodotti contenenti CBD e commercializzati, sia pure non per uso alimentare (ad oggi non consentito), ma per uso 'orale".

Pertanto sarà il medico curante a dover prescrivere "l'uso terapeutico di sostanze che possono presentare rischi per la salute se assunte al di fuori della rete di controllo (nella produzione, commercializzazione e somministrazione) assicurata per i medicinali" spiegano i giudici amministrativi.

Questa decisione del TAR suscita ovviamente reazioni contrastanti. Da un lato, il Ministero della Salute e coloro che sostengono una maggiore cautela nell'uso del CBD orale accoglieranno positivamente la sentenza come una vittoria per la tutela della salute pubblica. Dall'altro lato, le aziende del settore e le associazioni che promuovono i benefici del CBD esprimono forte disappunto, temendo un impatto negativo sul mercato e sui consumatori soprattutto in questo momento in cui con il Dl Sicurezza il settore è già in forte sofferenza.

Mattia Cusani di Canapa Sativa Italia si dice affranto per il fatto che non siano state prese in considerazione tutte le evidenze scientifiche e gli autorevoli pareri dei Professori Costantino Cialella, medico legale ed ex Direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università La Sapienza di Roma e Marco Falasca, Ordinario di Biochimica presso l’Università di Parma, che hanno contribuito al ricorso. 

“Continuiamo comunque a ribadire che resta un margine di sicurezza per i prodotti cosmetici e costituiti esclusivamente da CBD. Questa sentenza sembra prendersela con le composizioni ad uso orale che abbiano tracce di THC. Purtroppo in questa sentenza non è stato fornito nessun riferimento e valore limite da rispettare, che sarebbe stato un modo utile per distinguere e comprendere meglio, per le singole destinazioni d’uso, quali siano i prodotti potenzialmente stupefacenti e quali no. Ancora una volta hanno fatto prevalere solo un principio di precauzione per lasciare nell’incertezza un intero settore. Sapevamo già che questa vicenda si sarebbe dovuta concludere al Consiglio di Stato, speravamo, però, di partire con un vantaggio e una maggiore attenzione del Giudice sui rischi per le aziende più che su un presunto e non provato rischio sulla salute ma andiamo avanti fiduciosi, non ci facciamo abbattere” conclude Cusani.

Anche gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio, impegnati a dimostrare l’infondatezza scientifica della classificazione del CBD come sostanza stupefacente, si dicono in disappunto con questa sentenza che ritengono dannosa anche perché arriva solo pochi giorni dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge Sicurezza, dando un altro duro colpo alla filiera canapicola, sempre più costretta a serrare i ranghi per dimostrare l’assenza di efficacia drogante e, dunque, l’assenza di rischi per la salute pubblica della canapa industriale e di tutte le sue parti.

“La decisione, a nostro giudizio, non convince sul “pericolo di induzione di dipendenza fisica o psichica”, presupposto necessario per inserire un composto nella tabella medicinali allegata alla Legge Stupefacenti. Tanto più che gli stessi atti allegati dal Ministero escludevano tale pericolo” spiegano sottolineando che “affermare che esso sussista solo perché la cannabis (in tutte le sue parti) è inserita tra gli stupefacenti è un giudizio “debole”, basato su una lettura restrittiva della Legge 242/2016 in contrasto con il diritto europeo che non pone, invece, alcuna limitazione alla commercializzazione della pianta di canapa proveniente dalle sementi certificate, sul presupposto che essa (e tutte le sue parti) non costituisce pericolo per la salute collettiva”.

Per questo motivo, concludono “si dovrà impugnare la sentenza innanzi al Consiglio di Stato anche per domandarne la sospensione d’urgenza”.

La questione, quindi, appare ancora aperta in attesa di ulteriori sviluppi legali e scientifici. Resta da vedere quali saranno le implicazioni concrete per la vendita e l'uso di prodotti a base di CBD orale nel paese.

Leggi anche su Soft Secrets:

Aziende vittime del Governo: "Combattiamo per lavorare"

Tar del Lazio sospende ancora il decreto Cbd

Canapa industriale: l’UE accoglie la petizione della filiera italiana e avvia un’indagine preliminare

CBD inserito tra gli stupefacenti: scelta antiscientifica

Sentenza Kanavape: storica decisione della Corte di Giustizia europea a favore della libera circolazione del CBD

 

M
Maria Novella De Luca