Ha canapa legalmente prodotta, arrestato per due giorni

Nuovo caso giudiziario a Palermo dove un agricoltore è stato detenuto in carcere per essere stato trovato in possesso di infiorescenze di canapa legale nel suo stabilimento di produzione. Il caso è un’ulteriore dimostrazione di quanto sia folle e pericolosa l'incertezza sulla canapa in Italia dovuta al Decreto Sicurezza
Un agricoltore siciliano, produttore perfettamente legale dal 2019, è stato arrestato e ha passato due giorni in carcere solo perché deteneva, all'interno del suo stabilimento, la sua merce: oltre 122 kg di infiorescenze e un panetto di polline di canapa industriale da circa 190 grammi.
Da imprenditore a criminale per lo Stato, a causa dell’Art.18 del Decreto Sicurezza, che ha da un giorno all’altro trasformato in attività illecita ciò che in precedenza era perfettamente legale.
Il Paradosso della Flagranza
L'elemento di maggiore criticità risiede non tanto nella richiesta, poi rigettata, di applicazione di una misura cautelare detentiva, quanto nell'arresto in sé. Un imprenditore è stato privato della libertà personale in presunta "flagranza di reato" all'interno della sua azienda agricola.
Si trattava di canapa industriale, non di droga, legalmente prodotta e stoccata, in attesa di capire come gestirla dopo l'entrata in vigore del cosiddetto "Decreto Sicurezza" e delle leggi successive che hanno criminalizzato la lavorazione.
Questa condotta evidenzia un'eccessiva presunzione di colpevolezza e un abuso del concetto di flagranza in un contesto palesemente industriale.
L’arresto è scattato soltanto per il possesso in sé delle infiorescenze, nonostante la coltivazione fosse risultata regolare ai controlli.
La Procura ha agito unicamente sulla base della mera natura botanica della merce, ignorando la sua reale tossicità.
L'Intervento Legale Salva-Impresa
A difendere l'agricoltore è intervenuto lo Studio Legale Miglio-Simonetti del Foro di Roma, che ha combattuto per far emergere l'irragionevolezza della situazione. Questo caso non è un isolato: arriva, infatti, dopo uno analogo e altrettanto assurdo avvenuto in Puglia (leggi l’articolo), confermando che gli agricoltori del Sud Italia sono costantemente esposti al rischio di finire in cella a causa dei buchi normativi.
Per fortuna, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) ha fermato l'escalation. Pur convalidando l'arresto (ritenuto formalmente legittimo, anche in virtù della presenza della panetta), ha bocciato la richiesta di misure cautelari (carcere o domiciliari).
La motivazione è una nuova vittoria per il settore: non ci sono prove sufficienti per l'accusa. Il Giudice è stato chiaro: finché non c'è un'analisi tecnica che dimostri che il THC (il principio attivo) supera la soglia di legge (0,6%), non si può parlare di "droga" e quindi non ci sono "gravi indizi di colpevolezza".
Dunque, l'agricoltore è stato tirato fuori da un incubo solo grazie al principio che richiede la prova dell'efficacia drogante. Un principio che salva l'imprenditore, ma che dovrebbe rendere impossibile un arresto del genere fin dall'inizio, evitando che produttori legali finiscano in cella per la confusione normativa. «Un principio che salva l'imprenditore anche se, - commenta l'avvocato Claudio Miglio - in situazioni come queste già la misura precautelare dell'arresto offende la dignità della persona, non potendosi parlare neppure di flagranza di reato».