Cannabis Light, nuovi sequestri a Torino: la giustizia assolve, ma il settore rischia di paralizzarsi

Il settore della canapa light è intrappolato in una spirale di segnali contrastanti. Dopo anni di battaglie legali, la giustizia sembra orientarsi verso la tutela degli operatori onesti, ma ciò non impedisce alle forze dell'ordine di continuare a operare in direzione opposta, con conseguenze drammatiche per chi opera nel pieno della legalità.
Infatti, nonostante i segnali importanti arrivati nelle ultime settimane dal sistema giudiziario, la storia si ripete. A Torino, lunedì 22 settembre, la squadra mobile ha colpito due attività, mettendo i sigilli e sequestrando le infiorescenze custodite nei magazzini. La novità, questa volta, che rivela un nuovo problema per gli imprenditori, è che gli indagati avevano già sospeso la vendita del prodotto per evitare problemi con la legge. Ma il recente Decreto Sicurezza, che ha reso punibile penalmente la produzione e il commercio dei fiori di canapa, non ha però chiarito in alcun modo come dovrebbe essere smaltita.
Quindi i commercianti si trovano con prodotti improvvisamente fuorilegge e con il rischio concreto di essere indagati semplicemente per averli in magazzino.
"Una volta che diventa reato la detenzione di questo prodotto si deve anche dire come va smaltito" sottolinea, infatti, l'avvocato dei commercianti coinvolti, Beatrice Rinaudo, in un'intervista a RaiNews. "I commercianti non lo possono smaltire in autonomia, non può essere buttato dalla finestra, ci dicano come questo materiale dev'essere smaltito".
Ma il punto non è solo questo, il vero problema che permane è che lavorare in un clima in cui in ogni momento le forze dell'ordine possono fare irruzione e accusare i negozianti di spaccio è diventato insostenibile. Ci si muove ogni giorno in un panorama legislativo in continua evoluzione, poco chiaro, spesso contraddittorio, che mette il luce la necessità di procedure investigative più accurate.
Un problema che affonda le radici in un contesto nazionale di incertezza normativa presente già prima dell'entrata in vigore del Decreto Sicurezza, legato alla legge 242 del 2 dicembre 2016 che regola la coltivazione della canapa per scopi industriali, ma non vieta esplicitamente il consumo ricreativo. Fino allo scorso aprile, quindi, in Italia la coltivazione e la vendita della cannabis light erano concessi proprio grazie a questo vuoto legislativo che permetteva a chiunque di coltivare cannabis senza autorizzazioni se i prodotti erano idonei alla produzione di alimenti e cosmetici, di materiale destinato alla bioedilizia, all’attività didattica o alla ricerca, alla bonifica di siti inquinati, al florovivaismo. La mancanza di un preciso divieto aveva permesso alle aziende di coltivare la cannabis light senza avere conseguenze legali. Ma poi ad aprile, con il DL Sicurezza, la coltivazione e la vendita sono diventati illegali.
la nuova operazione di Torino, che si inserisce benissimo in questo caotico puzzle di norme e interpretazioni discordanti, arriva però come una doccia fredda, dopo che nell'ultimo periodo si era tirato un sospiro di sollievo grazie alla decisione di diversi tribunali che hanno disposto la restituzione della merce sequestrata, disapplicando, di fatto, l’articolo 18 del Decreto Sicurezza.
Ricordiamo l'ordinanza del Tribunale di Trento del 5 settembre, in cui il giudice, esaminando la controversa questione dell'articolo 18 ha ammesso che la canapa priva di effetti droganti rimane pienamente legale e gli operatori che coltivano legalmente possono continuare a farlo.
L'archiviazione, dopo due anni di indagini, della Maxi-Inchiesta della Procura di Torino su 49 negozi, che ha dichiarato l'attività delle aziende colpite "essenzialmente lecita".
E poi ricordiamo ancora, notizia di pochi giorni fa, il primo dissequestro di infiorescenze con THC inferiore allo 0,5% ordinato direttamente dalla Procura. Il sequestro aveva interessato prodotti di canapa industriale certificata. Nello specifico, erano state sequestrate 57 piante con infiorescenze in campo, varie buste sottovuoto contenenti centinaia di grammi di infiorescenze essiccate e tritate, contenitori in vetro con infiorescenze essiccate, sacchetti di semi certificati di diverse varietà e lotti, e decine di flaconcini di olio di canapa. Nonostante l'entità del materiale, la restituzione è stata disposta direttamente dalla Procura della Repubblica, senza la necessità di un ricorso al tribunale del riesame.
Questo significa che mentre i tribunali e le sentenze della Cassazione continuano a ribadire che la vendita di prodotti con un tenore di THC entro i limiti di legge non costituisce reato, alcune forze dell'ordine e uffici giudiziari agiscono in direzione opposta, equiparando, di fatto, la canapa industriale a una sostanza stupefacente.
Il risultato è un sistema "schizofrenico" in cui gli imprenditori, dopo aver investito tempo e risorse in un'attività pienamente legale, si trovano a dover affrontare sequestri, battaglie legali costose, che possono durare anni o addirittura il carcere, come è accaduto all'imprenditore pugliese che ha ingiustamente trascorso tre giorni in prigione con l'accusa di traffico di stupefacenti. L'arresto è scattato dopo il sequestro di derivati della canapa industriale, che le forze dell'ordine hanno inizialmente classificato come stupefacenti. Tuttavia, secondo i certificati d'analisi parziali già in possesso dell'indagato, il materiale era derivato da cannabis sativa L. certificata, privo di efficacia drogante. Dopo l'intervento degli avvocati difensori, Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio dello studio Tutela Legale Stupefacenti, che ha sottolineato l'assenza di analisi tossicologiche preventive durante l'operazione, il GIP ha ordinato l'immediata scarcerazione dell'imprenditore senza alcuna misura cautelare.
Tutto questo non solo danneggia finanziariamente le aziende e i lavoratori, ma crea un clima di grande incertezza e paura che scoraggia gli investimenti e mina la credibilità di un settore in crescita.
E purtroppo questo copione sembra ripetersi come una ruota che gira su stessa, sempre nello stesso modo: sequestri, indagini, denunce e chiusure temporanee da un lato, archiviazioni e restituzioni dall’altro. In mezzo, un intero settore sospeso, costretto a muoversi in un mare di incertezze. Un settore che nonostante tutto sta tenendo duro e continua a chiedere una normativa più chiara e univoca, che metta fine a questa altalena di sentenze e azioni repressive e permetta a migliaia di aziende di operare con serenità in un mercato che meriterebbe stabilità e certezze.
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