Sballarsi ai tempi di Renzo e Lucia
Chi l’avrebbe mai detto che nell’austero mondo narrato da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi” si utilizzasse abitualmente cannabis per scopi tutt’altro che medici? Ce lo assicura il team del Laboratorio di Antropologia Forense dell’Università Statale di Milano, che ha rilevato tracce di THC e CBD nei resti di alcuni milanesi del XVII secolo
Le persone consumano erba da moltissimo tempo, lo sappiamo tutti. L’antico storico greco Erodoto scrisse di fiori con effetti psicotropi già nel 440 a.C. e le cartelle cliniche del Medioevo in Europa mostrano come la cannabis venisse ampiamente somministrata per trattare qualsiasi cosa: dalla gotta alle infezioni urinarie, dai dolori del parto alla perdita di peso, oltre a essere usata come anestetico.
Ma nel 1484, Papa Innocenzo VIII emanò la bolla pontificia “Summis desiderantes” che definiva la cannabis un “sacramento empio” e ne proibiva l’uso tra i fedeli. La bolla papale richiedeva pene severe per la magia e la stregoneria - che all’epoca significava solitamente l’uso di erbe medicinali - e condannava specificamente l’uso della cannabis nel culto al posto del vino. Innocenzo VIII etichettava la cannabis come uno dei sacramenti della messa satanica ed emetteva un divieto papale esplicito sui farmaci a base di cannabis. Per inquadrare ancora meglio il personaggio: Papa Innocenzo VIII fu lo stesso che nel 1487 nominò il famigerato e sadico frate spagnolo Torquemada come Grande Inquisitore. Sotto l’autorità di Torquemada, migliaia di guaritrici che usavano piante proibite, ebrei e altri “eretici” furono ferocemente torturati e uccisi durante la “caccia alle streghe” dell’Inquisizione spagnola.
Nonostante le restrizioni e le persecuzioni, la pianta si diffuse ampiamente nell’Europa settentrionale e orientale del XVI secolo, quando i viaggiatori provenienti dall’Africa e dall’Asia importarono in Europa nuovi metodi per utilizzare la cannabis a scopi medicinali e terapeutici. Tuttavia, in Europa, per tutta l’età moderna, la canapa venne pubblicizzata solo ed esclusivamente per il commercio manifatturiero. Dopo che la nostra amata pianta finì inevitabilmente all’indice, alla fine del XVI secolo, gli storici e gli archeologi hanno faticato molto a trovare prove concrete del suo uso - se si escludono i ritrovamenti fatti nei pressi della casa di William Shakespeare a Stratford Upon Avon - nonostante ci fosse il sospetto che in realtà la pianta non sia stata mai del tutto sradicata dall’Europa.
A confermare questa interessante ipotesi storiografica, è arrivata la scoperta di un team di scienziati forensi di Milano, che ha rintracciato e isolato tracce di cannabis nei resti di due scheletri del XVII secolo. “Sappiamo che la cannabis è stata usata in passato, ma questo è il primo studio in assoluto a trovarne tracce nelle ossa umane”, ha detto la biologa e dottoranda Gaia Giordano del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LABANOF) e del Laboratorio di Indagini Tossicologiche dell’Università Statale di Milano. “Si tratta di una scoperta importante, perché sono pochissimi i laboratori in grado di esaminare le ossa per trovare tracce di sostanze psicotrope”.
Lo studio è stato pubblicato nel numero di dicembre della prestigiosa rivista di settore Journal of Archaeological Science ed è disponibile (in Inglese) per la consultazione gratutita al sito www.sciencedirect.com. Il team di scienziati della Statale ha esaminato nove campioni di ossa femorali di persone vissute nella Milano del 1600 e sepolte nella Cripta della Ca’ Granda, sotto una chiesa annessa all’Ospedale Maggiore, il più importante ospedale per poveri della città all’epoca. L’obiettivo dello studio era quello di trovare tracce di piante utilizzate per scopi medici o ricreativi nella popolazione generale. Nel corso della ricerca, due ossa - una appartenente a una donna di circa 50 anni e l’altra a un adolescente maschio morti tra il 1638 e il 1697 - hanno mostrato la presenza di due tipi di cannabinoidi: Delta-9-tetraidrocannabinolo e cannabidiolo, oggi comunemente conosciuti come THC e CBD. Queste molecole, come quelle di altre piante medicinali, possono preservarsi per secoli dopo la morte, dopo aver viaggiato nel sangue ed essersi depositate nelle ossa. Gli autori dello studio le hanno isolate attraverso analisi tossicologiche effettuate sui resti polverizzati, che hanno permesso di separare e purificare i singoli composti chimici in una soluzione liquida e riconoscerli poi usando la tecnica della spettrometria di massa. I ricercatori della Statale sostengono che questa scoperta non solo suggerisce che la cannabis era consumata da persone di tutte le età e da rappresentanti di entrambi i sessi, ma anche che era usata a scopo ricreativo - probabilmente preparata in dolci e infusi, come riporta il testo redatto da Gaia Giordano e i suoi colleghi.
L’équipe ha infatti analizzato anche le cartelle cliniche dell’Ospedale Maggiore e non ha trovato alcuna menzione della cannabis nei suoi registri dettagliati delle piante curative, dei rimedi e delle pozioni somministrate ai pazienti di tutti gli ospedali milanesi nel 1600. Per questo motivo, l’ipotesi degli studiosi è che la cannabis venisse consumata in un contesto prevalentemente ricreativo. La sua assenza nell’elenco della farmacopea ha portato i ricercatori a supporre che la cannabis trovata nei due individui fosse probabilmente usata per gli stessi motivi per cui è usata oggi: rilassarsi, svagarsi o curarsi da soli. “La vita era particolarmente dura nella Milano nel XVII secolo”, ha ricordato al Corriere della Sera l’archeotossicologo Domenico di Candia, che ha coordinato lo studio. “Carestia, malattie, povertà e igiene quasi inesistente erano molto diffuse”. Manzoni ne da un resoconto accurato ne “I Promessi Sposi” e tutti noi portiamo nella memoria le (tediose) letture in classe della Milano sconvolta dalla peste. Ma se forse Renzo e Lucia non erano avvezzi all’uso di canapa - a onor del vero, nel romanzo Manzoni non ne fa mai cenno - pare abbastanza sicuro che i loro contemporanei invece sapessero benissimo cosa farsene. Per secoli, l’Italia è stata un importante produttore di canapa. In tutta la penisola si lavorava la fibra della pianta che veniva utilizzata per la carta, le corde e i tessuti - comprese le vele della nave di Cristoforo Colombo - oltre che come mangime per il bestiame e come fertilizzante. E questa particolare ubiquità della canapa in Italia, rende molto probabile che venisse consumata anche per farsi una canna.
Al momento, gli scienziati stanno discutendo se la presenza della sostanza scoperta nelle ossa rifletta o meno un uso elevato e frequente della cannabis, o piuttosto un uso appena precedente al momento della morte - cosa che da un punto di visto storiografico potrebbe completamente ribaltare il significato della scoperta. Se infatti fosse provato l’uso della cannabis solo in punto di morte, questo significherebbe che la pianta veniva usata in modo rituale e non in contesti ricreativi.
Al di là delle interessanti deduzioni sull’impiego di cannabis nella Milano del 1600, la tecnica impiegata nello studio è di tipo rivoluzionario e apre le porte a nuove indagini di archeotossicologia: è noto che la cannabis trovava largo impiego anche in antichità, ma poterlo provare con più certezza direttamente sulle ossa umane aprirà nuove possibilità nella ricerca storica. Per avere un quadro più chiaro, i ricercatori del team della Statale hanno intenzione di continuare la ricerca su altri resti umani, in una collezione di circa 10.000 ossa sepolte sotto la cripta della Ca’ Granda. Le indagini tossicologiche su resti storici e archeologici sono abbastanza rare nella letteratura accademica, ma costituiscono uno strumento diverso e potente per ricostruire il passato, e in particolare per comprendere meglio i rimedi e le abitudini delle popolazioni che ci hanno preceduto. La tossicologia applicata ai resti umani storici e archeologici non è però ancora stata sfruttata al massimo. Dagli anni 90 in poi, sono state effettuate diverse analisi archeotossicologiche, come quella condotta nel 1991 su campioni di capelli raccolti da mummie peruviane precolombiane che ha rivelato la presenza di cocaina e nicotina. Altri studi hanno rilevato cocaina, nicotina e cannabis nei capelli, nelle ossa e nei tessuti molli di mummie peruviane ed egiziane, ma l’affidabilità dei risultati di questi lavori è stata messa in dubbio dal circuito accademico tradizionale. Pertanto, per quanto ne sappiamo, la cannabis non è mai stata rilevata o segnalata in resti archeologici umani, in particolare nelle ossa, prima del XXI secolo. Ed è per questo che la ricerca e soprattutto la scoperta della dottoressa Gaia e dei suoi colleghi è importantissima e può contribuire ad accendere il dibattito accademico su questa ancor poco esplorata - se non addirittura snobbata – disciplina.
In conclusione, la straordinaria rivelazione delle tracce di cannabis nei resti umani del XVII secolo, riportata con scrupolosa attenzione dal competente team del Laboratorio di Antropologia Forense dell’Università Statale di Milano, non solo arricchisce la nostra comprensione della vita quotidiana di quell’epoca, ma solleva interrogativi cruciali e stimolanti riguardo alla diffusione e agli scopi dell’uso della canapa in epoche storiche. L’analisi delle ossa femorali di individui sepolti nella Cripta della Ca’ Granda, eseguita con una metodologia all’avanguardia, offre uno sguardo penetrante sulla società milanese del XVII secolo. E la presenza di THC e CBD, i principali cannabinoidi della cannabis, nelle ossa di questi individui suggerisce una connessione profonda e sorprendente con la pianta, contrariamente alle concezioni tradizionali dell’austero periodo narrato in opere letterarie come “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
Questa scoperta tutta Made in Italy non solo sfida le interpretazioni precedenti, ma apre una finestra su un aspetto finora trascurato della storia: l’uso della cannabis a scopo medicinale e ricreativo. La sua presunta diffusione tra persone di tutte le età e di entrambi i sessi, indica che la canapa potrebbe essere stata integrata nella vita quotidiana di comunità del passato che, nonostante le avversità come carestie e malattie, cercava conforto e sollievo attraverso questa pianta poliedrica. Una pianta che è vecchia come il mondo e che ha attraversato le epoche.
Questo articolo è tratto dal numero 01/2024 della Rivista cartacea Soft Secrets
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