Marketing e social media, la tesi sul sistema canapa

Marco Ribechi
10 Jul 2024

La perugina Francesca Cesaretti ha analizzato in una tesi per La Sapienza le strategie in mano agli operatori della Canapa per aggirare gli algoritmi penalizzanti posti alle attività del settore


Dagli ostacoli nel pubblicizzare la sua attività sui social fino ad una ricerca universitaria sul marketing della canapa.

È il pionieristico lavoro della perugina Francesca Cesaretti, una delle prime ricercatrici in Italia ad aver strutturato la propria tesi di laurea esclusivamente su uno dei settori potenzialmente più in espansione ma, allo stesso tempo, il più martoriato dalle leggi e dallo Stato.

La sua ricerca, dal titolo "Commercio italiano della canapa e social network: analisi dei rischi e delle opportunità tra gli imprenditori del settore" è stata presentata alla Sapienza di Roma all’interno del percorso di "Organizzazione e marketing per la comunicazione d’impresa" ed è in grado di mettere in luce quanto un intero comparto economico italiano sia completamente abbandonato dalle istituzioni, nonostante potrebbe essere fiorente e in buona salute.

«Nel comparto della canapa lavorano almeno 30mila operatori per un totale di circa 10mila aziende – spiega Cesaretti – tutte sono nel limbo a causa dell’assenza di regolamentazioni certe e precise. Sono aziende che non godono degli stessi diritti delle altre nonostante la loro attività sia perfettamente legale. In particolare ho voluto analizzare le difficoltà nel pubblicizzare i propri prodotti via social, dove spesso sono praticamente invisibili». 

LA RICERCA

Il lavoro è stato strutturato attraverso un sondaggio tra oltre 245 aziende del settore alimentare, tessile ed edilizio. «Almeno l’80% delle attività hanno riscontrato problemi a livello social – prosegue la ricercatrice – ad esempio si può venire oscurati o addirittura eliminati definitivamente se si violano le regole dell’algoritmo. Alcune realtà si sono viste chiudere da un giorno all’altro addirittura l’e-commerce che costituisce un notevole investimento».

Regole che, in Italia, sono molto più restrittive che in altri paesi.

«Ci sono parole totalmente da evitare come Thc, Cannabis, weed, Canapa, persino Cbd – dice l’autrice della ricerca – si può essere bannati anche per postare foto di fiori o di piante. Ho fatto il raffronto tra profili italiani e quelli di altri paesi come Spagna e Stati Uniti, loro non hanno limitazioni, possono scrivere e pubblicizzare praticamente tutto. Si crea così anche un deficit competitivo che penalizza le nostre aziende».

La limitazione sarebbe effettuata per motivi di salute pubblica ma, tra i vari test effettuati da Cesaretti, si evince come l’hashtag "Cannabis" sia totalmente azzerato mentre scrivendo "Cocaina" si ottengono migliaia di risultati. «È evidente che si vuole decisamente perseguitare la pianta in tutti i suoi usi – dice la ricercatrice – persino le aziende di tessuti o di cosmetici vengono bannate. Addirittura la parola terpene, che ha un valore scientifico, costituisce un problema». 

Uno degli shop Canaponte

LA STORIA

Francesca Cesaretti, insieme al suo compagno David Minelli, gestisce a Perugia i due shop Canaponte in cui vende anche infiorescenze di Cbd autoprodotto allo stesso marchio.

Sei anni fa la decisione di approfondire la tematica, a causa della chiusura del loro profilo aziendale.

«Ho pensato che fosse necessario trovare quantomeno una strada percorribile – prosegue Cesaretti – purtroppo attualmente possiamo solo aggirare gli algoritmi di controllo ma non possiamo rinunciare e abbandonare. Non ci sono regole precise, bisogna solo stare molto attenti a ciò che si pubblica e magari ispirarsi ad altri profili che hanno già trovato delle scappatoie».

Il problema infatti è che, una volta segnalato il profilo, resta etichettato nel sistema.

«A quel punto o si cambia drasticamente modalità oppure, spesso, può essere più utile chiuderlo e aprirne un altro nuovo – spiega Cesaretti – esiste anche la possibilità di fare ricorsi telematici tramite mail con i social ma la vera necessità è una legislazione che sancisca definitivamente cosa si può fare poiché, la causa principale di tutto questo, è la mancanza di regole. Allo stesso tempo servirebbe un’azione collettiva nei confronti della politica per aprire le porte a questo tipo di commercio». 

Francesca, David, Canaponte
Francesca Cesaretti e David Minelli

LA REALTA’ FUORI DAI SOCIAL

Anche l’attività Canaponte ha ricevuto controlli molto serrati: «Per noi la soluzione è prima di tutto quella di lavorare in modo ineccepibile – aggiunge Davide Minelli – altrimenti possiamo solo subire controlli e sequestri, non abbiamo difese. Invece, creandosi un buon nome e una buona reputazione, è più facile che parli la propria credibilità. Ci rendiamo conto che le stesse forze dell’ordine sono totalmente impreparate, non sanno cosa fare quando vengono ad effettuare i controlli, non sanno cosa cercare, come fare le valutazioni. Abbiamo ad esempio subito un sequestro preventivo e dopo sei mesi non abbiamo ancora ricevuto nessuna risposta a riguardo. Questo tipo di situazione non si verifica in nessun altro comparto economico, è un’ingiustizia che pesa anche a livello psicologico, è mobbizzante poiché in un attimo si può veder vanificato un lavoro di mesi se non di anni, e per quale ragione? Non ci sono spiegazioni».

Uno degli aspetti per cui la canapa è spesso trattata con superficialità è dovuto anche all’utilizzo futile del prodotto, che viene sbandierato dagli oppositori.

«Non si fa abbastanza informazione sugli aiuti che derivano da questa pianta – conclude Minelli – non si parla dei benefici ma solo delle carnevalate, quindi poi in molti cavalcano questa disinformazione. Chi è competente non viene quasi mai interpellato».

Per questo motivo Francesca Cesaretti sta esponendo il più possibile la propria tesi di laurea agli incontri di settore, con lo scopo di sensibilizzare e unire prima di tutto gli operatori da cui può partire lo slancio per chiedere un cambiamento. Per contattarla scrivere a: canaponte326@gmail.com.

 

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Marco Ribechi