Cannabis light: inchiesta archiviata ma danni irreparabili per le aziende

Maria Novella De Luca
08 Sep 2025

Nel 2023, la Procura di Torino ha avviato una delle più ampie operazioni contro la cannabis light in Italia, coinvolgendo 14 persone e 49 negozi in diverse province, da Torino a Milano, Monza-Brianza, Cuneo, Forlì-Cesena e Rimini. Il 4 settembre 2025 il Tribunale ha archiviato il caso, dichiarando l’attività delle aziende "essenzialmente lecita" ma restano i gravi danni già inflitti al settore, con circa 2 tonnellate di infiorescenze sequestrate, oggi inutilizzabili e destinate al macero


Perquisiti 49 punti vendita, società agricole e distributori automatici e sequestrate due tonnellate di infiorescenze di cannabis light, per un valore stimato di 18 milioni di euro. A causa di questa inchiesta molte aziende hanno dovuto chiudere ancora prima che entrasse in vigore il ddl sicurezza, mandando in fallimento centinaia di imprenditori, per lo più giovani.

Secondo i carabinieri, la cannabis light sequestrata aveva livelli di THC alti al punto da giustificare una «concreta capacità drogante». Due anni di indagini con consulenze tecniche e chimiche hanno escluso questa accusa rivelando che solo una minima parte del materiale sequestrato superava i limiti legali di THC, fissati a 0,4% nel 2023, ma non era stata ancora sottoposta ai controlli previsti dai protocolli prima della vendita. Il tribunale, quindi, ha archiviato il caso. Il giudice per le indagini preliminari ha accolto la richiesta della stessa Procura, che aveva ritenuto l'attività "essenzialmente lecita". Le aziende, infatti, hanno dimostrato di seguire protocolli rigorosi e di non aver manomesso i prodotti.

Questa decisione rappresenta una vittoria per il settore, ma non risolve i problemi che hanno affrontato e dovranno continuare ad affrontare le aziende colpite. Inoltre arriva in un momento critico, dopo la stretta del governo dello scorso aprile, infatti, l'intero settore della cannabis light, dalla coltivazione alla vendita, è stato di fatto reso illegale.

"Un totale buco nell'acqua" lo ha definito Riccardo Magi di +Europa, "prodotto dalla cultura proibizionista che fa solo danni, ma che questo governo ha deciso di irrigidire attraverso il dl Sicurezza. Chi risarcirà gli imprenditori, gli agricoltori, i titolari dei punti vendita? Tutto questo per proibire una sostanza che non ha alcun effetto stupefacente ma che ha la colpa di essere un estratto della canapa. Dalla caccia alle streghe a una caccia alle piante che produce immani danni alle persone coinvolte, perseguitate dalle procure e da questo governo proibizionista. Dal ministro Nordio che ogni giorno attacca la magistratura ci saremmo aspettati anche una parola su questa vergognosa vicenda che ha lasciato sul lastrico centinaia di persone. Ma sappiamo bene che Nordio è garantista con gli amici e con i potenti, mentre è manettaro con tutti gli altri".

L'inchiesta torinese non è stata un caso isolato, ma si inserisce in un contesto nazionale di incertezza normativa. La legge 242 del 2 dicembre 2016, infatti, regola la coltivazione della canapa per scopi industriali, ma non vieta esplicitamente il consumo ricreativo, creando un vuoto legislativo che ha permesso, in questi anni lo sviluppo di un nuovo settore e l’apertura di circa tremila nuove aziende tra negozi e aziende agricole.

Fino allo scorso aprile in Italia la coltivazione e la vendita della cannabis light erano concessi proprio grazie a questo vuoto legislativo della 242, approvata, appunto, per regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali. Questa permetteva a chiunque di coltivare cannabis senza autorizzazioni se i prodotti erano idonei alla produzione di alimenti e cosmetici, di materiale destinato alla bioedilizia, all’attività didattica o alla ricerca, alla bonifica di siti inquinati, al florovivaismo.

La legge non faceva esplicito riferimento al consumo ricreativo: la mancanza di un preciso divieto aveva permesso alle aziende di coltivare la cannabis light senza avere conseguenze legali. Negli anni c’erano state diverse sentenze, anche della Corte di Cassazione, che avevano permesso il commercio di cannabis light e soprattutto avevano escluso che sia una sostanza stupefacente. Ma poi ad aprile la coltivazione e la vendita sono stati resi illegali.

L'intero settore della cannabis light resta, ancora una volta in grande sofferenza perché sebbene l'inchiesta sia stata archiviata, la vicenda lascia dietro di sé una grande crisi e tanta amarezza. Una vicenda che evidenzia le sfide che il settore della cannabis light deve affrontare ogni giorno in un panorama legislativo in continua evoluzione e spesso contraddittorio e che mette il luce la necessità di procedure investigative più accurate, basate su prove solide, e di maggiore tutela per le filiere produttive che operano entro i limiti di legge.

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