Cannabis Light: scarcerazione immediata a Belluno, servono analisi scientifiche

Un’importante pronuncia giunge dal Tribunale di Belluno in materia di infiorescenze. La Procura ha emesso un decreto motivato di liberazione (ex art. 121 disp. att. c.p.p.), disponendo l’immediata scarcerazione di un coltivatore arrestato il giorno precedente, il 10 ottobre, e negando qualsiasi richiesta di misura cautelare.
Il provvedimento segna una linea interpretativa che si allinea alle più recenti indicazioni giurisprudenziali, ponendo l'accento sulla necessità di accertamenti tecnico-scientifici prima di comprimere la libertà personale.
Non basta la quantità, serve la prova di offensività
Nel decreto, la Procura valorizza il comportamento collaborativo dell’indagato e chiarisce che, pur risultando accertata la detenzione di un notevole quantitativo di infiorescenze, "non vi sono indici univoci della destinazione delle stesse alla cessione a terzi".
Il passaggio centrale riguarda l’esigenza di accertamenti di laboratorio: "trattandosi esclusivamente di infiorescenze di cannabis, fino a quando non saranno disponibili le analisi di laboratorio sulle sostanze sottoposte a sequestro, non è possibile neanche stabilire la gravità in concreto della condotta, non potendosi considerare determinante il mero dato ponderale”.
Questa posizione è coerente con l’Ufficio del Massimario della Cassazione (Rel. n. 33/2025), che impone la verifica tecnico-scientifica dell’offensività in concreto (ovvero l'efficacia drogante) del prodotto. In assenza di accertamenti validati (campionamento in contraddittorio secondo i regolamenti UE, catena di custodia, analisi in laboratori accreditati, misura del THC attivo post-decarbossilazione), né la botanica né la quantità sono sufficienti a giustificare un arresto.
Gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio, difensori dell'indagato, commentano: "La libertà personale si può limitare solo davanti a prove scientifiche. Basta arresti 'a vista’".
Il caso di Belluno non è isolato. Questo risultato si aggiunge ad altri recenti provvedimenti che hanno visto giudici convalidare gli arresti per la forma, ma negare qualsiasi misura cautelare personale, rinviando ogni valutazione all’esito degli accertamenti analitici.
I giudici sono concordi: i narcotest di campo non bastano. Questi test rilevano genericamente i cannabinoidi e danno un "positivo" generico, senza quantificare il THC né distinguere tra THC totale e THC attivo. Per questo, prima di incidere sulla libertà personale o sull’operatività delle imprese, si richiedono:
- Campionamenti in contraddittorio, conformi ai protocolli UE.
- Catena di custodia certificata.
- Laboratori accreditati.
- Misure del THC attivo per accertare l'effettiva efficacia drogante.
I legali sollevano anche la questione della filiera. Un settore che ha operato in buona fede, versando regolarmente l'IVA su vendite tracciate (fatturazione elettronica, POS, codici ATECO coerenti) nell'ambito delle destinazioni lecite della L. 242/2016, non può essere esposto a misure afflittive senza previa verifica scientifica dell’offensività.
Il messaggio che emerge dai recenti provvedimenti è chiaro: la filiera della Canapa Light resta lecita nelle destinazioni della L. 242/2016, a patto che manchi l'efficacia drogante in concreto. L'obiettivo è quello di uniformare le prassi su tutto il territorio nazionale: stop agli interventi basati su test rapidi non validati e sì a metodi armonizzati UE e a misure del THC attivo per tutelare la legalità, la salute pubblica e al contempo evitare danni ingiustificati agli operatori onesti.
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