Caso Easyjoint, le dichiarazioni di Marola al giudice

Marco Ribechi
31 Jan 2025

Il fondatore dell'azienda pioniera della Cannabis Light è intervenuto per la prima volta davanti al giudice dopo anni di processo. Molto positiva la reazione ottenuta che fa ben sperare per l'ultima udienza del 29 maggio. La reazione fuori dall'aula: "Cosa ci faccio in questo processo?"


Oltre tre anni di processo, più di 7mila pagine di inchiesta e la distruzione di un intero magazzino di Cannabis Light per un valore superiore a 2 milioni di euro. 

Ieri Luca Marola, fondatore dell’azienda Easyjoint pioniera in Italia del settore della Cannabis Light, ha voluto dire la sua per la prima volta all’interno del processo che ha azzerato la sua attività e praticamente monopolizzato la sua vita negli ultimi anni. Un intervento a cui il giudice ha prestato grande attenzione, atteggiamento che fa ben sperare per la presunta udienza conclusiva che si terrà il 29 maggio. 

Il processo, consumato presso il Tribunale di Parma, è diventato emblematico di una situazione tutta italiana dove una legge poco chiara crea risultati devastanti per un intero comparto economico. «Una legislazione fumosa - ha dichiarato Marola davanti ai giudici nel suo lungo intervento - così fumosa che in alcune zone d'Italia è reato ciò che in altre è legale, a seconda di come gli uomini di legge leggono e interpretano le stesse carte».

 Proprio l’assenza di chiarezza della legge 242 del 2016, in cui non venivano nominate infiorescenze e estratti, ha dato anni fa a Marola l’idea per fondare Easyjoint azienda da cui è nato di fatto il comparto della Cannabis Light

«Decisi di dare vita a un’iniziativa che, prima di essere imprenditoriale, fosse un invito alla politica a tornare sui propri passi, notare l’errore e completare la legge - ha dichiarato Marola in aula davanti all’attenzione del giudice - Intendevo vendere il fiore, che comunque si vendeva anche prima del 2016 nel disinteresse generale, ma con un vestito migliore, più accattivante dal punto di vista linguistico e di packaging, capace di attirare fin da subito l’attenzione del pubblico e soprattutto dei media».

In poco tempo, oltre alla sua azienda pioniera nella commercializzazione del fiore, è rinato in Italia un intero settore legato alla canapa. Tradotto in numeri certificati da Coldiretti oggi si parla di circa 4mila ettari coltivati per circa 3mila imprese agricole e un migliaio di negozi specializzati con un centinaio di grossisti, per un fatturato complessivo di 500 milioni di euro l’anno. Di cui 150 rigirati allo Stato sotto forma di tasse. 

«La mia iniziativa nel tempo ha creato circa 13mila posti di lavoro, soprattutto giovani. Ne vado assolutamente orgoglioso - ha spiegato Marola al giudice - Applicando regole più rigorose addirittura di quelle imposte dallo Stato mi sono fatto portavoce dell’immaginario dialogo con le istituzioni nel suggerire soluzioni da applicare a un fenomeno che, oggettivamente, ci era scoppiato in mano a tutti. Da lì, e negli anni successivi, ho sempre cercato di mettere le istituzioni davanti alla realtà». 

Luca Marola

Ma le cose per Easyjoint sono andate diversamente, a causa di decisioni spesso prese per motivazioni ideologiche piuttosto che legali o economiche: «L’ossessione di cercare droga anche dove droga non c’è ha portato al sequestro e distruzione di tutto il mio magazzino, per un valore economico di oltre 2 milioni di euro. Al sequestro del sito e addirittura delle caselle di posta elettronica, rendendomi oltretutto un po’ più complicato recuperare materiali per la mia difesa - prosegue Marola nel raccontare la sua complessa storia - ha portato al sequestro di prodotti che nulla c’entravano con l’inchiesta e che, al momento della restituzione, ho dovuto buttare con un ulteriore danno economico di altre decine di migliaia di euro. Ha portato all’inibizione perpetua dell’attività e la cancellazione del suo oggetto sociale con conseguente chiusura definitiva dell’azienda, ad una grande difficoltà economica e al peso psicologico, soprattutto, di 6 anni di calvario giudiziario (iniziato nel 2019). Un trattamento così vessatorio e la pervicace ricerca del mio annientamento, credo non abbia eguali nella, seppur breve, storia giudiziaria della cannabis light. Nessun collega, dettagliante o grossista, ha subito un trattamento equiparabile al mio». 

Senza rinunciare al suo spirito di attivista Marola ha chiuso il dibattito con delle considerazioni sul carattere sociale e civile della sua battaglia: «Rivendico il mio ruolo di attivista politico; rivendico la legittimità della mia agenda politica per i diritti civili, per la legalizzazione della cannabis. Ho fatto tesoro degli insegnamenti di Marco Pannella e di Marco Cappato, della prassi radicale per l’affermazione dei diritti degli individui. La storia del mio processo è anche la storia della Cannabis Light e la decisione che sarà presa al termine impatterà sulla vita di migliaia di persone, di colleghi, di ragazzi e ragazze che hanno investito le proprie risorse costruendo insieme a me questo settore imprenditoriale, agricolo e commerciale». 

All’uscita dall’aula Luca Marola accompagnato dal pool degli avvocati, Gamberini, Turco e Bulleri, ha detto sollevato: «Finalmente vedo la fine di questo processo, a tratti surreale e grottesco. Aspetto con fiducia la sentenza che arriverà a fine maggio ma la domanda che mi accompagna per tutto questo lungo periodo probabilmente non troverà risposta: che ci faccio io in questo processo?». 

 

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Marco Ribechi