Canapa industriale: il Consiglio di Stato rimanda il divieto sulle infiorescenze alla Corte Europea
Una vittoria per la filiera agricola italiana: i giudici mettono in discussione le restrizioni nazionali che contrastano con il diritto comunitario e il libero mercato.
La complessa battaglia legale sulla cosiddetta "canapa light" in Italia è arrivata a un bivio cruciale. Il Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa, ha emesso un'ordinanza che rimette alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) la questione della compatibilità tra il diritto nazionale, che vieta l'uso e la vendita delle infiorescenze, e le norme agricole e di libera circolazione europee.
Questa decisione, accolta con grande favore da Canapa Sativa Italia (CSI) e dalle associazioni di categoria, rappresenta un passo decisivo che potrebbe finalmente garantire stabilità e chiarezza a un settore agricolo da anni in bilico.
Il contenzioso nasce nel giugno del 2021, quando l'allora Ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli trasmette alla Conferenza Unificata lo schema del decreto sulle piante officinali previsto dal D. Lgs. 75/2018. Nella versione poi divenuta DM 21 gennaio 2022, è inserita una forzatura: la canapa industriale viene di fatto ricondotta alle sole produzioni da seme, mentre foglie e infiorescenze sono “parcheggiate” nel Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90), vientandone la coltivazione e la prima trasformazione salvo autorizzazione farmaceutica.
Così, un settore agricolo regolare, riconosciuto dalla L. 242/2016, si ritrova improvvisamente con un blocco operativo su parti di pianta che, se prive di effetto drogante, non avrebbero nulla a che vedere con gli stupefacenti.
Le tappe legali: dal TAR al Consiglio di Stato
Canapa Sativa Italia (CSI), insieme a un fronte largo di associazioni di settore, impugna subito il decreto sottolineando che non si può cancellare con un atto amministrativo ciò che la legge riconosce come usi industriali; e soprattutto non si può far dipendere la liceità da quale parte di pianta sia considerata, ma va appunto stabilita l’offensività in concreto (la presenza o meno di un effetto drogante).
Come sottolinea anche l’avvocato Giacomo Bulleri, che ha curato il ricorso per lo studio Legance: "La questione in realtà è molto semplice: la pianta di canapa nella sua interezza [...] è un prodotto agricolo, per cui la legge sugli stupefacenti non può trovare applicazione".
Dopo l'impugnazione del decreto, nel febbraio 2023, arriva la svolta: il TAR Lazio, con le sentenze n. 2613/2023 e n. 2616/2023, dà ragione agli operatori annullando le porzioni del DM contestate. I giudici amministrativi stabiliscono, quindi, che la liceità non dipende dalla parte di pianta, ma dall'effettiva presenza di un effetto stupefacente.
I Ministeri coinvolti non si fermano e portano il caso al Consiglio di Stato che ieri, 11 novembre 2025, ha deciso per uno degli esiti più attesi dagli operatori: il rinvio alla Corte di giustizia UE per un chiarimento definitivo.
I quesiti all'Europa: libero mercato in gioco
L'ordinanza del Consiglio di Stato evidenzia diverse criticità del quadro normativo italiano:
- Contrasto UE: la legislazione europea, richiamata anche dal TAR, non opera alcuna distinzione tra le varie parti della pianta per le varietà ammesse, rendendo il divieto selettivo sulle infiorescenze potenzialmente sproporzionato.
- Restrizioni non giustificabili: le limitazioni italiane creano restrizioni all'importazione e all'esportazione che i giudici italiani ritengono "non giustificabili" per motivi di salute o ordine pubblico, vista la minima quantità di THC.
- Armonizzazione europea: Il Consiglio di Stato ha notato come la produzione di cannabidiolo (CBD) sia legale in altri Stati membri, spingendo verso un'armonizzazione pro-filiera.
L'organo giudicante ha espressamente sollevato la possibilità che la normativa italiana "debba ritenersi in contrasto alle norme europee e debba come tale essere disapplicata".
Prospettive per imprese e negozi
Sebbene l'ordinanza non sia una sentenza finale, il suo impatto è enorme. Come afferma Mattia Cusani, Presidente di CSI: "È un passaggio decisivo: il Consiglio di Stato fotografa l’anomalia italiana e chiede alla CGUE se si possa davvero colpire solo le infiorescenze. Per le imprese e i negozi significa una prospettiva concreta di serenità legale e di tutela della filiera".
Aggiunge l'Avvocato Bulleri: "Mi auguro che il giudizio dinanzi alla Corte Europea sia l'occasione per introdurre un doveroso discrimine in modo da cambiare definitivamente approccio alla questione, cioè smettere di criminalizzare una pianta e concentrarsi sulla qualità e sicurezza dei prodotti ottenuti in modo da poter sviluppare l'intero potenziale della filiera".
La decisione apre concretamente alla possibilità che i giudici nazionali possano già, fin da ora, disapplicare le norme interne considerate incompatibili con il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), dando un primo sollievo a un settore che attende da anni un quadro normativo stabile.
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