Zaina: «Manca una legge su uso, coltivazione e consumo»
L'avvocato Carlo Alberto Zaina interviene sul caso di Milano che ha visto coinvolta un'insegnante trovata con 750 grammi di Cannabis e tre piante e in seguito assolta in secondo grado
Milano continua a distinguersi per delle ottime sentenze ma il caso dell’insegnante non costituirebbe una novità. Queste le parole dell'avvocato Carlo Alberto Zaina, uno dei principali esperti dell’argomento sul territorio italiano, riguardo il caso milanese dell’insegnante milanese trovata con 750 grammi di Cannabis e tre piante grandi in fase di fioritura e assolta perché “il fatto non sussiste”.
Le dichiarazioni del difensore Marco Baroncelli hanno scosso gli ambienti specializzati e dopo gli interventi del consigliere comunale di Milano Daniele Nahum sulla situazione cittadina, e i contributi di Antonella Soldo di Meglio Legale (VIDEO), dell'ex presidente della Commissione di Giustizia Mario Perantoni (VIDEO) e di Marco Perduca dell'associazione Luca Coscioni (VIDEO) anche l’avvocato Carlo Alberto Zaina interviene a commentare il caso.
«Senza dubbio costituisce una sentenza interessante - spiega Zaina - però ci sono già molti processi che si sono conclusi con un’assoluzione anche di fronte alla coltivazione, sia nel caso che venga effettuata per uso terapeutico che per uso ricreativo. Ritengo inesatto dire che in Italia sia ammessa la coltivazione, la realtà piuttosto è che, in linea di principio, essa è vietata, nonostante esista la possibilità di una deroga, basata su alcuni parametri che possano dichiarare tale inoffessiva e quindi non perseguibile penalmente».
Nel dettaglio, secondo l’avvocato Zaina, bisogna fare molta attenzione ai messaggi che si inviano poiché questi potrebbero generare delle false e pericolose aspettative: «Non c’è una norma che permetta la coltivazione, si tratta di un’affermazione superficiale - prosegue l’avvocato - quello che era tabù continua a rimanere tabù. La Cassazione dice che la coltivazione è reato ma può non essere punita se, unitamente ad altri parametri (limitato numero di piante, minimo contenuto di THC, rudimentalità dell’attività coltivativa, etc.) assolve al fabbisogno personale. Il fatto che poi in alcune circostanze si possa non venire puniti non cambia le cose, la coltivazione resta illegale, non bisogna confondere il risultato finale con un principio normativo, è solo il giudice che può decidere se una coltivazione sia o meno ad uso personale».
Una legge specifica è quindi ancora assente: «Ciò che manca è una legge che regoli i rapporti tra coltivazione, detenzione e uso - conclude Zaina - per poterla realizzare sarebbe necessario un tavolo di alto livello, senza fazioni politiche, in grado di far riflettere anche gli ambienti più conservatori. Oggi purtroppo però non abbiamo sul piano politico persone preparate ed aperte a cambiamenti e, quindi, la coltivazione resta un reato che presuppone sequestro, indagini, processi e che, solo al termine dell’intero percorso, si può arrivare ad una assoluzione che però non può essere data per scontata».