Assolta insegnante con un chilo di Cannabis: uso medico

Marco Ribechi
10 Oct 2022

Il tribunale ribalta la sentenza in primo grado con cui la donna aveva preso 16 mesi di carcere. In appello invece è arrivata l'assoluzione con formula piena perché l'utilizzo era necessario per curare la grave malattia che le provoca dolori cronici


Da sedici mesi di carcere e 800 euro di ammenda all’assoluzione con formula piena. La buona notizia arriva per un’insegnante di Milano sorpresa in casa con alcune piante e circa un chilo di cannabis strettamente necessaria per la cura della patologia cronica con cui è costretta a vivere. 

Il tribunale, nello specifico la quinta sezione penale della Corte d’appello di Milano, ha deciso di ribaltare la sentenza del primo grado che l’aveva condannata a 16 mesi di detenzione e 800 euro di multa. Oggi invece la donna, difesa dall’avvocato Marco Baroncini, è stata assolta con formula piena «perché il fatto non sussiste». La difesa infatti è riuscita a dimostrare inequivocabilmente che la marijuana che deteneva, ma soprattutto coltivava in casa, era necessaria per uso terapeutico e personale.

L’appartamento della donna, residente a Casoretto, era stato oggetto di segnalazioni anonime da parte del vicinato con la motivazione, segnalata anche negli atti del processo, che all’interno girava parecchia erba. Le forze dell’ordine, al momento della perquisizione, avevano quindi ritrovato 739,59 grammi di Cannabis confezionata in barattoli e pacchettini di diverso peso, affermando anche che si trattava senza dubbio di una produzione casalinga e non proveniente dalle piazze di spaccio.

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Durante la perquisizione erano state anche ritrovate tre piante di dimensioni ragguardevoli in fase di fioritura, con un sistema di coltivo e di irrigazione di qualità. La donna di 52 anni, così come sostenuto dalla difesa, utilizzava la Cannabis come terapia con tanto di prescrizione medica a causa dei dolori cronici e lancinanti con cui era costretta a vivere. Tra i punti a favore dell’assoluzione, per dimostrare l’infondatezza della tesi di spaccio, anche il fatto che la donna vivesse in condizioni economiche ottime e che non avesse mai avuto alcun precedente. 

In primo grado, pur avendo dimostrato l’uso personale, la donna era stata condannata per la coltivazione delle piante, vietata anche se per uso personale. Ad arrivare in aiuto della difesa e a favore dell’assoluzione però una sentenza delle Sezioni unite della Cassazione che esclude la colpevolezza per coltivazione quando la Cannabis è necessaria a chi la coltiva. Nel caso in cui ci si trovi davanti a coltivazioni di minime dimensioni svolte in forma domestica con tecniche rudimentali è chiaro che ci trovi di fronte all’evidenza dell’uso personale e non a un’attività di spaccio.

 

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Marco Ribechi