Produce un chilo di Cannabis per curarsi: assolta

Soft Secrets
22 Feb 2022

La donna afflitta da dolore cronico causato da lombosciatalgia è stata assolta dal Tribunale di Milano con formula piena perché la quantità prodotta non era destinata allo spaccio.


Un successo duplice e per nulla scontato considerando che l’assoluzione penale non ha nemmeno innescato conseguenze a livello di sanzioni amministrative, normalmente inevitabili. Il caso, di grande interesse per i pazienti che nel nostro paese sono costretti a coltivare cannabis per migliorare le proprie condizioni di salute, è stato seguito dagli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio dello studio legale.

SSIT: Perché questa assoluzione al di là del caso singolo riveste tanta importanza?

L’interesse del caso risiede in un duplice motivo: innanzitutto la copiosa quantità di infiorescenze di cannabis indica (1 chilo e mezzo) con elevata presenza di THC, in media al 21% proveniente dalla coltivazione dell’imputata; in secondo luogo lo stato di salute della nostra cliente non era assimilabile alla gravità di altri casi che abbiamo seguito in passato (si pensi al caso di Walter De Benedetto): eppure, anche in questo caso, tramite le nostre argomentazioni giuridiche e mediche siamo riusciti a far comprendere al Giudice di Milano che la detenzione della grossa quantità di cannabis non era destinata allo spaccio.

SSIT: Avvocato Simonetti, può spiegarci il caso concreto?

La nostra assistita, da lungo tempo, assume quotidianamente cannabis per combattere i dolori causati dalla lombosciatalgia e, presso la sua abitazione, è stata trovata in possesso di 1 chilo e mezzo di infiorescenze e qualche foglia. Al momento del fatto è stata anche arrestata e, a seguito di udienza di convalida, è stata sottoposta all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria fino al giorno dell’udienza di discussione.

SSIT: Come mai la vostra cliente ha scelto di autoprodurre la sostanza anziché seguire le "vie legali" ?

Il profilo terapeutico della detenzione non va confuso con il carattere medico della cannabis: i due aspetti vanno tenuti ben distinti. La cannabis, dietro prescrizione medica, può essere acquistata in farmacia a pagamento oppure, può essere fornita, a carico del SSN, quando il paziente soffre di una delle patologie indicate nel così detto Decreto Lorenzin. Detto questo, per un paziente, oggi come oggi, non è assolutamente facile reperire cannabis tramite vie "legali".

Gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio
Gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio

SSIT: Per quale motivo?

Per due ordini di ragioni: se non soffre di una gravissima patologia, deve pagare di tasca propria per un costo di circa 30-40 euro per grammo; inoltre, considerato il conclamato difetto di approvvigionamento del medicinale, spesso non è nemmeno possibile reperirlo in farmacia. Ne consegue, quindi, che la cannabis venga coltivata e assunta per fini curativi e terapeutici perché non si è nelle condizioni di acquistarla in farmacia: se auto-coltivata o detenuta, la cannabis può – come nel caso concreto - fare bene alla salute dell’assuntore ed è quindi pienamente terapeutica.

SSIT: Come avete impostato la vostra difesa che, a quanto pare, si è rivelata vincente? 

Anche in questo processo ci siamo avvalsi del nostro consulente medico Dott. Carlo Privitera. In particolare, sulla base di concreti dati scientifici e su specifici dati antropometrici dell’imputata, il Dott. Privitera ha nuovamente dimostrato, come nel caso di Walter De Benedetto (leggi l'articolo), che nel caso di un paziente che si cura con la cannabis risulta fuorviante la "classica somma algebrica" del contenuto di THC come principio attivo. I parametri di farmacocinetica – normalmente utilizzati per il calcolo delle dosi droganti nei casi di consumo ludico o ricreativo (la dose media singola di 25 mg di THC) – non possono ritenersi comparabili con le esigenze di cura dell’imputata. 

SSIT: Per quale motivo in caso di consumo terapeutico i parametri utilizzati per il calcolo delle dosi droganti risulta fuorviante? 

Nel caso di detenzione di cannabis per uso terapeutico la Dose Media Giornaliera può identificarsi con un valore quantitativo maggiore rispetto a quello generalmente utilizzato dal consumatore modello. Per questo, il rilievo del quantitativo totale della sostanza detenuta, pari a 270.756 mg di THC puro, nel caso concreto, è stato considerato pari a un numero di dosi medie giornaliere inferiori rispetto a quelle indicate nel capo di imputazione. 

SSIT: Come avete fatto a convincere il Giudice di Milano che il 1 chilo e mezzo di cannabis al 21% di THC non fosse destinato allo spaccio? 

Abbiamo lavorato sul concetto di presunzione giudiziaria e, come difesa, abbiamo dimostrato che in assenza di altri indici di spaccio la destinazione della sostanza detenuta può essere solo ed esclusivamente terapeutica e non stupefacente per l’imputato. La "funzione medica" della detenzione, quindi, ha colorato di irrilevanza penale la condotta accertata. Abbiamo chiesto al Giudice se ritenesse possibile che una persona "disabile" (o con un forte dolore neuropatico), in cura con la cannabis per gestire le proprie conclamate crisi possa detenere sostanza stupefacente con l’intento di volerne spacciare il prodotto oltre ogni ragionevole dubbio. Il Giudice ha detto no e, quindi, ha assolto la nostra assistita. 

SSIT: La grande novità di questo processo è che il paziente, oltre ad essere assolto dall’accusa penale, non sarà neanche convocato in Prefettura per un’eventuale sanzione amministrativa. Come si è raggiunto questo passo importantissimo per il futuro di tanti pazienti?

Normalmente, in materia di stupefacenti, qualora si dimostri che una condotta non costituisca reato, l’autorità penale invia gli atti alla Prefettura per applicare una delle sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 75 Legge Stupefacenti (la più spiacevole, come noto, è la sospensione della patente di guida). Durante la nostra discussione in aula abbiamo insistito molto sul fatto che, oltre a non meritare la sanzione penale, sarebbe stato ingiusto sottoporre la nostra assistita, dopo il processo, a sanzione amministrativa. Infatti, non riteniamo conforme a Giustizia che un assuntore di cannabis per uso terapeutico debba essere sottoposto a sanzione amministrativa per una condotta che trova la sua ragione nel curarsi. Pertanto, il successo di questo processo è duplice: non solamente siamo riusciti a far assolvere la nostra assistita, ma abbiamo anche evitato che il Giudice decidesse di inviare le carte al Prefetto di Milano per l’eventuale applicazione di una sanzione amministrativa.

SSIT: Possiamo dire che questo precedente ottenuto a Milano costituisce un ulteriore passo in avanti per dimostrare l’irrilevanza penale di una condotta di cannabis per uso terapeutico?

Certamente anche questo nuovo precedente costituisce un passo in avanti rispetto a quanto dimostrato già con il primo processo in materia inaugurato dal caso di Walter De Benedetto. Mentre nel caso di Walter, però, c’è stata un’attenzione pubblica e mediatica per il processo, nel caso di Milano si è svolto tutto nel massimo riserbo perché le tempistiche processuali dell’arresto e del giudizio sono state molto rapide e non c’è stato il tempo di organizzare una pubblicità idonea a presentare anche questo caso delicato. Adesso, invece, anche questo caso si aggiunge a quello di Walter e alle altre archiviazioni (addirittura senza andare a giudizio, chiaramente per quantità minori) che abbiamo ottenuto per altri pazienti che si curano con la cannabis.

 

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