Assoluzione Walter De Benedetto: le motivazioni della sentenza
Fabio Lombardo, il giudice per l’udienza preliminare del processo a Walter De Benedetto ha depositato le motivazione della sentenza con la quale, lo scorso 27 aprile, ha assolto il paziente aretino accusato di coltivare e detenere cannabis in violazione del Testo Unico sugli stupefacenti.
Walter era stato trovato in possesso di una serra con 15 piante, 800 grammi di cannabis in fase di essicazione e 30 grammi, nella propria stanza, per il consumo quotidiano.
Normalmente con un quantitativo di queste dimensioni ed anche in mancanza d’indizi evidenti, è molto difficile scampare ad una condanna per spaccio, in questo caso, però, il giudice ha ritenuto credibili le argomentazioni difensive degli avvocati Miglio e Simonetti dello Studio Tutela Legale stupefacenti ed ha deciso di assolvere Walter perché il fatto non sussiste.
Grazie alla collaborazione dei legali dello studio romano, abbiamo visionato le motivazioni della sentenza che riassumiamo di seguito nei passi più salienti, davvero pertinenti per ogni malato che utilizzi cannabis, ma che si trovi costretto, dallo stato di necessità, a trasgredire la legge per incrementare il proprio fabbisogno o per garantire la continuità terapeutica.
Partendo dalla tesi difensiva, appoggiata dalla testimonianza del Dott. Carlo Privitera, il giudice Fabio Lombardo scrive che Walter De Benedetto coltivava cannabis per integrare la terapia antidolorifica prescritta dalla ASL di Arezzo. Il quadro clinico dell’imputato non lasciava dubbio in relazione alla severa gravità. Partendo da questa constatazione, il giudice ancora il proprio ragionamento intorno all’Art. 32 della Costituzione, quello che tutela, come bene fondamentale, la salute dell’individuo e della collettività. In particolare:
[…] la finalità terapeutica implica una lettura costituzionalmente orientata dell’art 73. e 75 DPR n. 309/90 in combinato disposto con art. 32 della Costituzione il quale tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo. In forza della norma costituzionale, deve ritenersi che quella legislativa di segno contrario debba necessariamente «cedere», per continuare a disciplinare unicamente i casi in cui la prima non trovi applicazione. La coltivazione e consumo di sostanze stupefacenti per finalità esclusivamente curative, in assenza di terapie altrettanto efficaci, rende il fatto del tutto inoffensivo ed in un’ottica di solidarietà umana non può pretendere il rispetto del precetto e sanzionare penalmente.
In poche parole il Giudice mette nero su bianco che in casi del genere è la salute stessa del cittadino ad essere in gioco, salute che grazie alla nostra Costituzione deve essere tutelata in quanto prioritaria rispetto al bene protetto dalla legge sugli stupefacenti, anche perché, continua il togato:
[…] se la punibilità deve essere esclusa tutte le volte in cui la condotta risulti inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto e cioé la salute individuale e collettiva, sarebbe alquanto paradossale, oltre che contrario ad ogni forma di umanità e giustizia, che l’imputato debba essere punito per aver coltivato piante di cannabis con l’unico scopo di tutelare la propria salute e garantirsi in tal modo condizioni di vita più dignitose.
Parole che pesano come macigni perché, per una volta, rendono umano il volto della legge e ci ricordano cosa significhino i concetti di umanità e giustizia, la cui dimensione empatica, in questo caso, ha permesso al giudice di assolvere un cittadino colpevole solamente di voler vivere la propria vita con canoni di dignità più elevata rispetto a quando impossibilitato a disporre della cannabis con la quale si cura.
Secondo gli avvocati Miglio e Simonetti di Tutela Legale Stupefacenti: L’assoluzione permette di fare un passo in avanti rispetto alle linee guida della giurisprudenza in ordine alla rilevanza penale della coltivazione. Fino adesso, infatti, si era parlato solamente della categoria della coltivazione per finalità «ludico-ricreative». Questo precedente giudiziario ci ha dato l’occasione per aprire il “canale” della difesa penale per finalità terapeutiche. Walter, infatti, ha agito non solamente con l’intento di fare un uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente coltivata, ma vi è stato costretto con l’unico obiettivo di lenire i propri indicibili dolori e di garantirsi in questo modo una qualità di vita più dignitosa. Questa sentenza è stata anche la prima che ha preso in considerazione la diversità del “profilo terpenico”, lo studio clinico sulla quantità necessaria per lenire la patologia dell’imputato effettuato dal Dott. Carlo Privitera, infatti, ha messo in luce il diverso calcolo del dosaggio totale giornaliero rispetto alla quantità di una coltivazione per approvvigionamento non terapeutico. La sentenza costituisce il primo ed importante precedente giudiziario perché impone un limite all’operatività delle condotte penalmente rilevanti qualora esse siano poste in essere con finalità esclusivamente terapeutiche e, quindi, inoffensive in concreto nei confronti del bene giuridico protetto dalla Legge Stupefacenti (uno per tutti, la salute pubblica).