Cannabis: la legge è uguale per tutti?

Maria Novella De Luca
26 Apr 2023

La droga fa male, ma il carcere molto di più, soprattutto quando a subirlo non sono i veri spacciatori.


Però purtroppo, a rischiare sanzioni e galera, spesso sono ancora i più deboli, o coloro che vorrebbero investire nel fiorente mondo della cannabis. E questo a causa di un vuoto normativo e di una legge troppo vecchia che non riesce a far chiarezza sui molteplici aspetti legati a questo mondo in espansione.

Attualmente in Italia è legale solo l'uso di farmaci a base di cannabinoidi sotto prescrizione medica, mentre l'uso ricreativo è stato depenalizzato ma è punito come reato amministrativo.  Si può invece finire nel penale, quindi andare in galera, se si coltiva, produce, regala, vende, acquista o si trasporta cannabis.

La legge che regolamenta la cannabis in Italia è la cosiddetta Iervolino Vassalli, ricordata come la 309/90, che da un lato considera “stupefacente” «la cannabis e i prodotti da essa ottenuti», senza effettuare alcuna distinzione rispetto alle diverse varietà e senza indicare alcuna soglia di tolleranza rispetto alla percentuale di THC, e dall’altro esclude dalle coltivazioni vietate la canapa «per la produzione di fibre o altri usi industriali».

Nel 2016 con la legge n. 242, si è cercato di risollevare un settore agricolo quasi scomparso, rimpiazzato da fibre tessili sintetiche e fortemente osteggiato dalla politica mediatica, sostenendo e promuovendo la coltivazione e la filiera della canapa (cannabis sativa L.), come coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità.

Ed è così che molte catene di negozi hanno iniziato a sponsorizzare il cbd, l’ altro principio attivo conosciuto quanto il thc, ma privo dell’effetto psicotropo, una sostanza in grado di rilassare ma senza sballare.

È proprio l’alta percentuale di cbd contenuta nella pianta di cannabis a distinguere, infatti, la “canapa da fibra” (o canapa industriale) dalla canapa utilizzabile a scopo stupefacente. In base a quanto indicato dallo United Nations Office for Drugs and Crime, infatti, se il valore della formula ([THC]+[CBN])/[CBD] (somma delle concentrazioni di THC e del cannabinolo divisa per la concentrazione di cannabidiolo; altrimenti definito rapporto fenotipico) supera la soglia di 1 si sarà in presenza di canapa stupefacente, mentre al di sotto di tale soglia si avrà canapa “da fibra”.

Il vero punto cieco, in realtà, resta comunque l’uso personale. Nella legge 242, infatti, non si fa alcun riferimento all’uso ricreativo della sostanza. Quindi, viene ancora da domandarsi, si può comprare cannabis light e fumarla? La legge, anche su questo è poco chiara, anzi, non si esprime, creando un buco nero normativo. La questione è stata posta alla ribalta con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4920/2019, con la quale si è dichiarato che “La legge (n. 242, ndr) è diretta ai produttori e alle aziende di trasformazione” e, punto saliente, “il riferimento alla tipologia di uso non comporta che siano di per sé vietati per altri usi non menzionati”.

Purtroppo, una legislazione poco chiara, insieme al pregiudizio verso qualsiasi tipo di consumo, portano al rallentamento di un mercato che negli ultimi anni ha dimostrato di voler crescere e poter offrire tante nuove opportunità di lavoro. Porta inoltre a tanti processi, spesso lunghi e inutili, dove ad essere imputato non è lo spacciatore.

Poche industrie al mondo, in effetti, devono confrontarsi con tanti problemi complessi come l'industria della cannabis. Muoversi in questo mondo richiede la comprensione e la formazione specifica su normative e aspetti che riguardano l'uso medico, quello alimentare, nonché l’industria in espansione dell'olio di cannabidiolo (CBD) e della canapa usata sempre più nell’edilizia e nell’industria tessile. Un continuo aggiornamento

Per questo, negli anni, sono nate, negli Stati Uniti come in Europa, molte società di consulenza, che offrono servizi legali sofisticati per tutte le esigenze. Molte di queste società utilizzano i migliori avvocati della categoria per fornire consulenza legale nelle aree sostanziali che interessano i clienti o sono influenzate dall'industria della cannabis. Come lo studio legale svizzero MLL, le americane Dentons o Duane Morris e molte altre.

Restando nel nostro Paese, uno dei punti di riferimento per privati e aziende che si trovano ad affrontare problematiche legali legate alla cannabis, è lo studio  “Tutela Legale Stupefacenti” degli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti. Uno studio che vanta da anni specifiche competenze nel settore ed è diventato una guida per affrontare nuove e vecchie sfide del mondo della cannabis, come la coltivazione a scopo terapeutico e la commercializzazione della cannabis light e dei suoi derivati.

Una pagina importante nella giurisprudenza del nostro paese, raggiunta da questi avvocati, su quella che è ancora oggi la battaglia di tanti pazienti che faticano a curarsi con cannabis terapeutica, è stata quella di Walter Di Benedetto, affetto da una una grave forma di artride reumatoide, una malattia infiammatoria cronica sistemica che gli aveva causato la tumefazione e deformazione delle articolazioni. 

Qualche anno prima di lasciarci nel 2022, Walter era stato imputato e processato per coltivazione di sostanza stupefacente, dopo il rinvenimento in casa di una serra con 15 piante di cannabis e 800 grammi di infiorescenze.

Gli avvocati riuscirono a dimostrare al giudice che il solo dato quantitativo di per sé, non era dirimente pur essendo, in quel caso, una quantità non trascurabile. Quello che era dirimente, infatti, era la finalità per la quale si coltivava che per Walter era quella di lenire i dolori dati dalla patologia. Quella è stata sicuramente un’importante vittoria per Walter che tanto aveva lottato e un bel successo degli avvocati nel riuscire a dimostrare l'irrilevanza penale della coltivazione per scopo personale ed in particolare a scopo terapeutico. Ma una vittoria costata grande fatica a un paziente che non avrebbe mai dovuto soffrire altro oltre la sua malattia.

Lo spirito che fin ora ha guidato questi avvocati nelle aule di giustizia, nella speranza di un intervento risolutivo del Parlamento, ci fa ben sperare che esiste una via per semplificare le cose per i pazienti e per l’intero settore in fortissima espansione, affinché sia un giorno finalmente libero dai pregiudizi e retaggi culturali che ne stanno inevitabilmente frenando il cammino.

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Maria Novella De Luca