Cannabis terapeutica: ultima frontiera nella cura della fibromialgia
Sebbene la fibromialgia sia una patologia che colpisce circa due milioni di persone in Italia, prevalentemente donne, viene definita una malattia invisibile, perché difficile da diagnosticare e perché alla base ha il dolore, e il dolore non si vede
È quello che ci racconta Daniela Romeo, una donna di 52 anni, insegnante di Storia e Filosofia, che ne soffre dal 2010, quando le è stata diagnostica in seguito ad un incidente stradale.
L’incidente è risultato essere il fattore scatenante della patologia, infatti come ci spiega Daniela questa patologia dipende dal nostro sistema immunitario che se stressato da traumi, può produrre malattie che non trovano cure, perché le malattie autoimmuni, purtroppo, non hanno cure.
Al momento le cause della sindrome fibromialgica non sono note e inquadrare una patologia di questo tipo resta estremamente complesso: molti sintomi sono aspecifici e comuni ad altre patologie muscoloscheletriche. È stato difficile, anche per Daniela, infatti, giungere a una diagnosi ma anche trovare una terapia che non avesse effetti collaterali. I dolori lancinanti non passavano e dopo essere stata in cura da un neurologo per due anni, è stata indirizzata a una reumatologa.
È stata lei a diagnosticare nel 2010 la sindrome del dolore cronico: la fibromialgia, appunto.
La fibromialgia è una patologia definita invisibile anche per questo, perché non si può rilevare da dati scientifici ma solo per esclusione di altre patologie. Essendo una sindrome ha anche tanti altri sintomi come disturbi del sonno, colon irritabile, bruciore intimo, fibro fog, ma il più invalidante resta il dolore. Un dolore muscolare diffuso che non risponde a nessun tipo di farmaco allopatico. Purtroppo c’è ancora poca informazione. Tuttavia per chi ne è affetto, essa è causa reale di dolore cronico e di stanchezza ed ha un impatto devastante sulla sua qualità di vita. Per questo, deve essere affrontata come ogni altra malattia cronica. Tutti coloro che ne soffrono seguono, inizialmente lo stesso percorso di cura: iniziano assumendo antidolorifici, oppiodi, benzodiazepine, morfina, tutti farmaci prescritti dal reumatologo, l’unico specialista di riferimento a poter diagnosticare la patologia, secondo un protocollo canadese del 1992.
“Quando questi farmaci si rivelano inefficaci, come ultima spiaggia, da qualche anno a questa parte, si prescrive anche la cannabis terapeutica, che non ha controindicazioni ed è l’unico farmaco che funziona realmente sul dolore, sull’umore, sul sonno e sulla tensione muscolare” continua a spiegarci Daniela.
Purtroppo però, essendo un farmaco molto costoso, è difficile da reperire, sia privatamente che gratuitamente con il sistema sanitario nazionale.
Quindi la cura con la cannabis, pur risultando molto efficace sulla patologia risulta esserlo molto meno per quanto riguarda la continuità terapeutica.
Oltre questo Daniela ci spiega anche che ancora oggi c’è poca preparazione da parte dei medici della terapia del dolore che di conseguenza, non sanno neanche preparare e accompagnare adeguatamente a questo tipo di cura, il paziente.
I pazienti quando sentono parlare di cannabis si terrorizzano pur avendo accettato precedentemente cure con oppiodi molto forti.
“Giustamente, se a un paziente che prendeva la morfina gli prescrivono 4 gocce di cannabis, come può sentire il sollievo”? continua Daniela, sottolineando la discrepanza che esiste tra la possibilità di prescrivere questo farmaco e l’incapacità di saperlo gestire, con l’unico risultato di ottenere cure poco soddisfacenti che allontanano il paziente.
Questo è un vero peccato considerando che la cannabis per Daniela, come per molte altre pazienti, si è rivelato il farmaco migliore per affrontare tutti i sintomi invalidanti della patologia. L’unico farmaco che, dopo essere diventata allergica alla tachipirina, all’ibuprofene e al nimesulide, non ha avuto su di lei, effetti collaterali.
Perché il paradosso, spesso, è proprio questo, che per annullare gli effetti collaterali dei farmaci cosiddetti FANS, bisogna assumerne altri. Un cane che si morde la coda che peggiora condizioni di salute già molto precarie.
La cannabis funziona innanzi tutto perché è naturale, non è un farmaco invasivo e non ha effetti collaterali, se non quello di dare appetito, ci spiega Daniela sorridendo e sottolineando che l’appetito è il benvenuto considerando che è una delle prime cose che scompare a causa del dolore.
Inoltre la cannabis è un farmaco che si presta ad essere assunto in tanti modi diversi: sotto forma di olio, di capsule, di decotto o vaporizzazione. Una volta che il paziente trova il suo principio attivo, quello diventa il suo farmaco e riesce a gestirlo, anche in autonomia, perché il nostro sistema endocannabinoide risponde bene ai cannabinoidi che immettiamo nel nostro corpo.
Quindi è un farmaco naturale che va a curare quelle mancanze che ha il nostro organismo.
Purtroppo però più volte Daniela ci ricorda che poter accedere a questa terapia è molto complicato, soprattutto attraverso il servizio sanitario nazionale.
Lei stessa che, fino a poco tempo fa seguiva in erogazione gratuita in ospedale, una terapia con infiorescenze e capsule di Bedrocan per tenere sotto controllo il dolore, l’appetito, l’umore e la nebbia cognitiva; Bedica come miorilassante e Bedrolite come antinfiammatorio, oggi non può più averla perché rappresenta un costo troppo alto per lo Stato.
Accedere all’erogazione gratuita nella regione Lazio è un processo lungo e complesso anche solo da descrivere a parole. Daniela, infatti, mentre ce lo descrive sembra rivivere la stanchezza provata in anni di attese e battaglie. È un processo che comprende tantissimi passaggi che hanno inizio solo se si hanno dei requisiti: soffrire di dolore cronico e non rispondere alle terapie convenzionali.
A decidere se questo viaggio nella burocrazia sanitaria italiana potrà o no avere inizio sarà il terapista del dolore che in base ai risultati della visita prescriverà o meno il farmaco.
Una volta entrati nell’erogazione gratuita, il paziente dovrà recarsi in ospedale, solo dopo aver ricevuto un appuntamento per cui potrebbero trascorrere anche mesi. Solo a questo punto, l’ospedale invierà la ricetta alla farmacia ospedaliera che a sua volta la invierà a una farmacia galenica per la trasformazione del principio attivo in farmaco. Una volta pronto il farmaco il paziente finalmente potrà andare a ritirarlo.
A questo calvario si deve aggiungere il fatto che spessissimo la cannabis non si trova.
“Il numero di pazienti è aumentato notevolmente” ci spiega ancora Daniela, e “purtroppo il Ministero della Salute non permette di aumentare le importazioni perché ritiene che questo farmaco sia una droga”.
Quindi, purtroppo, ancora una volta dobbiamo registrare una grande distanza tra coloro che soffrono e dovrebbero avere diritto alle cure necessarie per una vita dignitosa, e lo Stato che resta sordo di fronte alle necessità e richieste di cittadini in difficoltà.
Fin quando le Istituzioni non si metteranno in ascolto delle loro voci, dei loro disagi, dei loro bisogni, i pazienti in cura con la cannabis terapeutica avranno sempre problemi ad accedere alle terapie, sia nel privato che nel pubblico.
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