Jessica Giuffrida: neuroscienze ed il sistema endocannabinoide
Jessica Giuffrida è laureata in Neuroscienze Cognitive e Comportamentali presso l'Università di Padova dove si è anche specializzata in Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale
Nel corso dei suoi tirocini clinici si è concentrata prevalentemente sulla neuropsicologia dell'età evolutiva, sulla diagnosi e trattamento di patologie cerebrali congenite e acquisite in soggetti di età adulta e sulle patologie neurodegenerative associate all’invecchiamento. Dal 2012 opera nel campo della ricerca clinica, concentrandosi prevalentemente su patologie neurocognitive e psichiatriche e, nel 2015, si è trasferita in Francia dove per quattro anni ha praticato attività clinica e insegnato all’Università di Nimes. Grazie alla sua disponibilità, oggi parleremo con lei del sistema endocannabinoide attraverso il prisma delle neuroscienze.
SSIT: Quando è la prima volta che ricorda aver sentito parlare del Sistema Endocannabinoide?
Considerando che l’N-arachidonoylethanolamide (poi fortunatamente denominato Anandamide) è stato isolato per la prima volta nel 1992 e che i libri di testo si aggiornano ad una velocità ridotta rispetto alla letteratura scientifica, credo di averne sentito parlare, brevemente, sul finire degli anni novanta durante il corso di biologia in seconda liceo.
SSIT: Ricorda quale impressione le fece scoprire che il nostro corpo produce gli stessi composti chimici prodotti in natura dalla cannabis?
Non posso dire che tale scoperta mi abbia particolarmente sorpresa: l’elevato grado di risposta del nostro cervello alle sostanze chimiche è generalmente dovuto alla presenza di recettori compatibili con tali sostanze. Questo può avvenire per diverse ragioni, ma principalmente perché la molecola esterna ha una struttura simile ai principali neurotrasmettitori prodotti dal cervello – è il caso, ad esempio, della similarità strutturale tra i principi attivi degli psichedelici classici e la molecola di serotonina; oppure perché il cervello produce sostanze specifiche, estremamente simili ai principi attivi esterni – è il caso degli oppioidi endogeni, la cui struttura molecolare differisce minimamente da quella della morfina.
SSIT: Come descriverebbe il ruolo dei recettori celebrali?
I recettori possono essere paragonati a spazi di parcheggio, la cui forma è adattata ad un modello di automobile. Se un’automobile molto simile a quella originaria si immette nel “traffico” delle molecole che entrano in contatto con il cervello, questa individua il parcheggio più compatibile alla sua struttura e si ferma lì, bloccando l’accesso delle molecole endogene destinate ad agire su tali recettori.
SSIT: Quindi i ricettori sono stimolati maggiormente dalle sostanze esterne?
È stata osservata una maggiore affinità tra le sostanze esogene e i recettori compatibili: è per questa ragione che gli effetti di tali sostanze che, di base, sono analoghi a quelli delle sostanze endogene, risultano notevolmente amplificati. Nel mio percorso, ho sviluppato un interesse particolare per gli stati alterati di coscienza, condizioni che mettono apparentemente in stallo la modalità di funzionamento “di default” per lasciare spazio ad…altro. Sono condizioni comunemente associate all’utilizzo di sostanze psicoattive, ma non solo: possiamo pensare alla trance agonistica, in particolare negli sport di endurance (Runner’s high) o alla meditazione, o alle conseguenze di alcuni metodi di respirazione.
SSIT: Ci vuole parlare dei cannabinoidi endogeni cioè prodotti internamente dal nostro corpo?
I cannabinoidi endogeni agiscono su diversi aspetti fisiologici, cognitivi e psicologici (umore, processi cognitivi, percezione della fame, reazione immunitaria, etc.). Le due molecole principali sono l’anandamide (AEA) e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG). Una volta sintetizzate, tali molecole vengono immediatamente rilasciate dalla cellula e si legano ai recettori cannabinoidi presenti su cellule limitrofe o sulla stessa cellula che li ha prodotti.
SSIT: Quali caratteristiche specifiche presentano tali cannabinoidi?
La peculiarità dei cannabinoidi endogeni è la loro azione di messaggeri retrogradi. Sintetizzati nella cellula postsinaptica, attivano dei recettori specifici, i recettori CB1, degli assoni [NDR. prolungamento principale della cellula nervosa che conduce gli impulsi verso la periferia] della cellula presinaptica modulando in tal modo la trasmissione sinaptica. I recettori CB1 sono presenti soprattutto nell’encefalo (strutture sottocorticali, ippocampo e amigdala) e, in misura minore, nel cervelletto. Al di fuori del sistema nervoso centrale i recettori CB1 si trovano nei polmoni, nel fegato, nei reni e nelle cellule dell'apparato riproduttivo sia maschile che femminile.
SSIT: Ed i cannabinoidi presenti in natura?
I cannabinoidi esogeni, quali il THC e il CBD, agiscono sugli stessi meccanismi, ma l’intensità di tale azione è amplificata al punto tale da impedire qualsiasi interazione tra i cannabinoidi endogeni e i recettori specializzati: tale effetto è alla base dei meccanismi di dipendenza che possono instaurarsi nel lungo termine.
SSIT: Per una neuroscienziata quale importanza riveste il sistema endocannabinoide per il funzionamento del corpo umano?
Gli endocannabinoidi esercitano un’azione neuromodulatrice regolando il rilascio di altri neurotrasmettitori come il glutammato, il GABA, la dopamina e la serotonina. In questo modo, contribuiscono all'equilibrio e alla stabilità dei processi che avvengono nel Sistema nervoso centrale. Inoltre lavorano sulla memoria e sull’apprendimento. La modulazione della plasticità sinaptica da parte degli endocannabinoidi, infatti, può influenzare, a lungo termine, sia il potenziamento ossia la facilitazione della creazione delle connessioni tra neuroni, sia la depressione e cioè l'impedimento nella creazione di altre connessioni. In questo caso, quindi, depressione non viene intesa in senso psicopatologico, ma come l'inibizione di alcune connessioni sinaptiche essenziali per la formazione della memoria. In terzo luogo, gli endocannabinoidi sono associati ad effetti neuroprotettivi e, infatti, possono contribuire a ridurre i danni neuronali e l'infiammazione come risposta a diverse lesioni, come traumi cranici, ictus e malattie neurodegenerative.
SSIT: E per quanto riguarda la regolazione del dolore?
Sia a livello centrale che periferico, il sistema endocannabinoide svolge un ruolo significativo nella sua regolazione. Gli endocannabinoidi, infatti, possono inibire le vie di segnalazione del dolore e attenuare la sua percezione. Ma c'è ancora, pensiamo al fatto che gli endocannabinoidi sono coinvolti nella regolazione dell'umore e dell'elaborazione emotiva. La disregolazione del sistema endocannabinoide è stata correlata a disturbi dell'umore come ansia e depressione. In ultimo, credo sia importante precisare che tali funzioni sono prerogativa dei cannabinoidi endogeni e che sono profondamente alterate, non sempre in modo adattivo, in seguito all’assunzione di cannabinoidi esogeni.
SSIT: Quali direttive di ricerca sono le più interessanti da sviluppare in riferimento a questo sistema endogeno?
Gli ambiti di ricerca potenziale sono molteplici e spaziano dai meccanismi di regolazione e trattamento del dolore, all’azione del sistema endocannabinoide sull’appetito, al fine di comprenderne il ruolo nel trattamento dell’obesità. Un altro settore estremamente importante riguarda l’interazione tra il sistema endocannabinoide e il sistema immunitario: la ricerca esplora l’azione modulatrice sui processi infiammatori, con potenziali implicazioni per le malattie autoimmuni e infiammatorie. Personalmente sono particolarmente interessata da due tematiche: il ruolo del sistema endocannabinoide sui meccanismi di plasticità cerebrale e la possibilità che, tra le varie funzioni del sistema cannabinoide endogeno, vi sia anche un’azione neuroprotettiva. Uno dei principali assi di ricerca, infatti, riguarda l’azione degli endocannabinoidi sulla trasmissione sinaptica e l’intervento sui processi di apprendimento e memoria. Un altro ambito, più recente, si concentra invece sull’ipotesi che il sistema endocannabinoide possa essere coinvolto nella prevenzione o nel trattamento di patologie neurodegenerative come l'Alzheimer, il Parkinson e la sclerosi multipla.
SSIT: A livello cognitivo quali impatto ha la cannabis sul nostro cervello?
Intanto il fumo e il vaping comportano un’esposizione rapida del cervello non solo ai principi psicoattivi, ma anche alle sostanze chimiche a cui tali principi si legano, con un effetto neurotossico fin dalle prime esposizioni. Gli effetti collaterali in tal senso sono meno rilevanti quando la cannabis viene ingerita in forma di edible, dato il maggior controllo sul dosaggio e l’assenza di leganti. Poi è importante tenere in conto la reattività soggettiva data dal profilo genetico specifico, dalle eventuali esperienze precedenti, dalla quantità consumata e dalla composizione del prodotto. Comunque, come per tutte le sostanze psicoattive, inclusa la caffeina, si deve valutare l’età di esposizione e sarebbe opportuno evitare l’esposizione nelle fasi critiche di sviluppo del cervello, a meno che tale esposizione non sia giustificata da ragioni mediche. In ultimo, ovviamente, sono da considerare la quantità consumata e la frequenza di consumo come variabili essenziali.
SSIT: Fatte queste premesse possiamo descrivere le principali implicazioni celebrali del consumo di cannabis a breve termine?
A breve termine la cannabis causa interferenze con memoria, attenzione e concentrazione, riducendo temporaneamente le prestazioni cognitive. In secondo luogo l'utilizzo di cannabis riduce temporaneamente le abilità di coordinazione e la reattività; quindi, come per l’alcool, è fondamentale evitare di guidare o di esporsi a situazioni potenzialmente pericolose. Gli effetti psicoattivi della cannabis, principalmente dovuti al delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), possono includere euforia, sensazioni di rilassamento o, in alcuni casi, ansia, ma come specificato precedentemente, gli effetti sperimentati sono soggettivi e dipendono dal profilo genetico di ciascuno. Infine, gli effetti psicoattivi possono incentivare la fase del processo creativo dominata dal pensiero divergente.
SSIT: E a medio-lungo termine?
A medio termine l'uso cronico può portare a una riduzione della sensibilità agli effetti dei principi psicotropi contenuti, richiedendo quantità sempre maggiori per ottenere gli stessi effetti. L'uso prolungato e la sua successiva sospensione possono portare a sintomi di astinenza, come irritabilità, ansia, disturbi del sonno e perdita dell'appetito. In terza istanza, l'uso regolare di cannabis può aumentare il rischio di sviluppare o peggiorare disturbi dell'umore, come ansia e depressione, soprattutto nelle persone geneticamente predisposte. Per quanto concerne l'esposizione a lungo termine, l'uso cronico durante l'adolescenza e la giovane età adulta, quando il cervello è ancora in fase di sviluppo, può influenzare negativamente la maturazione del cervello e comportare un rischio di dipendenza. Infine, l’esposizione a lungo termine (dovuta ad un consumo pressoché cronico) comporta rischi che esulano dagli aspetti prettamente cognitivi e psicologici come problemi respiratori e l'impatto sul sistema cardiovascolare.
SSIT: Sappiamo che la stessa pianta può curare disturbi psichiatrici, ma anche slatentizzare schizofrenie dormienti. Che ne pensa?
La cannabis contiene moltissimi principi attivi, dunque, gli effetti terapeutici o slatentizzanti dipendono da quali principi attivi sono presenti in modo preponderante nella varietà consumata, dal profilo genetico e neurochimico e dall’eventuale vulnerabilità del soggetto per determinate patologie psichiatriche.
Leggi anche:
Scienza: il Professor Mauro Maccarrone sul Sistema Endocannabinoide