Soffrire di fibromialgia nella capitale, la storia di Daniela

Fabrizio Dentini
14 Nov 2024

Daniela Romeo ha cinquantadue anni è insegnante di scuola secondaria e vive a Roma. Nel 2007 soffre un incidente stradale e tale evento traumatico accelera il decorso della sua malattia: la fibromialgia. Questa è la sua storia, esempio fulgido di coraggio stoico, pazienza tetragona e voglia di vivere una quotidianità scevra dal dolore


SS: Buongiorno Daniela, intanto cosa significa convivere con la fibromialgia?

La mia vita è basata sul mio stato di salute, dipendo dal mio lavoro e vivo da sola. Ci sono giorni che mi sembra di sopravvivere più che vivere.

SS: Quando hai avuto la diagnosi e come sei stata trattata con la medicina ortodossa?

Nel 2008 disperata per la mia condizione di salute, dopo aver fatto mille terapie, analisi, radiografie, TAC, una mia collega m’indirizzò verso un neurologo dell’Umberto I di Roma, il Dottor Renzo Guglielmi il quale mi prese in cura per circa due anni. Ho preso anti epilettici, antidepressivi e miorilassanti, ma senza alcun risultato. Fu egli che, vedendo che il dolore non rispondeva a nessuna cura, mi mandò da una famosa reumatologa della stessa struttura, la Dott.ssa Manuela Di Franco, la quale, nel luglio del 2010, mi diagnosticò la “sindrome fibromialgica”. Il protocollo medico che cominciai a seguire e che si è rivelato inefficace e dannoso per la mia salute, era a base di antidepressivi, anti epilettici, FANS e, dal 2011, anche oppioidi. Così, oltre a dover fare da cavia umana, ho subito miliardi di effetti collaterali e sviluppato la steatosi epatica. Gli anti epilettici, invece di rilassarmi i muscoli, mi provocavano tremori agli arti, l’Expose, un miorilassante mi ha bloccato completamente le gambe, lo Xanax mi ha fatto perdere il senso della realtà e causato, per questo, paura profonda e un attacco di panico, infine, gli oppioidi ti rendono apatico e ti fanno chiudere in te stesso con grandi difficoltà a vedere lateralmente e percepire la distanza...Non so nemmeno più quanti specchietti della macchina ho rotto...

 

SS: Come hai scoperto nella cannabis un valido alleato terapeutico?

Già da tempo cercavo cure alternative a quelle allopatiche, provando e fallendo miseramente, facendomi abbindolare da vari integratori che non hanno avuto nessuno risultato ma che ho preso per disperazione. Sono diventata farmacoresistente e il mio corpo mi chiedeva di disintossicarmi. Finalmente, nel 2015, una mattina, mentre mi dirigevo a lavoro su Radio Due sento parlare di cannabis terapeutica che, usata in un ospedale di lunga degenza, aveva fatto camminare anziani che da anni stavano sulla sedia a rotelle. Corsi dalla mia reumatologa, ma lei non sapeva come aiutarmi. Grazie ad internet e ai social media sono approdata al Dottor Carlo Privitera, con il quale, da settembre 2016, ho intrapreso un nuovo percorso di cura, disintossicando il mio povero fegato e riacquistando anche una nuova voglia di vivere.

SS: Quali effetti collaterali ha la cannabis terapeutica e al momento come la reperisci?

Gli unici effetti collaterali della cannabis sono la difficile accessibilità alla prescrizione, il costo e la reperibilità nelle farmacie. Dal 2016 al 2019, per avere la continuità terapeutica, mi sono venduta anche i miei pochi gioielli. Insieme ad altri pazienti abbiamo portato la nostra voce in Senato e manifestato il nostro disagio. Dopo lunghe trafile e giri di ospedali, nel dicembre del 2019, sono riuscita ad entrare in erogazione gratuita all’ospedale Gemelli di Roma.

SS: Quale è la tua posologia quotidiana?

In precedenza, per quasi due anni, ogni due mesi circa l’ospedale mi erogava 30 grammi di Bedrocan (thc) in infiorescenze da vaporizzare e 90 capsule decarbossilate per combattere il dolore. Come miorilassante e antinfiammatorio ricevevo 30 capsule di Bedrolite (cbd) e, per dormire, 30 capsule di Bedica (thc) e 30 grammi d’infiorescenze da vaporizzare. La spesa complessiva superava i 900 euro. Purtroppo quando è cambiato il Direttore Generale dell’ospedale, la posologia che mi stavano fornendo venne considerata troppo costosa e quindi interrotta.

SS: E come è stata sostituita?

Con una misera boccetta di Bedrocan da 50 ml di olio e 5 grammi di principio attivo. Secondo il terapista del dolore del Gemelli, dovrei assumere 40 gocce al dì, ma siccome passano anche due mesi e più per riaverlo me lo devo fare bastare e lo prendo alla bisogna se non ho altre alternative.

SS: Quale genetiche hai utilizzato? Quelle importate o quelle prodotte in Italia?

Con il Dottor Privitera avevo ricercato le mie genetiche provandone l’efficacia con il passare del tempo. Quelle che mi aiutano sono tutte olandesi e importante anche perché l’Italia non produce più nulla perché il prodotto era poco e scadente. Quando in ospedale non è reperibile il farmaco ed ho disponibilità economiche (raramente) lo acquisto privatamente in farmacia, circa 200 euro per 20 grammi più 60 euro per la preparazione galenica. Per avere la mia terapia completa dovrei pagare intorno alle mille euro.

SS: Sei mai stata costretta a rivolgerti al mercato nero?

L’unica volta che mi sono rivolta al mercato nero era in agosto ed ho acquistato una vera schifezza.

SS: Riesci a coniugare il tuo quadro clinico con il lavoro?

Negli ultimi anni mi sono assentata spesso dal lavoro, ma se avessi più terapia starei sicuramente molto meglio.

Questo articolo è tratto dal numero 05/2024 della Rivista cartacea Soft Secrets

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