Cannabis in Sud Africa: Myrtle Clark e la storia della “Dagga couple”

“L’umanità ha il diritto fondamentale alla libertà cognitiva. Si tratta del diritto di consumare sostanze senza interferenze da parte dello Stato o di chiunque altro fino a quando non si danneggiano gli altri o non si fa così tanto male a se stessi da gravare in modo inaccettabile sulle risorse dello Stato”
Diritti umani, privacy, sovranità personale e libertà cognitiva. Siamo in Sud Africa, il paese delle epiche battaglie civili di Nelson Mandela. In quella
terra ai confini del mondo, Myrtle Clark e suo marito Julian Stobbs, sono diventati, loro malgrado, una coppia celebre in tutto il paese: la Dagga
Couple [Ndr. La coppia della marijuana].
Julian Stobbs è scomparso tragicamente nel 2020, oggi quindi siamo in compagnia di Myrtle, sua moglie, che con passione ed impegno ci racconta come si combattono le ingiustizie nella terra in cui, sino allo scorso 1994, regnava ancora un terribile Apartheid.
SS: Buongiorno cara Myrtle, ci racconta come siete diventati la “Dagga Couple”?
Siamo nel 2010, alle due di mattina a Pretoria nel nord del paese. La polizia fa irruzione nella nostra dimora e rinviene 1.8 chili di DAGGA il nome più
diffuso in Sud Africa per indicare la cannabis. Per questo motivo siamo stati incriminati per detenzione e spaccio, siamo stati arrestati e, da quel momento, i media nazionali hanno cominciato a chiamarci la “DAGGA couple”.
SS: Come avete reagito a questa intrusione notturna?
Avevamo tre percorsi da scegliere. Accettare di sporcare il casellario giudiziario, con le conseguenze che si possono temere a livello professionale
e soprattutto affrontare una punizione detentiva dai 7 ai 10 anni. Potevamo corrompere la polizia, cosa molto comune in questo paese e, sicuramente, l’opzione più economica. Infine, approfittando della nostra situazione economica stabile grazie al lavoro di entrambi, potevamo scegliere di combattere la legge.
SS: Se non aveste preso la terza strada oggi non saremmo qui...
Durante il primo biennio abbiamo cominciato a combattere, concentrandoci sulla creazione di un forte seguito social che a quell’epoca erano ancora all’inizio. Nel 2013 ci siamo resi conto che il lavoro di sensibilizzazione ci stava travalicando e quindi abbiamo scelto di creare un’associazione no-profit per la raccolta dei fondi necessari ad una campagna per una legislazione giusta ed equa: Field of Green for ALL. Bisogna sapere che dal 1994 il Sud Africa è una democrazia costituzionale. Possediamo una “World Class Constitution”: una Carta fondamentale dei diritti molto solida nata dopo l’Apartheid. Grazie a questo abbiamo potuto denunciare il Governo per aver implementato leggi illegali secondo la Costituzione.
SS: Su quali basi?
L’Apartheid è terminato nel 1994 e in seguito a questo storico evento ogni singola legge in Sud Africa è stata cambiata. Solo la legge sugli stupefacenti
e sulla cannabis non sono state modificate. Per questo ci riferiamo a loro come alle ultime leggi dell’Apartheid. Questo perché nonostante la nostra Costituzione sia garantista, il Sud Africa e l’Africa, in generale, rimangono profondamente conservatrici e religiose.
SS: Come siete riusciti a ribaltare la prospettiva e a passare dal vostro processo al processo contro il Governo del vostro paese?
Sulla base di quanto detto il nostro processo è stato posto in stand by dalla Corte Costituzionale e così siamo passati all’attacco del Governo presso
la Corte Suprema. Abbiamo seguito un’applicazione della Corte dal nome “to Stay a criminal Prosecution”: quest’applicazione sospende i carichi pendenti fino a quando non viene risolta la dimensione di costituzionalità sollevata ed eventualmente la Corte costringe il Governo a cambiare la legge in accordo con la Carta Costituzionale. A giugno 2011 abbiamo visto sospendere le nostri imputazioni e questo ci ha permesso, nel 2018, dopo aver fatto appello, costituito un gruppo di avvocati agguerriti e lanciato un crowdfounding, di citare in giudizio il Governo presso la Corte Costituzionale.
SS: Dal 2011 al 2018 come avete lavorato alla vostra difesa?
In quegli anni abbiamo aiutato migliaia di concittadini imputati per infrazioni legate alla cannabis affinché seguissero il nostro medesimo percorso.
Perché se la legge è uguale per tutti, se io e mio marito siamo riusciti a far sospendere le nostre imputazioni, la strada avrebbe potuto essere seguita anche da altre persone con medesime accuse ed una situazione finanziaria adeguata. Al momento, infatti, oltre al mio caso ce ne sono almeno un altro centinaio simili ed anche loro hanno tutti ottenuto la sospensione delle imputazioni. Tutt’oggi, il mio caso è sospeso e, dal 2010, sono libera su cauzione.
SS: Avete documentato il vostro processo con numerosi video che si trovano online ed avete cominciato a riferirvi al vostro processo giudiziario come se il procedimento fosse diretto contro la pianta. Ci racconta cosa rappresenta il “Trial of the Plant” per il vostro paese e per gli attivisti di tutto il mondo?
L’aspetto principale è che la pianta in quanto tale non deve essere necessariamente illegale e lo diventa solo in relazione all’utilizzo dell’uomo. Abbiamo quindi deciso d’intitolare il nostro processo “Processo alla Pianta” perché era una maniera d’enfatizzare il fatto che si stesse parlando di una semplice pianta, qualcosa che non noi, ma il Governo, per renderla illegale, avrebbe dovuto provare come nociva. Il processo alla Pianta si basa su quattro piattaforme: il consumo responsabile degli adulti, che preferiamo al termine uso ricreativo, il consumo tradizionale inteso come culturale e religioso, il consumo per la salute, in opposizione al consumo terapeutico, per differenziarsi da chi riceve cannabis sotto prescrizione medica e quindi sotto il potere farmaceutico e, per ultimo, il consumo per applicazioni industriali. Le nostre prove si sono strutturate attorno a questi quattro pilastri e credo che, a livello mondiale, siamo stati i primi a lavorare sulle quattro direzioni allo stesso tempo.
SS: FIELD OF GREEN FOR ALL ritiene che tutte le persone abbiano un diritto umano e costituzionale a usare, possedere, coltivare e commerciare
Cannabis. Come avete articolato questa affermazione?
Alla base del ragionamento c’è il concetto di libertà cognitiva. Uno dei primi documenti prodotti venne firmato dal medico Carl Sagan. Lì, per la prima volta, venne messa in relazione la libertà cognitiva con il consumo di sostanze psichedeliche. Questo ebbe un effetto molto profondo perché ci aprì gli occhi sul coinvolgimento a livello di diritti umani.
SS: Che ruolo gioca la tutela del diritto alla libertà cognitiva?
La mia mente, il mio corpo, la mia scelta. La premessa è che sino a quando non sto nuocendo a me stesso o al prossimo o all’ambiente, non esistano basi per il proibizionismo della cannabis. Sottrarmi il diritto di avere la possibilità di utilizzare una pianta che posso coltivare nel giardino di casa mia, è una maniera di negare la mia libertà cognitiva e questo non si applica solo nel mio caso, ma anche a chi utilizza cannabis per il suo significato religioso o per chi l’utilizza attraverso qualunque attività commerciale. Infatti, dal momento in cui la cannabis e quanto guadagnato dal suo commercio co feriscono alla persona sicurezza economica, rendendo la sua posizione sociale più sicura, è un suo diritto scegliere di guadagnare con questa pianta e lo Stato non ha diritto di intervenire. Il concetto di libertà cognitiva quindi non si riduce alla dimensione intellettuale e psicologica, ma include anche
applicazioni molto pratiche.
SS: Qual’ è stata la reazione della Corte Suprema a questo concetto di libertà cognitiva?
Grazie ad un gruppo di esperti dell’Università che il Giudice aveva chiamato come consulenti esterni, venne sottolineato come l’unico risultato positivo che poteva uscire dal nostro caso era quello che riguardava la sfera della privacy. La Corte Suprema, quindi, diramò una sentenza in favore della privacy, nella quale dichiarava che consumo e coltivazione di cannabis all’interno di ambienti privati e senza indice di spaccio, devono essere permessi. Questa decisione ha reso il nostro paese il primo al mondo a legalizzare la coltivazione domestica di cannabis perché in Sud Africa il rispetto della privacy è considerato prioritario.
SS: Oggi, qual è il quadro legislativo per la produzione, il consumo e la distribuzione di cannabis in Sud Africa?
La cannabis non è legale in Sud Africa, ma lo scorso maggio è arrivato in Parlamento un disegno di legge: “ Cannabis for private pourposes Bill”, diventato poi legge che permette ai cittadini di coltivare cannabis esclusivamente in ambienti privati. Sono permessi la coltivazione personale privata ed il suo consumo. Non esiste un limite stabilito di piante, ma si può coltivare e consumare solo all’interno di spazi privati. Il punto però è che questa legge non è stata poi seguita da alcun regolamento applicativo e così, dal 2018, siamo bloccati in una zona grigia, lo stesso che sta accadendo in Messico ed in Colombia, paesi dove la Costituzione è stata chiamata in causa per lo stesso motivo.
SS: Però ci risulta che in Sud Africa esistano negozi che vendono marijuana...
La polizia è talmente corrotta che oggi il paese è pieno di negozi che vendono cannabis grazie alla corruzione delle forze dell’ordine. Questi negozi
appartengono a persone con molti soldi e che quindi non hanno problemi a pagare la polizia. Spesso sono stranieri, ed anche Mike Tyson ha un negozio a Città del Capo. In opposizione a questo modello stiamo promuovendo i DAGGA PRIVAT CLUB che, essendo privati, rientrerebbero all’interno di quanto la legge permette. Rappresenterebbero una soluzione adatta a tutti, sono semplici e si possono adattare a tutti i contesti, come già avviene in maniera informale nelle nostre città.
SS: Cosa cambierebbe dell’attuale quadro legislativo?
La debolezza è questa zona grigia perché il Governo sta impiegando troppo tempo a diramare una regolamentazione chiara. Bisogna assolutamente
separare la parola polizia dalla parola cannabis e sostituire la prima con una sorta di giudice di Pace, un mediatore che giudichi caso per caso se e in qual misura ci sia stato un danno commesso nei confronti di qualcuno.
www.fieldsofgreenforall.org.za