Cannabis come medicina: vantaggi ed effetti indesiderati
La pianta di cannabis è tra le più utilizzate al mondo e da più tempo. Oggi, grazie alle battaglie che la comunità scientifica internazionale ha condotto contro l'ostruzionismo di quelle che ormai consideriamo assurde politiche proibizioniste, abbiamo finalmente accettato le proprietà benefiche che si ottengono dall'utilizzo di derivati di questa pianta nella pratica clinica. Esistono però anche delle controindicazioni o degli effetti indesiderati?
Intervista al dottor Carlo Privitera, chirurgo con alle spalle una casistica di oltre 5000 pazienti in sei anni in cura con cannabis medica e direttore scientifico del Camit - Cannabis Medica Italia - primo portale italiano di teleassistenza sanitaria specializzato nelle terapie con cannabinoidi.
Salve dottor Privitera, che cosa si intende per Cannabis medica?
La cannabis si definisce "medica" quando prodotta secondo gli standard farmacologici, che ne garantiscono la purezza e soprattutto la stabilità del prodotto e la tracciabilità dell'intera filiera.
Quali sono le principali proprietà dei cannabinoidi?
La cannabis è una pianta ricca di principi biologicamente attivi (oltre 700), di cui circa 80 cannabinoidi. La conoscenza dei loro effetti è argomento di ricerca continua in ambito preclinico (ovvero in laboratorio) finalizzata a determinare l'effetto di ogni singolo cannabinoide sulle funzioni cellulari. Ma la particolarità del farmaco di derivazione naturale sta proprio nella complessità della sua composizione, quello che chiamiamo il fitocomplesso, ovvero le diverse combinazioni quantitative e qualitative delle suddette molecole che determinano le differenti varietà e proprietà della pianta. Non si può parlare di cannabis medica se non riferendosi all'intero fitocomplesso. Le singole molecole isolate (come il CBD o il CBG) devono essere sempre comprese in formulazioni che rispettano quanto più possibile l'interezza del fitocomplesso espresso dalla pianta in questione.
Può farci un esempio?
L'esempio più calzante è quello del fonico che deve equalizzare una grande orchestra (la più grande che possiate immaginare!): regolare i volumi uno ad uno ha poco senso, dal momento che l'effetto (sonoro) d'insieme sarà diverso.
In questo momento, centinaia di laboratori nel mondo stanno equalizzando uno strumento per volta (il singolo cannabinoide sulla funzionalità cellulare); la ricerca clinica rappresenta invece la "prova generale" del concerto: la personalizzazione della terapia, intesa come frontiera del progresso in ambito medico, impone un percorso d'intervento ben preciso, basato sui dati di letteratura e soprattutto sui parametri di sicurezza del farmaco, anche se empirico, ovvero basato sull'osservazione diretta e l'acquisizione dei riscontri clinici da parte del paziente.
In quali patologie è indicato l'uso di cannabis medica?
Per rispondere a questa domanda servono alcune premesse. Nella patologia umana c’è sempre un coinvolgimento del sistema immunitario, o perché funziona troppo come nelle malattie autoimmuni, o perché funziona poco come nei tumori. Nel corpo umano esiste un sistema chiamato endocannabinoide che vede ridotte le sue funzioni in caso di malattie croniche. Poiché i due sistemi principali che regolano il funzionamento del nostro corpo sono il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale, abbiamo a disposizione un'arma potente per poterne regolare la funzionalità: interagire col sistema endocannabinoide che sta al di sopra di questi. Questo è possibile attraverso la cannabis che agisce sia da immunomodulatore che da neuromodulatore.
Con la cannabis andiamo a ripristinare la funzionalità del sistema di controllo endocannabinoide sapendo che avremo degli effetti immediati e degli effetti a lungo termine. La cannabis è un immunomodulatore, quindi va a modulare l'infiammazione e l’azione del sistema immunitario. Tale proprietà trova particolare indicazione nel dolore cronico e nel dolore neuropatico, nel quale la lesione del rivestimento dei terminali nervosi determina un cortocircuito e, di conseguenza, uno stimolo dolorifico costante al cervello.
Cosa fa la cannabis in questo caso?
Agisce sulle vie del dolore sia direttamente, riducendo l’intensità dello stimolo doloroso, sia indirettamente, riducendo la componente infiammatoria e, a lungo andare, permette ai nervi in parte di ripararsi. La cannabis è anche un neuroprotettore e un neuromodulatore che tende a preservare la funzionalità neuronale.
Credo che ci sia bisogno di un altro esempio…
Per spiegare meglio questo concetto, consideriamo il sistema nervoso proprio come un computer costretto a lavorare ad alte temperature. Nel corpo in assenza di un sistema di raffreddamento la presenza di infiammazione determina un aumento della temperatura locale che contribuisce a causare e mantenere i danni della membrana neuronale. Il ruolo della cannabis anche in questo caso è duplice: da un lato migliora la performance della membrana neuronale (come se venisse apposto del "nastro isolante" per evitare che si inneschino ulteriori cortocircuiti), e dall'altro tende a determinare il "raffreddamento" dell'impianto, regolando la risposta infiammatoria (responsabile sia dell'aumento della temperatura, sia, ovviamente, di una serie di eventi immunologici che determinano, in ultima analisi, il quadro clinico). Tali eventi si verificano, ad esempio, nei casi di Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative.
Quindi, in sostanza, è fondamentale un buon funzionamento del sistema endocannabinoide?
Esatto. In tutte le patologie croniche il livello del sistema endocannabinoide è ridotto. In un caso di patologia cronica, per intenderci, è come se il sistema endocannabinoide fosse contenuto in un bicchiere che ha un buco, il buco si può chiamare Alzheimer, si può chiamare fibromialgia, si può chiamare artrite reumatoide, si può chiamare autismo, si può chiamare tumore… le conseguenze molecolari sono sempre le stesse, viene colpito il sistema immunitario e il "buco" fa perdere questi fattori di regolazione che sono gli endocannabinoidi.
Dobbiamo considerare la Cannabis una panacea di tutti i mali oppure esistono degli effetti collaterali di questa terapia?
I cannabinoidi di origine naturale (fitocannabinoidi) sono farmaci dotati di un elevatissimo margine di sicurezza. Non sono mai stati descritti, in letteratura scientifica, casi di decesso correlati all’uso di cannabis, nemmeno per dosaggi elevati. Più che di effetti collaterali è corretto parlare di effetti secondari dal momento che non vi è alcuna dimostrazione in Letteratura Scientifica di un danno cellulare indotto dall'utilizzo di dosi controllate di cannabis.
Però è innegabile che la Cannabis produca una sensazione di “sballo”.
Per quanto riguarda gli effetti secondari, sembra siano imputabili al solo THC che a livello del sistema nervoso centrale può determinare il cosiddetto "sballo" o "trip" o, in linguaggio medico, "confusione, euforia", o, di contro, sonnolenza. Tali effetti tendono ad autolimitarsi nel tempo (ovvero passano da soli) e tendono ad essere di lieve entità. Un buon regime terapeutico è finalizzato a migliorare le condizioni cliniche del paziente limitando o evitando l'insorgenza degli effetti secondari.
Come si ottiene questo risultato?
Strutturando una terapia cannabica secondo alcuni principi fondamentali.
Primo l’equilibrio terapeutico: una terapia ben bilanciata negli apporti dei vari cannabinoidi permette di prevenire o comunque modulare l’effetto psicotropo del THC, così da rendere non invalidante l’assunzione terapeutica.
Secondo utilizzare un ampio spettro di cannabinoidi: più una terapia è completa delle diverse varietà di fitocannabinoidi (considerando esclusivamente quelle del mercato farmaceutico), più si viene a determinare l’effetto entourage dei cannabinoidi che insieme funzionano meglio e questo permette di usare dosi più basse di farmaco, agendo su più elementi della sintomatologia (contratture muscolari, rigidità articolare, dolore, disturbi del sonno, ecc.).
Infine una terapia personalizzata: è necessario adeguare il protocollo terapeutico alla risposta del paziente in un rapporto di scambio comunicativo costante. In una gestione avanzata del paziente, in relazione agli effetti a livello neuronale e sulle funzioni cognitive, il cannabinoide può essere considerato come un "facilitatore", un "catalizzatore" del flusso ideativo ed emotivo. Per questo motivo una buona predisposizione alla terapia con cannabinoidi riduce sensibilmente l’effetto "negativo" del THC, fino a rendere "terapeutica" la sensazione di beneficio psicologico dato dai cannabinoidi.
Però, per chi non ha mai usato Cannabis, questi effetti sono considerati pericolosi.
Spesso si sente parlare degli eventuali effetti psicotropi con accezione negativa, con timore. Quello che invece tendo a fare con i pazienti è educarli nell'utilizzo degli effetti psicotropi perché anche quelli hanno un effetto assolutamente positivo sullo stato di salute: così come ammettiamo che la depressione determini un incremento della risposta allo stimolo doloroso, allo stesso modo se io vado ad agire anche sul tono dell'umore, ho una risposta positiva sul dolore stesso. Motivo per cui, mentre riempio quel bicchiere, il paziente inizia da subito a vederlo mezzo pieno perché, è vero che probabilmente prima di non fargli percepire dolore devo arrivare ad un certo livello, ma nel frattempo l’effetto psicotropo rende il paziente più rilassato e più distaccato dal dolore stesso e questo permette alla terapia di agire prima.
Ma come si coniuga questo stato con la società? Non sempre è possibile vivere in questo modo così “rilassato”.
Abbiamo già parlato di terapia personalizzata, se ad esempio l'effetto secondario è la sonnolenza, posso consigliare al paziente l'assunzione prima di andare a letto, per migliorare la qualità del sonno. Questa è la base razionale d’impiego in tutta sicurezza della cannabis medica.
Le poniamo in batteria alcuni dubbi manifestati dai nostri lettori. C'è rischio di assuefazione e/o di dipendenza?
No. L'utilizzo di dosi "mediche" di cannabis non determina nessuno di questi meccanismi.
Con la cannabis possono essere trattate tutte le malattie?
No. La cannabis medica non è indicata per il trattamento di tutte le patologie, ma per il trattamento di tutti i malati.
Chi usa cannabis sarà "sballato per tutto il giorno"?
No. Una terapia equilibrata e personalizzata abbatte l'incidenza degli effetti secondari.
Quindi, per concludere, cosa possiamo dire a chi pensa di avvicinarsi a questa terapia?
La Letteratura Scientifica mostra che la cannabis medica è innanzitutto un farmaco sicuro. Secondo i criteri della buona pratica clinica, l'efficacia può essere ricercata attraverso un percorso di personalizzazione della terapia che mai espone il paziente ad alcun rischio fisico, potendo modulare la terapia stessa alla risposta clinica generale del paziente.
Un estratto di un lavoro apparso sul New England Journal of Medicine nel 1997 riassume perfettamente questa logica: "Ciò che realmente conta in una terapia dotata di un così alto margine di sicurezza è se un paziente gravemente ammalato prova sollievo come risultato dell’intervento, non se uno studio controllato ne "dimostra" l’efficacia». (Kassirer, J.P., "Federal Foolishness and Marijuana", in: N Engl J Med, 1997, vol. 336, p. 366).
Questo è esattamente la base del mio pensiero e del mio percorso di formazione, ritengo che l'arte medica trovi la sua massima espressione nell'utilizzo clinico della cannabis: osservazione, empatia, compassione e comunicazione.
Per approfondire la conoscenza dell'uso terapeutico della Cannabis si può consultare il sito del Camit - Cannabis Medica Italia - di cui il dottor Carlo Privitera è direttore scientifico.
Il presente articolo non è sponsorizzato in alcuna forma e non ha altre finalità se non quelle di sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore terapeutico della Cannabis e fornire una corretta informazione ai tanti pazienti italiani affetti da patologie che potrebbero essere alleviate o curate attraverso un uso corretto e libero della Cannabis Medica.