Una questione di equità
Come l'industria della cannabis ha sconfitto la legalizzazione nello stato di New York
Il problema dell'equità all'interno dell'industria della cannabis statunitense è da tempo una bomba a orologeria. Su queste pagine abbiamo parlato altre volte di come la corsa all'oro verde negli Stati Uniti sia rimasta un privilegio appannaggio dei bianchi e di come, nonostante le promesse, non sempre quanto guadagnato dalla tassazione sulla cannabis sia stato re-investito per il bene di tutta la comunità. All'inizio di aprile questa bomba è finalmente esplosa e potrebbe davvero non essere una cattiva notizia. Nello stato nord-orientale di New York, la spinta a includere la legalizzazione della cannabis per uso ricreativo nel pacchetto di bilancio statale del 2019 è stata ufficialmente cassata lo scorso primo aprile. Non uno scherzo, purtroppo, ma l'attesa conseguenza di una molteplicità di cause: litigi per le tasse, legislatori conservatori che hanno fatto dietrofront all'ultimo minuto, respingimenti delle forze dell'ordine, persino un presunto complotto sostenuto dalle grandi aziende per mettere al bando l'autocoltivazione. Tanto che, alla fine, nemmeno i più accesi sostenitori della legalizzazione potevano difendere le deboli misure proposte all'interno del pacchetto. Quegli stessi sostenitori tra gli scranni dell'Assemblea avevano avvertito mesi fa che non ci sarebbe stata "nessuna legalizzazione senza equità sociale" e avevano indicato chiaramente quali sarebbero state le misure necessarie ad ottenerla senza dover necessariamente trasformarsi in comunisti. Stando a quanto affermato da Crystal Peoples-Stokes, il leader di maggioranza dell'Assemblea dello Stato di New York: "L'equità in un mercato regolamentato per l'uso ricreativo inizia con la separazione delle licenze, fornendo un processo di acquisizione della licenza accessibile, offrendo prestiti a basso interesse e dando priorità alle opportunità per le persone storicamente private dei diritti e imprigionate a causa della guerra alla droga". Più volte è emerso infatti come il cannabusiness americano abbia fatto suoi i bias razziali propri di una società non ancora del tutto emancipata, col risultato che i soggetti che più avrebbero dovuto beneficiare della legalizzazione - gli afroamericani e i latinos - rimangono comunque tagliati fuori da ogni possibilità di riscatto economico e sociale. Niente permessi, niente sussidi, nessuna agevolazione: ad oggi, sei anni dopo la prima vittoria della legalizzazione a scopo ricreativo, la quota di imprenditori di colore nel cannabusiness americano è ancora risibile e non sfiora nemmeno le due cifre. Pare poi che alcuni stati non stiano gestendo in modo virtuoso gli introiti extra ottenuti dall'imposizione fiscale sulla cannabis. In California, ad esempio, la città di Los Angeles ha destinato buona parte di quei soldi alla polizia: invece di finanziare, come promesso, il programma che offrirà licenze per l'apertura di cannabis shop alle comunità più danneggiate dalla guerra alla droga, l'Assemblea cittadina ha deciso di finanziare il LAPD. Sui pericoli del monopolio, poi, è stato scritto e detto già tutto Queste ed altre preoccupazioni sono state portate sul tavolo dell'Assemblea dello stato di New York - da non confondersi con la città omonima. La discussione è stata lunga e la necessità di garantire una legalizzazione equa è stata sottolineata diverse volte. A quanto pare, però, gli altri non stavano ascoltando. Le grosse aziende che producono e distribuiscono cannabis, abbagliate dalla prospettiva di una legalizzazione totale in uno stato con oltre 20 milioni di persone, sembravano soprattutto preoccupate di bloccare le licenze e monopolizzare la loro quota di mercato. Hanno ignorato le richieste di clausole di equità e di cancellazione dei precedenti penali riguardanti reati legati al possesso o consumo di cannabis. Non hanno ascoltato importanti esperti del settore come il Commissario per il controllo della cannabis del Massachusetts, Shaleen Title, o i leader della Minority Cannabis Business Association, i quali hanno entrambi pubblicato delle utili e ponderate linee guida sulle migliori pratiche che affrontano questi problemi. Risultato: le aziende di cannabis non hanno ottenuto né le loro licenze, né la legalizzazione per l'uso ricreativo. È purtroppo credenza comune che, pur di ottenere la tanto agognata legalizzazione, i si possa chiudere un occhio sui requisiti di equità sociale, il noto mantra "la legge è da perfezionare", in Italia ne sappiamo qualcosa e abbiamo visto cosa succede: nessun miglioramento, nessuna perfezione. Ecco, forse allora, questa dovrebbe essere la nuova matematica nel 2019: se non c'è equità, allora non può e non deve esserci mercato. La sconfitta di New York non è necessariamente un male se contribuisce a migliorare gli standard entro cui legalizzare. La sconfitta di New York ci ricorda che la cannabis è una pianta e, in quanto tale, non può essere monopolizzata per il guadagno di pochi, a scapito di molti altri. Soprattutto se quegli "altri" sono stati le prime e più sfortunate vittime della war on drugs, gli stessi che grazie alla cannabis sono finiti dietro le sbarre. La sconfitta della legalizzazione nello stato di New York, in fondo, ci dice che c'è sempre un'alternativa. E questa non può che essere una splendida notizia. di Giovanna Dark