I paradossi della cannabis italiana
Se ne è lecita la produzione, ne è lecita la vendita. È questo il principio espresso dalla Cassazione che in una sentenza è intervenuta sulla questione della cannabis light, annullando un sequestro preventivo a carico di un 28enne di Civitanova Marche. Una sentenza che va in senso opposto rispetto a un'altra della stessa Corte, che di recente aveva precisato come la legge 242 del 2016 a cui fa riferimento, non ha affatto reso lecita la commercializzazione della cannabis, anche con basso principio attivo. Di nuovo, grande è la confusione nel cannabusiness italiano.
Lo scorso gennaio la Corte di Cassazione he depositato le motivazioni di una sentenza con la quale ha stabilito che la vendita della cosiddetta "cannabis light" è legale, accogliendo il ricorso di un 28enne che aveva subito un sequestro lo scorso ottobre a Porto Recanati, in provincia di Macerata. In particolare, la Cassazione ha stabilito che anche se la legge del 2016 che regola la cannabis light non parla esplicitamente della sua commercializzazione, "risulta del tutto ovvio" che la contempli. Una sentenza non così ovvia, se si pensa che è la prima in 3 anni a non indicare nello 0,2% ma nello 0,6% il limite di reale tolleranza anche per il distributore. Fino ad ora, infatti, la giurisprudenza italiana aveva nuovamente propeso per l'interpretazione più restrittiva di una legge volutamente ambigua, col risultato che anche la cannabis light era entrata nel mirino delle perquisizioni. A riprova di ciò, gli avvenimenti degli ultimi mesi del 2018, in cui una serie di sequestri preventivi in vari cannabis shop della penisola - proprio uno di questi è quello oggetto del ricorso alla Cassazione - aveva fatto tremare quanti avevano investito tempo e denaro nel nuovo Eldorado della cannabis light. I sequestri erano stati decisi per analizzare la quantità di THC nei prodotti venduti, e avevano anche riguardato semplici clienti che avevano acquistato cannabis light "cartellinata": un'ecatombe. Con quest'ultima sentenza, invece, la Suprema Corte ha optato per un'interpretazione più "coraggiosa", dichiarando che se il commerciante è in grado di documentare che la cannabis proviene da coltivazioni che rispettano la legge sulla canapa industriale, allora la polizia non può procedere con sequestri preventivi, a meno che non ci siano seri sospetti che il commerciante stia mentendo. La Cassazione ha poi confermato di ammettere il prelievo di campioni per verificare che il contenuto di THC non superi lo 0,6% ma stavolta ha messo, come si suole dire, i puntini sulle I. E ha precisato quello che fino ad ora si era interpretato "per difetto", ovvero che è lo 0,6%, e non lo 0,2% come altre sentenze avevano ritenuto, il limite entro il quale la cannabis light è regolata dalla legge. Così facendo i supremi giudici hanno implicitamente ammesso che la legge di riferimento per quanto riguarda la vendita al dettaglio della cosiddetta "cannabis light" non è la 309/1990, cioè la legge Iervolino-Vassalli che regola le sostanze stupefacenti dopo l’abolizione della Fini-Giovanardi, ma bensì la 242/2016. La Cassazione ha poi stabilito che la polizia non può sequestrare preventivamente nemmeno le piante di un coltivatore, se può dimostrare che i semi usati sono quelli contemplati dalla legge del 2016. Se, dopo un controllo, il contenuto di THC supera lo 0,6% la polizia può sequestrare o distruggere le piante, ma "anche in questo caso è esclusa la responsabilità dell’agricoltore". La Suprema Corte ha quindi deciso che, visto che la coltivazione della cannabis light è legale, lo è anche la sua vendita. La motivazione principe della sentenza infatti è stata: la legge non lo specifica perché - di fatto - non ce n’è bisogno. Un'ammissione non da poco quella dei supremi giudici, che ha portato buona parte del cannabusiness ad esultare: la liceità della vendita di "marijuana light" pare ora assodata. A leggere bene quanto depositato agli atti, la Cassazione pare però aver risolto solo parte del problema. Manca infatti una parte fondamentale dell'equazione: il consumatore. Se produttori e distributori sono tutelati dalla legge 242/2016, a che livello legale si collocano quanti quei prodotti li comprano? Allo stato attuale delle cose, chi viene trovato in possesso di un quantitativo anche minimo di cannabis è soggetto al sequestro e all'analisi della sostanza, è inoltre passabile di sanzione amministrativa secondo quanto prescritto dalla legge Iervolino-Vassalli. Nel caso in cui poi, si venisse trovati positivi ai test tossicologici - cosa, ahinoi, possibile anche con la light - allora si continuerebbe a rischiare patente e posto di lavoro. Quest'ultimissima sentenza della Cassazione potrà anche avere risollevato un po' gli animi ma purtroppo, fino a che non verrà rettificata la "legge madre" sugli stupefacenti, le forze dell'ordine continueranno a sequestrare, analizzare ed incriminare. Non è purtroppo ancora il momento di esultare.