Dopo tre anni di terapia gli negano la Cannabis medica

Marco Ribechi
06 Jun 2023

Alessandro Giardina, siciliano, si è visto negare il rinnovo del piano terapeutico dai medici di Messina. Prima era un culturista, ora non riesce a muoversi: "Con la Cannabis i miei problemi sparivano, ora soffro di nuovo"


Ha diritto alla Cannabis terapeutica ma i medici lo ostacolano, il dolore continuo non gli permette di vivere nonostante spenda più di 800 euro al mese per curarsi. Oltre alla mancanza di terapia rischia anche la bancarotta per acquistare i farmaci. C’è tutto il cortocircuito del sistema sanitario italiano nella storia di Alessandro Giardina, classe 1978, nato e residente con sua moglie nell’isola di Lipari in Sicilia.

«Sono farmacoresistente e ho una prescrizione medica di 75 grammi di Cannabis terapeutica al mese - dice Giardina - Per circa tre anni ho potuto ricevere la terapia dal sistema sanitario nazionale ma, dopo che il medico che mi seguiva è andato in pensione, ho ricevuto lo stop immotivato di altri dottori non preparati sull’argomento. Oggi non posso fare più nulla, per dormire devo legare le lenzuola poiché ogni notte mi contorco dal dolore, non posso lavorare, la mia vita è un incubo. Non c’è motivo perché io debba soffrire così visto che con la terapia i dolori spariscono ma i dottori si oppongono».

La storia di Alessandro è lunga e travagliata. Nel 2018  ha subito un intervento di microdiscectomia cervicale  C5-C6 e C6-C7,al policlinico di Pavia, riuscito perfettamente a livello funzionale ma purtroppo con permanenza di dolori cronici e resistenza ai farmaci.

«Per un periodo mi hanno curato con oppiacei che però mi davano importanti effetti collaterali - spiega Giardina - per questo il policlinico di Pavia mi indirizzò al centro per la terapia del dolore di Taormina dove il dottor Bova mi ha prescritto una terapia a base di Cannabis medica. Ringrazierò per sempre il dottor Bova per la sua sensibilità che però non è stata mostrata da chi è venuto dopo di lui».

Alessandro Giardina

Alessandro grazie a un dosaggio consistente torna a vivere senza nessun effetto collaterale. 

«Nel 2019 scopro che potevo ricevere gratuitamente il farmaco, - prosegue Giardina - fino a quel momento infatti, a causa dei costi elevati, non potevo effettuare la terapia correttamente e nel gennaio 2020 finalmente ottengo il piano terapeutico e l’erogazione del farmaco a carico del sistema sanitario»

Le condizioni di Alessandro, come testimoniano i referti medici, migliorano in maniera impressionante fino a quando il dottor Pisani, che lo aveva seguito e aiutato fino a quel momento, va in pensione e Giardina finisce nelle mani di medici che lo costringono ad interrompere la terapia. 

«Nessuno ha più voluto rinnovarmi il piano terapeutico che ho seguito negli ultimi tre anni - prosegue Giardina - così è iniziato il mio calvario. I medici hanno iniziato a rimbalzarmi in viaggi a vuoto da uno studio all’altro, addirittura dopo quasi tre anni di cura nel reparto neurologia del policlinico di Messina mi è stato detto che non era il luogo idoneo perché lì si curava l’epilessia. Ripeto, questo dopo tre anni. Per me è stato un colpo al cuore ma, con calma e pazienza, ho cercato di spiegare che avevo bisogno solamente del farmaco, bastava rinnovare il piano terapeutico ormai scaduto. Siamo a inizio 2023».

Il 20 febbraio Alessandro viene dirottato nello studio di un altro medico che però gli dice chiaramente che lui non è la persona adatta per quel tipo di terapia e che lo avevano mandato nell’ambulatorio sbagliato.

«Ho spiegato che per tutti questi anni avevo rinnovato il piano terapeutico ogni sei mesi, chiamando due settimane prima il reparto che inviava la ricetta alla farmacia Crimi. Qui mi preparavano la terapia che poi io andavo a ritirare in quanto, vivendo su un’isola, il viaggio è molto lungo e faticoso. Il nuovo medico però mi disse che per anni avevo fatto una cosa illegale e che, se avessi voluto la prescrizione, dovevo essere visitato a Messina ogni mese per poi tornare a ritirare il farmaco, facendo così due viaggi».

alessandro giardina palestra
Alessandro Giardina in palestra nel 2018

A questo punto lo stesso dottore però diventa addirittura irreperibile: «Per 20 giorni ho provato a chiamarlo ma mi dicevano dal reparto che lui non risponde al telefono - spiega Giardina - dopo 22 giorni, tramite mail, ha giustificato la sua assenza per molti impegni, cambiando allo stesso tempo parere sulla terapia e lasciandomi di fatto senza continuità terapeutica. Ho cercato di spiegare che ero contrario a cambiare una terapia che già aveva dimostrato i suoi ottimi benefici sulle mie condizioni di vita ma lui, di tutto conto, mi disse che i pazienti devono fare ciò che dicono i medici».

Ad Alessandro viene prescritto il farmaco Lyrica che in passato gli aveva già dato importanti controindicazioni. «Non credo che esista un posto al mondo dove i medici possano fare questo sulle spalle dei pazienti - spiega Giardina - ha continuato a rispondere che secondo lui quella era la terapia adeguata e che non era preparato a sufficienza sulla Cannabis. Questa si chiama interruzione di terapia. Un paziente ha tutte le ragioni di difendere i propri diritti poiché sa l’effetto delle varie terapie sul suo corpo».

La scarsa preparazione dei medici sul tema Cannabis, unita al pregiudizio, oggi è la principale causa del male di Alessandro. «In Italia c’è ancora questo pregiudizio e soprattutto ignoranza sulla Cannabis terapeutica, veniamo visti come degli sballati quando io invece sono stato sempre uno sportivo, non ho mai fumato, ero un culturista e uso Cannabis solo perché ne ho avuto benefici straordinari. Come può un medico lasciare un paziente nel dolore perché contrario a una terapia legalmente riconosciuta? I vari medici a cui mi sono rivolto, e che non hanno voluto affrontare la situazione, mi hanno rovinato la vita peggio della malattia. Ora mi sono rivolto a degli avvocati e spero di poter riprendere il prima possibile il mio percorso terapeutico».

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Marco Ribechi