Cannabis: modelli globali nelle pratiche di distribuzione dei piccoli coltivatori
Recentemente una squadra di ricercatori internazionali ha pubblicato sull’International Journal of Drug Policy, un articolo interessante riguardo la coltivazione domestica di cannabis
Siccome all’interno della squadra di ricerca si trovava inclusa una vecchia conoscenza del nostro giornale, il ricercatore veneto Davide Fortin, attualmente in azione presso l’ Università d’Aix-Marsiglia al dipartimento di Scienze Economiche e Sociali e della Salute, abbiamo deciso di contattarlo per farci raccontare di prima mano l’interesse di questa nuova opera di ricerca.
SS: Perché questa ricerca dovrebbe far riflettere i legislatori del nostro paese?
Questo è il più grande sondaggio mai lanciato tra coltivatori di cannabis con oltre 11 mila rispondenti in 18 paesi. Le risposte mostrano come una parte sostanziale del mercato della cannabis sia approvvigionata da piccoli coltivatori domestici che non avevano pensato di venderla quando hanno deciso di coltivarla. La vendita di parte della loro coltivazione è infatti derivata soprattutto da un surplus rispetto alle necessità per l’uso personale. Per di più, la distribuzione di questo eccesso è stata direzionata soprattutto all’interno della cerchia familiare e di amici e solo un coltivatore su 20 l’ha venduta a degli sconosciuti. I risultati dello studio dovrebbero essere considerati dal legislatore quando decide di regolamentare il mercato della coltivazione personale di cannabis. Per esempio, si dovrebbero inserire meccanismi che permettano la vendita della cannabis dei coltivatori anche accettando che questi ricevano un minimo beneficio economico che permetta loro il rimborso dei costi che hanno dovuto sostenere per la coltivazione.
SS. Nell’articolo si parla di “small-scale grower” che potremmo tradurre come piccoli coltivatori. Quante piante coltiva in media un coltivatore di questo tipo e per quale motivo coltiva?
Un profilo tipico coltiva infatti tra 4 e 6 piante. I motivi che lo portano a coltivare sono principalmente ideologici o legati alla massimizzazione della qualità del prodotto che verrà poi consumato. I tre motivi principali sono il piacere che deriva dal coltivare la cannabis, il poter fare un uso adulto (o ricreativo) della cannabis che hanno coltivato, ed il fatto che il prodotto sia più salutare di quello che si può trovare nel mercato illegale. Tra i coltivatori italiani, meno di uno su venti decide di coltivare con l’intento di farci un profitto vendendo il raccolto.
SS: Questo studio sembra poter disinnescare la figura mitologica e stigmatizzata dello spacciatore. Cosa rende questa pratica d’auto-produzione differente da quella dello spacciatore affiliato alla criminalità organizzata?
I risultati mostrano come l’auto-produzione sia dovuta soprattutto alla soddisfazione dei bisogni personali e a questioni ideologiche legate al miglioramento del prodotto che viene assunto. In Italia, poco più di un coltivatore su dieci ha dichiarato di coltivarla per fornirla ad altri e, nella maggior parte dei casi, il prodotto che viene fornito ad altri è utilizzato a fini prettamente medicali. Se escludiamo gli americani e consideriamo solo la piccola fetta che coltiva per profitto, il profilo mediano dei nostri rispondenti guadagna meno di 1250€ per ciascun raccolto. Questo guadagno viene poi utilizzato soprattutto per ridurre i costi della successiva coltivazione. Se rapportata a quello che viene guadagnato dalla criminalità organizzata in Italia, questa cifra è irrisoria e non alimenta fenomeni come il riciclaggio che hanno poi un impatto negativo su tutto il sistema economico del paese. Questa pratica di auto-produzione si distingue dalla figura mitologica e stigmatizzata dello spacciatore affiliato alla criminalità organizzata proprio per la sua natura non commerciale e spesso orientata al benessere personale o medico, piuttosto che al profitto. Mentre lo spacciatore tradizionale opera ai margini della legalità e della società, il coltivatore domestico di cannabis tende a essere una persona integrata nella società, che coltiva principalmente per uso personale o per aiutare amici e conoscenti, riducendo così l’immagine negativa associata alla fornitura di cannabis. In generale, nel mercato dei coltivatori domestici, l’aumento della produzione di cannabis su piccola scala sembra aver contribuito a un processo più generale di normalizzazione della sua fornitura nel proprio cerchio di conoscenze. La maggior parte dei coltivatori nel nostro studio appartiene a segmenti della popolazione che rispettano la legge e sono socialmente inclusi, e non sono individui emarginati che si trovano al di fuori e in opposizione alla società.
SS: Come ricercatore che si è specializzato nella cultura della cannabis come spieghi la supremazia ideologica dei legislatori rispetto alle risultanze delle vostre ricerche sul campo? La politica spesso non si basa su ciò che è più appropriato o supportato dalle evidenze scientifiche, ma su ciò che permette di ottenere più voti alle successive elezioni. La supremazia ideologica dei legislatori è spesso guidata dalla necessità di mantenere o aumentare il consenso elettorale, sfruttando le paure della popolazione. Tuttavia, con l’evolversi delle percezioni sociali e l’aumento della consapevolezza, c’è la speranza che le politiche future possano essere più in linea con le evidenze scientifiche e i cambiamenti nei costumi sociali.
Questo articolo è tratto dal numero 04/2024 della Rivista cartacea Soft Secrets
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