Cannabis medica italiana, la carica dei 101 (kg)

Fabrizio Dentini
26 Aug 2022

La carica dei 101... ma oggi non parliamo di teneri cuccioli dalmata e non è una sceneggiatura di Walt Disney. Al contrario, ci riferiamo ai militari dello Stabilimento di Firenze e parliamo dei chili coltivati nel corso del 2021. In totale, sono stati prodotti 101,904 chili di cannabis terapeutica.


Una quantità residuale, se calcolata rispetto al fabbisogno nazionale che l’anno scorso si attestava, secondo il Ministero della Salute, a oltre 1.400 chili, dei quali 900 importati dall’Olanda, 300 che avrebbero dovuto essere prodotti in Toscana ed il resto importato tramite altri canali.

I militari di Firenze, insomma, hanno prodotto praticamente un terzo rispetto a quanto il Ministero della Salute chiedeva loro e nemmeno si arriva all’8% dei 1.271 chilogrammi effettivamente distribuiti nel nostro paese lo scorso anno. Per dare un’idea di questo doloroso fallimento, soprattutto per i pazienti, basti ricordare che 101 chilogrammi non coprono nemmeno quanto richiesto da una singola regione, la Liguria, che di chili ne aveva richiesti 124. Tirando le somme impietosamente, dal 2017, anno dei primi raccolti, all’anno scorso, la cannabis made in Italy non è arrivata ancora a passare la mezza tonnellata prodotta: 56 chili nel 2017, 112 chili nel 2018, 123 chili nel 2019, 36 chili nell’anno del Covid e 101 chili, come detto, l’anno successivo. Il tutto, sempre per dare un’idea, mentre nel 2021, solo nella provincia di Brescia, sono stati sequestrati 2.816 chili di marijuana.

Sembra davvero la trama di una tragicommedia: da un lato quelli che non sono autorizzati a farlo, coltivano con l'acceleratore per un mercato stabile e senza alcun controllo di qualità, dall’altro lato, in regime di discutibile monopolio, lo Stato coltiva seguendo standard severi oltre la media europea, ma produce con il contagocce e non riesce nemmeno a provvedere quanto previsto dai suoi Ministeri. Siamo, dopo tanti anni e fa amarezza ripeterlo, alla farsa italica. Un paese con una legge che prevede la rimborsabilità del medicamento mentre gli scaffali delle farmacie sono vuoti. Pazienti in balia di se stessi, interruzioni terapeutiche dietro ogni angolo e, oltre l’autoproduzione, la siepe del mercato nero il quale, se da un lato lucra, dall’altro, spesso, risolve quando lo Stato si fa latitante.

Una soluzione però esiste, sono anni che lo ripetiamo e, a ottobre 2021, anche il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, spronato dalle associazioni esasperate dei pazienti aveva, finalmente, dichiarato di voler percorrere l’unica soluzione possibile, quella più scontata, l’apertura di questo particolare mercato alla libera concorrenza. Un bando viene redatto ad aprile 2022 e lo Stato, tramite l’Agenzia Industria Difesa e quindi attraverso lo Stabilimento militare di Firenze, dichiara aperta l’iscrizione ad operatori economici che avrebbero potuto manifestare interesse rispetto ad un ancora inaudita opportunità: selezionare aziende private in grado di coltivare piante di cannabis a partire da talee da destinare alla fabbricazione di medicinali e materie prime farmaceutiche in GMP [ndr. Good manufacturing practice in italiano norme di buona fabbricazione]

Finalmente un passo avanti sostanziale insomma? Buone notizie per i malati?

Tutt’altro purtroppo. Innanzitutto, nel migliore dei mondi possibili, un bando di questo tipo non potrebbe arrivare a dare i suoi frutti che nel giro di almeno tre anni. Tre anni, quindi, durante i quali il paziente finale non noterebbe alcun impatto positivo in termini di reperibilità e approvvigionamento del farmaco. Realisticamente poi, lungi dall’essere un bando redatto nel migliore dei mondi possibili, il testo in questione è definito da analisti del settore come irrealistico e scritto, evidentemente, senza una volontà politica chiara ed univoca. E quando la politica non dimostra coraggio i cittadini, ovviamente, non trovano vantaggio. A riprova di queste affermazioni il fatto che, nonostante avesse dovuto concludersi a fine giugno, il bando sia stato prorogato sino a fine luglio a causa della manifesta esiguità di privati interessati all’affare. Ma per quale ragione? Forse poter produrre cannabis terapeutica non rappresenta un business più che appetibile? Certamente, ma i limiti del bando, di ordine generale prima e tecnici poi, si sono rivelati nella loro integralità. Rallentando di fatto un processo che, per come è stato concepito, si rivela sin da subito in salita. A livello generale, intanto, questo bando è stato redatto in maniera da non dare alcuna sicurezza ai partecipanti ed anzi, prevedendo loro condizioni molto sfavorevoli. Chi vuole partecipare deve farlo alla cieca. Il testo, infatti, spiega chiaramente di avere una funzione esclusivamente informativa e, quindi, di non impegnare successivamente e in alcuna maniera lo Stato nei confronti degli interessati. Inoltre, non viene fornita nessuna certezza rispetto al tipo di contratto che potrebbe andare a regolare la relazione fra Stato e fornitori privati, né informazioni relative alle durate dei contratti, né in merito al prezzo previsto per l’acquisto del prodotto, né, infine, rispetto l’eventualità di poter, per lo meno, esportare quanto coltivato. A fronte di codesto quadro davvero incerto, però, per rientrare nelle specifiche tecniche stabilite ed in particolare per costruire il fitotrone indoor che andrebbe a garantire la protezione delle piante da contaminazioni, consentendo il controllo delle condizioni termoigrometriche attraverso un sistema chiuso, gli investimenti richiesti sono importanti e nell’ordine di qualche centinaia di migliaia di euro. Questa esplicita mancanza di sicurezza bilanciata da un impegno economico importante, ha fatto si che molte delle ditte potenzialmente interessate abbiano scelto di non partecipare per paura di compiere un passo più lungo che la gamba. A livello puramente tecnico poi, ed aldilà dell’investimento necessario per installare il fitotrone, interviene un problema reale, di risorse vegetali, relativo alle genetiche permesse. Le genetiche autorizzate, infatti, sono prettamente quelle made in Italy per le quali è stato accettato a tempo debito il Master File presso AIFA [Ndr. Agenzia Italiano del Farmaco].

Adesso basiamoci sui dati reali, come detto, i militari nell’ultimo anno hanno prodotto 100 chili di cannabis. Possiamo dunque immaginare che, per ogni ciclo di coltivazione (supponiamo tre cicli per anno) posizionando mediamente 6 piante per metro quadrato, a Firenze vengano coltivate circa 600 piante per ciclo, per un totale di circa 1.800-2.000 talee all’anno. Visto che ogni produttore individuato dal bando dovrebbe arrivare a produrre 500 chili all’anno e tenendo conto che, probabilmente, i produttori prescelti saranno almeno cinque, i numeri relativi alle talee necessarie si quintuplicano e solamente per la loro produzione diverrebbe fondamentale instituire un altro bando per trovare chi possa fornire le 10.000 talee necessarie ad ognuno dei 5 nuovi produttori.

Con questo scenario ipotetico, ma plausibile, staremmo parlando di 50.000 talee su scala annuale per ottenere 2.500 chili di cannabis terapeutica. La domanda quindi è: lo Stato ha pensato a conferire licenze in questa direzione al momento della redazione del testo del bando? La soluzione a questo problema potrebbe essere duplice, nel breve termine, fornire una pianta madre a ciascun produttore per lasciarlo produrre, internamente, le proprie talee. In seconda istanza poi, e come alternativa nel medio termine, si potrebbe scegliere di convertire lo Stabilimento di Firenze ad un ruolo propedeutico e cardinale per la messa a regime del nuovo sistema che supererebbe di fatto il monopolio. Si tratterebbe, insomma, di trasformare i militari in distributori di cannabis coltivata da terzi e in esclusivi produttori di talee.

Nel primo caso la parte nevralgica di riproduzione agamica [ndr. il taleaggio] sarebbe in capo ai privati, nel secondo caso in capo al pubblico con il peso di responsabilità che tale impegno comporta. Adesso, dopo queste riflessioni relative a questo storico bando, diventato nel giro di qualche mese dalla promulgazione, uno storico passo nel nulla, è importante sottolineare la specificità del caso italiano. Il nostro Stato, unico al mondo, ha scelto di coinvolgere in un progetto medico, che richiederebbe l’esclusivo interesse del Ministero della Salute, anche la burocrazia di un secondo Ministero, quello della Difesa. Il fatto che non uno, ma ben due carrozzoni pubblici siano intestatari di responsabilità differenti riguardo a un progetto talmente importante non può che avere delle conseguenze nefaste. Il pubblico, in generale, non è mai efficiente ed in Italia sappiamo perfettamente le mostruosità rappresentate da un investimento sottratto alla scintilla imprenditoriale privata.

Dopo cinque anni il fallimento del monopolio pubblico è sotto gli occhi di tutti gli osservatori e dei poveri pazienti. Tirate queste somme, quello che adesso bisogna capire è che ormai sia tempo di cambiare rotta. L’ora è quella d’attribuire all’energia privata e alla libera concorrenza la possibilità di lavorare nel regime a loro più indicato: la libertà d’impresa. Per questo motivo le concessioni rilasciate dallo Stato dovrebbero permettere ed agevolare lo sviluppo della fondamentale progettualità che sta alla base di ogni investimento oculato. Ci rivolgiamo quindi alla nostra attuale classe dirigente, ai nostri rappresentanti parlamentari, nei quali risiede la nostra fiducia democratica e la nostra delusione politica, chiedendo loro di compiere un esercizio di coraggio e umiltà. Sappiamo che nessuno nel nostro paese ha mai approntato un modello produttivo di questo medicamento aperto alla libera concorrenza. Però sappiamo anche che i nostri vicini tedeschi hanno compiuto questo passo e chiediamo con forza che i nostri politici abbiano la curiosità di studiare quanto fatto dai teutonici per capire gli aspetti interessanti da recuperare e quelli da migliorare. In Germania un bando per fornitori privati di cannabis è stato lanciato a luglio 2018. Ad aprile 2019, su un totale di 79 concorrenti, 3 vincitori hanno ricevuto le autorizzazioni. A ogni singolo aggiudicatario poteva essere concesso un massimo di 5 licenze e gli aggiudicatari dovevano essere almeno 3. Gli attestatari sono Aphria (5 licenze da 200 KG=1000 KG), Aurora (5 licenze da 200 KG=1000 KG) e Demecan (3 licenze da 200 KG=600 KG). In totale, quindi, tredici licenze da 200 chili all’anno ciascuna per un totale di 2.600 chili all’anno e per 4 anni.

Ecco, insomma, la famosa progettualità. In aggiunta, l’Ufficio tedesco per la cannabis, l’istituzione che fa le veci del nostro Ufficio Centrale Stupefacenti e che ha funzioni di controllo qualità, confezionamento e distribuzione , si è riservato l’opzione di aumentare tali quantitativi del 150%, facendoli salire sino 3.900 chili all’anno e 15.600 KG in 4 anni. La gestione degli ordini, la logistica e le spedizioni sono state affidate, tramite gara pubblica, e in esclusiva all’azienda Cansativa. In ultimo, la produzione nazionale ha la precedenza sull’importazione, ma il fabbisogno è garantito dai prodotti importati quando la produzione nazionale non risulti sufficiente. La via tedesca alla cannabis terapeutica sembra essere meno pasticciata della nostra, più a misura di paziente e più a misura delle imprese, esattamente quanto domandiamo al nostro Governo. Come ultimo consiglio, quello di tenere sempre in mente che solo a partire dall’instaurazione di un sano modello, dal punto di vista del mercato terapeutico che, nel futuro avremmo la facoltà d’innescare un florido mercato per la vendita libera di cannabis anche al di fuori di un contesto specificatamente medico.

 

Questo articolo è tratto dal numero 4/2022 della Rivista cartacea Soft Secrets.

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Fabrizio Dentini