Svizzera e Cannabis: il progetto della Jamaica elvetica

Fabrizio Dentini
07 Feb 2022

All'inizio del secolo, per i ventenni dell'Italia di allora, la Svizzera rappresentava un approdo esotico per acquistare comodamente cannabis di alta qualità venduta come profumatore per armadi. Dopo vent'anni, nei quali in Italia si è mosso poco o nulla, i nostri vicini elvetici, iscritti nella propria genetica i codici della libertà e del pragmatismo e, sulle ali del successo planetario della filiera del CBD dei quali sono fra i protagonisti più in voga, tornano alla ribalta dell'attenzione europea per la scelta di regolare il consumo di cannabis e, questa volta, senza la scusa degli armadi.


Il progetto pilota che vogliono approntare potrebbe trasformare in qualche anno questa Confederazione di Cantoni nel paradiso degli amanti della cannabis. Secondo Giovanni Spitale, filosofo veneto specializzato in etica e bioetica che si trova a Zurigo per un dottorato di ricerca all'Istituto di Etica Biomedica e Storia della medicina e che segue dall'interno questo processo regolatore, la posta in gioco è molto alta perché, grazie al contributo dei ricercatori sociali come lui, potrebbe essere un momento unico per studiare in maniera approfondita le conseguenze sociali di una regolamentazione di questo tipo. In chiave di tutela della salute pubblica, la Svizzera, insomma, potrebbe diventare capofila del continente per quanto riguarda un approccio legislativo che inquadri consumo e distribuzione di cannabis ai cittadini maggiori di età. Ma come si dipanerà questo progetto? Il filosofo Giovanni Spitale racconta a Soft Secrets le impressioni di un accademico coinvolto in prima persona in questa ricerca "stupefacente".

 

SSIT: Buongiorno, intanto come si aperta questa opportunità per la cannabis in Svizzera? 

Di recente il Parlamento Svizzero ha approvato una nuova legge che emenda l'atto federale sui narcotici e le sostanze psicotrope. Un piccolo cambiamento dall'impatto enorme. Il nuovo articolo 8a, infatti, fornisce base legale per condurre studi pilota sull'effetto della cannabis. Tale emendamento è accompagnato da un'ordinanza sugli studi pilota che spiega nel dettaglio cosa si può fare e cosa non si può fare e come procedere nel modo corretto. Il punto centrale è che, dopo qualche decennio di tira e molla, la Svizzera sta spingendo convintamente verso una strategia di legalizzazione. Ma per farlo bene servono dati: quali sono gli effetti psicosociali del consumo di cannabis? Esistono rischi rilevanti per la salute pubblica e per quella dei singoli cittadini? Ci sono particolarità del contesto elvetico che possono influenzare questi effetti? Che tipo di strategia funzionerebbe meglio per la distribuzione, un mercato regolato dallo Stato (tipo un monopolio), un mercato completamente libero o un modello tipo social club spagnoli? Il punto è che ancora non lo sappiamo e per affrontare in maniera seria e rigorosa la questione servono dati e informazioni scientificamente solide. 

SSIT: Quale ruolo riveste come ricercatore all'interno di questo progetto pilota? 

L'argomento ricade nell'area di interesse dell'istituto in cui lavoro e per questo sto mettendo assieme un protocollo, un team di ricercatori e tutta la rete di relazioni necessaria a realizzare uno studio di questo genere. 

SSIT: Cosa significa condurre un progetto di ricerca sulla cannabis secondo canoni scientifici? Quali sono i suoi scopi?

Sappiamo più di qualcosa di come e quanta cannabis si consumi in Svizzera. Sappiamo che nel 2015, il 28.3% della popolazione aveva usato cannabis almeno una volta e la tendenza è in aumento. Nel giro di trent'anni, infatti, questo valore dovrebbe salire fino al 42%. Sappiamo che i rischi per la salute individuale sono relativamente bassi, specialmente legati all'uso concomitante di altre sostanze (in primis alcol e cocaina). Ma non sappiamo nulla di un sacco di cose cruciali.

Giovanni Spitale

SSIT: Ad esempio?

Non sappiamo se l'introduzione di un mercato regolamentato abbia un impatto sulla quantità di crimini legati alla droga; sappiamo poco o nulla del profilo demografico di chi consuma e siamo profondamente ignoranti sul perché - statisticamente parlando - le persone consumino marijuana. Sappiamo poco del prodotto reperibile sul mercato nero, se non che il tasso di THC continua a salire e che questo è un male, perché uno sbilanciamento nei cannabinoidi (semplificando: molto THC e poco CBD) comporta un rischio aumentato di crisi psicotiche. Poi c'è l'enorme buco nero dei cannabinoidi di sintesi, "dell'erba truccata", per così dire. Infine, abbiamo evidenze perlopiù aneddotiche su come un consumo regolare influenzi la vita sociale e lavorativa delle persone. Adesso, finalmente, abbiamo la possibilità di fare chiarezza e di determinare come sarà il futuro della canapa in Svizzera e questo è elettrizzante. 

SSIT: Come viene organizzata una sperimentazione di questo tipo? 

Innanzitutto è una sperimentazione delicata - di fatto una sperimentazione umana, quindi bisogna essere estremamente attenti e proteggere adeguatamente la società e i partecipanti allo studio. La legge consente di reclutare un massimo di 5000 partecipanti, che devono essere residenti nel Cantone in cui lo studio è avviato. In collaborazione con un produttore, metteremo in piedi un punto di distribuzione in cui le persone interessate potranno ottenere informazioni precise e dettagliate ed eventualmente registrarsi allo studio. I partecipanti registrati avranno la possibilità di comprare cannabis svizzera, ottenendo anche un documento che attesta la loro partecipazione al progetto. Prima di ogni acquisto, sarà richiesto di compilare un questionario che ci permetterà di raccogliere dati e descrivere nel dettaglio come la cannabis impatti sulla vita delle persone. Un altro dettaglio fondamentale è che questo progetto richiede una grande integrità scientifica. 

SSIT: Potrebbe essere più chiaro? 

Gli interessi in gioco sono grossi, sia da un punto di vista economico che politico. Per me, come ricercatore, è cruciale cercare e raccontare la verità, senza pressioni di alcun genere. La gestione dei possibili conflitti di interesse quindi rientra già nel design dello studio e nella pianificazione della collaborazione con il produttore. Il progetto è un progetto scientifico e, sino al completamento dell'analisi, solo il team di ricerca avrà la possibilità di accedere ai dati. Dopodiché, siccome io ed il mio gruppo crediamo fermamente nell'open science come approccio inclusivo, come strumento di democratizzazione della scienza, e come fondamentale gesto di trasparenza, i dati saranno pubblici, disponibili a tutti: governo, scienziati e privati cittadini.

SSIT: Quali sono le città coinvolte? 

Virtualmente ogni comune svizzero potrà iniziare uno studio di questo tipo e so che molti si stanno attrezzando. Per iniziare servono un produttore, un gruppo di ricerca, un progetto che sia in linea con gli obiettivi definiti dalla legge, l'approvazione degli enti summenzionati ed un finanziamento per lo studio. Non sono cose facilissime ma nemmeno proibitive e immagino che nel corso del 2022 almeno una decina di città si attiveranno, da entrambi i lati della Röstigraben [Ndr. linea di demarcazione che separa la Svizzera tedesca da quella francofona e italiana]. 

SSIT: Come ricercatore in filosofia etica empirica quale sarà il suo approccio? 

Non chiunque si occupi di etica lo fa con un approccio empirico. Al contrario trovo che un approccio empirico sia inevitabile: del resto, siamo chiamati a formulare analisi prescrittive su fenomeni che accadono nel mondo e non solo nelle nostre teste. E la realtà è spesso complessa, sfaccettata, imprevedibile. Ecco perché ci servono dati empirici. Il mio cuore batte per la ricerca a metodi misti. Un approccio puramente quantitativo dice molto sulla dimensione di un fenomeno, ma molto poco sul suo significato. Un approccio puramente qualitativo, al contrario, è estremamente utile per capire i «come» ed i «perché», ma inutile per i «quanto». Combinando le strategie riusciamo ad includere nelle nostre analisi entrambe le dimensioni, ed entrambe le dimensioni sono cruciali per capire come normare il futuro della canapa, in Svizzera e non solo.

Giovanni Spitale

SSIT: Pensate di indagare le cause che conducono al consumo problematico di cannabis? 

Di sicuro. È importante e interessante e serve per formulare strategie consistenti per la riduzione del danno (un approccio già adottato con successo per molte altre sostanze). In realtà, però, la cosa che m'interessa personalmente è capire meglio il consumo quando questo non è problematico. È possibile consumare cannabis senza avere ricadute problematiche e, se si, come? Chi sono i consumatori non problematici e perché non lo sono? Quanti sono, rispetto alla platea dei consumatori? Si tratta di un gruppo di cui sappiamo poco o nulla, perché non arriva in ospedale o ai servizi per le tossicodipendenze. Sappiamo che sono molti, un terzo della popolazione, ma sappiamo poco altro. 

SSIT: Come ricercatore e come cittadino italiano che impressioni ha rispetto al pragmatismo elvetico? Crede che questo progetto abbia possibilità di sfociare nella legalizzazione della cannabis?

La Svizzera è lenta, ma costante. Normalmente ci vuole del tempo per prendere una decisione, ma una volta presa, si va avanti. Certo, credo che questo progetto abbia come obiettivo la legalizzazione in Svizzera - e non è una mia ipotesi, lo dice la legge. Dobbiamo solo capire quale sia il modo migliore. Idealmente credo che in cinque dieci anni Lugano possa tornare ad essere la «Jamaica delle Alpi» come si diceva vent'anni fa. 

SSIT: L'esperienza acquisita con questa sperimentazione vi da gli strumenti per replicarla in Italia? 

Un protocollo è tale perché è replicabile. La replicabilità è uno dei pilastri del pensiero scientifico. Sviluppare un protocollo per uno studio vuol dire sviluppare un protocollo replicabile. È essenziale perché garantisce la qualità del lavoro. Non so se tornerò a fare ricerca in Italia, non è una questione di salario, ma di libertà intellettuale. Ma non mi dispiacerebbe affatto vedere il protocollo a cui stiamo lavorando adattato ed implementato al di là delle Alpi. Mi farebbe molto piacere contribuire ad un percorso di legalizzazione fatta come Dio comanda anche nel Paese che mi ha dato i natali. Come redazione di Soft Secrets auguriamo che questo progetto di ricerca possa dare a Giovanni Spitale e alla sua squadra i risultati più interessanti e che, alla luce di questi, sia possibile procedere con una completa legalizzazione della marijuana presso i nostri cugini elvetici. Aspettiamo con ansia che Giovanni abbia concluso il proprio studio per invitarlo in Italia a presentare quanto emerso e per spiegare anche al di qua delle Alpi come una società moderna possa scegliere di regolare il consumo, la produzione e la distribuzione di cannabis.

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Fabrizio Dentini