Dealer o pusher? Dove si arrende l’italiano può il blues

Marco Ribechi
15 Aug 2021

"Dio maledica lo spacciatore". Così cantava il chitarrista blues e attore Hoyt Axton sul finire degli anni ‘60, in pieno periodo di rivolte giovanili. Sembra un controsenso da parte di una persona che per tutta la vita ha usato e abusato di stupefacenti ma il significato del suo brano "The pusher" era in realtà ben profondo


Originario dell’Oklahoma e figlio di musicisti, sembra che sua madre abbia scritto il primo grande successo planetario di Elvis Presley, "Heartbreak hotel". Nel suo brano "The pusher", datato 1967 e poi reso famoso l’anno successivo dagli Steppenwolf come colonna sonora del film Easy Rider (emozionante anche la versione di Nina Simone), Axton si prodiga in un ottimo e particolare blues per sancire definitivamente le differenze tra un dealer e un pusher, facendone un’attenta analisi sociologica.

Infatti, a differenza della lingua italiana in cui genericamente si usa solo il termine spacciatore per identificarli entrambi, in inglese la linea di demarcazione è netta ed effettivamente i due sostantivi raccontano due professioni estremamente differenti, se non addirittura opposte, nel mondo delle sostanze stupefacenti. Mentre il pusher è quell’uomo maledetto che ai bordi delle strade vende ai suoi clienti qualsiasi porcheria, senza curarsi della loro salute ma pensando solo ai suoi guadagni, il dealer è una sorta di migliore amico, colui che con la sua sapienza consegna solo ottima merce non per un mero calcolo economico, ma per dare uno sballo buono e positivo ai suoi contatti. L’assenza di questa distinzione tra spacciatore e "fornitore" è un grave omissis della lingua italiana poiché si perde anche la sottile sfumatura tra crimine e diritto individuale, gettando il tutto nel dispregiativo, nell’illegale.

Ma la lingua si sviluppa anche secondo la mentalità e la cultura di un popolo e, evidentemente, in Italia nessuno ha mai sentito necessità di operare questa fondamentale distinzione che invece creerebbe moltissime implicazioni anche sul piano legale. In Italia ci si accontenta di separare lo spacciatore dal consumatore. Così, nel grande calderone delle mistificazioni sulla marijuana, si mescola senza distinzione il coltivatore diretto che non vuole rivolgersi al mercato nero per acquistare la propria erba, il consumatore di erba che rifornisce la sua stretta cerchia di amici, il mafioso che opera nel traffico illecito di stupefacenti, spesso attraverso l’uso della violenza, e il pusher che vende per strada qualsiasi cosa, leggera o pesante, senza preoccuparsi della salute dei suoi clienti. Tutti in Italia sono considerati spacciatori allo stesso modo poiché la nostra lingua, che in questo rispecchia una mentalità retrograda, non opera distinzioni semantiche tra i termini. 

Invece le illuminanti parole di Axton ci dicono ben altro:

“Sai ho visto un sacco di gente

andare in giro con le lapidi negli occhi,

Sai che andranno a morire,

Dio maledica lo spacciatore”.

L’obiettivo delle critiche del bluesman è appunto lo spacciatore a cui ci si rivolge quando si è in stato di necessità. E’ considerato quasi un usuraio della droga tanto da doverlo maledire, un demone vero e proprio che si approfitta della debolezza dei suoi clienti. Dall’altro lato invece c’è il dealer:

della debolezza dei suoi clienti. Dall’altro lato invece c’è il dealer:

“Invece il venditore

è un uomo con l’erba dell’amore nelle sue mani

mentre il pusher è un mostro

non è una persona normale”.

E ancora:

“Il dealer prende un nichelino

e ti consegna un sacco di ottimi sogni

mentre il pusher si impossessa del tuo corpo

e lascia la tua mente urlare

Dio maledica il pusher”.

Canzoni come "The pusher", esibite in un’epoca in cui l’etichetta e la morale erano ancora molto forti, in cui parlare in pubblico di droghe era considerato uno scandalo, hanno permesso la formazione di un pensiero differente, hanno portato a ritmo di blues delle evidenze in una maniera talmente efficace che spesso la politica non è in grado di raggiungere. Il mondo può fare a meno dei pusher, creati tra l’altro da cieche politiche repressive, ma necessita sempre più di dealer, veri e propri paladini dell’antiproibizionismo. Sono i moderni coltivatori diretti che mantengono vivo un mercato che altrimenti finirebbe totalmente in mano alla criminalità organizzata penalizzando chi desidera fumare legittimamente e in piena libertà. Quindi sì, Dio maledica il pusher ma benedica il dealer e soprattutto il coltivatore. 

 

 

 

 

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Marco Ribechi