Impiccato a 46 anni con l'accusa di trafficare Cannabis

Marco Ribechi
05 Jun 2023

Tangaraju Suppiah è stato ucciso dal Governo di Singapore con l’accusa di contrabbandare un chilo di cannabis. Non sono servite a nulla le pressioni internazionali che chiedevano di riconsiderare la pena capitale per i reati legati alle droghe


Con accesso limitato all’interprete linguistico e con un avvocato che così non ha potuto difenderlo appieno, il 46enne Tangaraju Suppiah è stato barbaramente impiccato nonostante le richieste di grazia della sua famiglia e degli organi internazionali, che hanno fatto il giro del mondo. 

«Mio zio è un brav’uomo - ha detto la nipote in un video su Twitter poche ore prima dell’esecuzione - nonostante non abbia studiato ha sempre lavorato duramente per prendersi cura di noi. Se lo uccidono, uccideranno un innocente». L’appello lanciato solo 10 ore prima dell’esecuzione non ha sortito però alcun effetto in un paese dove, nonostante la modernità sbandierata e l’economia fiorente, i diritti umani sono ancora estremamente calpestati e violati.

L'Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha sollecitato Singapore a riconsiderare urgentemente l'impiccagione, mentre Richard Branson, influente imprenditore britannico, ha esortato lo stato a fermarla. Tangaraju Suppiah, 46 anni, è stato condannato a morte nel 2018 dopo che un giudice ha stabilito che era il proprietario di un numero di telefono utilizzato per coordinare un tentativo di traffico di cannabis. L'esecuzione è avvenuta al penitenziario di Changi, come confermato dal Servizio delle Carceri di Singapore all'Agence France-Presse.

Numerosi i dubbi anche sullo svolgimento delle indagini visto che, durante l’interrogatorio, non era presente un avvocato e nemmeno un interprete che invece era assolutamente necessario poiché l’imputato parlava la lingua tamil. Nel novembre dello scorso anno, durante un appello senza successo, Tangaraju si è rappresentato da solo in tribunale. Gli attivisti sostengono che un numero crescente di condannati a morte si trova in questa situazione, a causa delle difficoltà nel trovare assistenza legale.

parenti
Un frammento del video in cui i parenti di Tangaraju Suppiah chiedono di fermare l'esecuzione

Phil Robertson di Human Rights Watch ha definito l'esecuzione scandalosa, mettendo in discussione l'immagine di Singapore come un paese moderno e civilizzato. Il governo di Singapore sostiene che la pena di morte sia un deterrente efficace contro i reati legati alle droghe e che sia ampiamente sostenuta dalla popolazione. Nel corso dell'anno precedente, Singapore ha eseguito l'impiccagione di 11 persone per reati legati alle droghe, tra cui Nagaenthran K Dharmalingam, un uomo malese con disabilità, il cui caso ha suscitato una protesta globale e un sollevamento all'interno di Singapore. Maya Foa, direttrice dell'organizzazione non profit Reprieve, ha affermato che l'esecuzione di Tangaraju «contribuirà solo a un aumento dell'opposizione alla pena di morte a Singapore. Il paese sostiene di garantire ai condannati a morte un ‘giusto processo’, ma in realtà le violazioni sono la norma tra cui minacce e intimidazioni verso gli avvocati che difendono un condannato a morte».

Ming Yu Hah di Amnesty International ha condannato l'esecuzione, sottolineando "numerose lacune nel caso". Branson, membro della Commissione globale sulla politica delle droghe con sede a Ginevra, ha scritto sul suo blog che Tangaraju non era "assolutamente vicino" alle droghe al momento dell'arresto e che Singapore potrebbe aver giustiziato un uomo innocente. Il Ministero degli Affari Interni di Singapore ha risposto che la colpevolezza di Tangaraju era stata provata oltre ogni ragionevole dubbio: due numeri di telefono cellulare, attribuiti a lui dagli accusatori, erano stati utilizzati per coordinare la consegna delle droghe. Il ministero ha accusato Branson di mancare di rispetto per i tribunali di Singapore, affermando che il caso era stato esaminato "in modo esauriente e approfondito" per oltre tre anni. 

Il centro finanziario asiatico ha alcune delle leggi anti-narcotici più severe al mondo e sostiene che la pena di morte rimanga una soluzione efficace. Le Nazioni Unite al contrario sostengono che la pena di morte non sia efficace a livello globale e sia incompatibile con il diritto internazionale dei diritti umani, che consente la pena di morte solo per i crimini più gravi. L'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha dichiarato martedì: "La pena di morte è ancora in uso in un numero limitato di paesi, principalmente a causa del mito che dissuada dal crimine". Tra questi paesi, ovviamente, anche gli Stati Uniti d’America.

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Marco Ribechi