L'olio di cannabis può far regredire il cancro ai polmoni?

Maria Novella De Luca
06 Nov 2021

Il cancro al polmone è una delle prime cause di morte nei paesi industrializzati, Italia compresa e, nonostante i progressi della medicina, ogni anno il numero di vittime di entrambi i sessi è crescente e le terapie per risolvere il problema sono purtroppo ancora limitate.


In particolare, nel nostro Paese, questa neoplasia è la prima causa di morte per tumore negli uomini e la seconda nelle donne, con quasi 34.000 morti in un anno.

Negli ultimi anni si è osservata una moderata diminuzione dell'incidenza (numero di nuovi casi in un determinato periodo, per esempio un anno) negli uomini, ma un aumento significativo nelle donne: la spiegazione di queste variazioni è l'abitudine al fumo, che è calata nella popolazione maschile ed è invece aumentata in quella femminile.

Ricordiamo infatti che la principale causa è il fumo. Che sia di sigaretta o meno, il fumo presenta sostanze chimiche cancerogene che danneggiano i polmoni, interessati a cambiamenti gravi anche dopo poche boccate di fumo.

Ma il cancro al polmone, purtroppo, può colpire anche chi non ha mai fumato e, in questi casi diventa più difficile individuare la causa principale della malattia. Spesso è dovuta al fumo passivo e all’esposizione continua ad agenti inquinanti, anche se, secondo i medici, ha un ruolo importante la predisposizione genetica.

Nella gran parte dei casi clinici, i primi a essere attaccati dal cancro al polmone sono i bronchi, ma il tumore può formarsi anche nella trachea o a livello dei bronchioli. Quando cresce interferisce chiaramente con il normale funzionamento dei polmoni, causando sintomi come tosse e dolore al petto.

Per quanto riguarda il trattamento, nella maggior parte dei casi, si ricorre all’intervento chirurgico, al quale segue la somministrazione di chemioterapici. L’operazione chirurgica interviene nello specifico rimuovendo la porzione di polmone interessata dal tumore.

Fare la chemioterapia, come sappiamo, può voler dire andare incontro a un impatto forte sul fisico, in quanto il farmaco uccide sia le cellule malate, sia parte di quelle sane, per questo c’è un forte interesse da parte dei medici su alcuni aspetti della cannabis terapeutica che aiuterebbero a tenere sotto controllo proprio gli effetti collaterali dei chemioterapici.

I primi studi riguardanti gli effetti di THC e CBD, principali metaboliti della cannabis, sulle cellule tumorali,  risalgono agli anni ‘80 e agli anni ‘90. Per quel che concerne il caso specifico del cancro al polmone, da ricordare è uno studio pubblicato nel 2011 sulle pagine del Cancer Prevention Research Journal. Quella ricerca riguardava in particolare gli effetti dei recettori della cannabis, considerandoli bersagli terapeutici contro il cancro al polmone, e aveva portato i ricercatori a concludere che gli antagonisti CB1 e CB2 sono in grado di rallentare sia la crescita tumorale, sia le metastasi.

Questo è stato confermato, negli anni successivi, anche da altri studi, come in uno dei più recenti condotto dal Dipartimento di Patologia, Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’ Università di Valencia, su 157 campioni di tessuto neoplastico prelevati da pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) che ha osservato l’effetto del THC e del CBD, utilizzati da soli o in combinazione, sulla proliferazione e l’espressione del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR).

Dallo studio è emerso che i “livelli di espressione di CB1 e CB2 hanno un potenziale utilizzo come marker di sopravvivenza nei pazienti con NSCLC. THC e CBD hanno inibito la proliferazione e l’espressione dell’ EGFR nelle cellule tumorali polmonari studiate. Infine, la combinazione THC / CBD ha ripristinato il fenotipo epiteliale in vitro”.

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0228909

La conferma degli effetti della cannabis sul cancro  arriva da queste e molte altre ricerche ma anche dalle testimonianze di diversi pazienti che, in questi anni, hanno parlato della propria esperienza di consumatori di cannabis terapeutica in concomitanza con il periodo di malattia.

A questo punto viene naturale chiedersi fino a che punto la cannabis sia un trattamento valido per la cura del cancro ai polmoni. La ricerca, in quasi 30 anni di studi approfonditi, è senza dubbio a buon punto ma è comunque ancora troppo presto per poter parlare di una conclusione definitiva e dire che sì, siamo arrivati al momento in cui la somministrazione di cannabinoidi può sostituire altre terapie come la chemio o la radio.

Di certo c’è da dire che fortunatamente le ricerche continuano e che è il caso di tenerle d’occhio. E’ quello che suggeriscono anche alcuni medici che hanno seguito il caso di una paziente di 80 anni che ha assunto olio di cannabidiolo (CBD) come autotrattamento alternativo alla terapia standard dopo la diagnosi di tumore e dopo 3 anni, le dimensioni del suo carcinoma si sono ridotte del 76%.

Questa donna aveva anche una lieve broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), osteoartrite e ipertensione, per la quale stava assumendo vari farmaci. Era una fumatrice, consumava circa un pacchetto di sigarette ogni settimana.

Il suo tumore, alla diagnosi, nel 2018, aveva una dimensione di 41 mm, senza evidenza di diffusione locale ulteriore, quindi era adatto per il trattamento convenzionale di chirurgia, chemioterapia e radioterapia come spiegano i medici nel loro report https://casereports.bmj.com/content/14/10/e244195. Ma la donna aveva rifiutato il trattamento e quindi era stata sottoposta a continui monitoraggi. Questi hanno mostrato che il tumore si stava progressivamente riducendo, da 41 mm nel mese di giugno 2018, a 10 mm a febbraio 2021.

Quando è stata contattata nel 2019 per discutere dei suoi progressi, la donna ha rivelato di aver assunto olio di CBD come autotrattamento alternativo per il suo cancro ai polmoni dall’agosto 2018, poco dopo la sua diagnosi. Aveva iniziato su consiglio di una parente, dopo aver visto suo marito lottare con gli effetti collaterali della radioterapia. Ha detto di aver preso costantemente 0,5 ml di olio, due o tre volte al giorno.

I principali principi attivi presenti nell’olio erano:

- tetraidrocannabinolo (THC) al 19,5%

- cannabidiolo a circa il 20%

- acido tetraidrocannabinolico (THCA) a circa il 24%

La donna ha registrato solo un calo dell’appetito, ma non ha avuto altri evidenti effetti collaterali. Non ha modificato il suo stile di vita, ha continuato a prendere le solite medicine e ha continuato a fumare per tutto il tempo.

Questo caso sembra dimostrare un possibile beneficio dell'assunzione di "olio di CBD" che potrebbe aver portato alla regressione del tumore.

"L'uso dei cannabinoidi come potenziale trattamento del cancro giustifica ulteriori ricerche" affermano i ricercatori, perché in effetti, nonostante questa sia una bellissima storia, c'è ancora molto da sapere quando si tratta di cannabis e cancro, e i risultati variano a seconda della situazione. Solo perché i trattamenti a base di cannabis funzionano per un paziente non significa che funzioneranno per tutti. Sebbene sembri esserci una relazione tra l’assunzione di olio di CBD e la regressione del tumore, osservata nel caso di questa donna, non si è in grado di confermare in modo conclusivo che la regressione del tumore sia dovuta all’assunzione di olio di CBD né quale degli ingredienti dell’olio di CBD potrebbe essere stato utile. È pur vero, come affermava qualche anno fa il Dott. Massimo Nabissi, ricercatore all’Università di Camerino, che lavora da molti anni su questo tema, che quello che manca è la ricerca clinica sui pazienti. “Oramai lo studio dei cannabinoidi per le loro proprietà anti-cancerogene è una realtà, ed è assurdo che ci sia una mentalità così restrittiva: sul tumore al polmone, alla mammella, alcuni dati sul pancreas, sul tumore cerebrale e sul mieloma, di studi pre-clinici ce ne sono almeno un centinaio, sempre più dettagliati: quello che manca è la ricerca clinica eseguita sui pazienti. Raccogliere report su singoli casi clinici, come quello di questa donna, quindi, è l’unico modo per rafforzare gli studi con i cannabinoidi e avere risposte più sicure. L’auspicio per il futuro, quindi, è che si riesca a raccogliere sempre più dati dai pazienti e che sempre più pazienti siano trattati anche con la cannabis.

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Maria Novella De Luca