Stupefacenti le motivazioni di Amato sull’inammissibiltà del referendum

Maria Novella De Luca
17 Feb 2022

“Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Il quesito è articolato in tre sotto quesiti ed il primo prevede che scompaia tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, che non includono neppure la cannabis ma includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti. Già questo sarebbe sufficiente a farci violare obblighi internazionali”


Con queste parole e in modo abbastanza inedito, lo stesso presidente della Consulta, Giuliano Amato, ieri ha dichiarato inammissibile il referendum sulla depenalizzazione della coltivazione della Cannabis.

Un colpo difficile da accettare, indubbiamente, per i tanti firmatari, per il comitato promotore e tutte le associazioni e partiti politici che in questi mesi hanno lavorato duro, ma soprattutto una sconfitta per le istituzioni e per la democrazia. Non aver dato la possibilità al popolo di esprimersi su un tema che da tanti anni il parlamento non ha il coraggio di affrontare, peggiora quella profonda frattura che esiste tra istituzioni e voce del popolo. L’ha ribadito anche l’ex senatore Luigi Manconi sottolineando che "la sentenza rischia di produrre un arretramento nella partecipazione politica, soprattutto dei più giovani”.

E poi oltre il danno anche la beffa, perché le motivazioni addotte dal presidente Amato non sembrano convincere il comitato promotore che le ritiene scorrette.

Il titolo del referendum, infatti, era quello che avevano davanti i giudici della Consulta, scelto dalla Corte di Cassazione, integrato dal comitato promotore soltanto dalla parola “coltiva” nell’intento di non far entrare nel circuito penale la coltivazione della cannabis, chiedendo appunto l’abrogazione dall’articolo 73 del verbo “coltiva”. In questa maniera si sarebbe depenalizzata la coltivazione di piante di cannabis e di conseguenza eliminata la relativa pena, la reclusione dai due a i sei anni.

Alla Corte si chiedeva una pronuncia su una proposta specifica di referendum abrogativo, quindi, per come era scritta, e non di esprimere un parere sulla legalizzazione delle droghe leggere in generale.

E poi, il quesito era corretto, sottolineano in un’unica voce, Antonella Soldo di Meglio Legale, Marco Perduca presidente del comitato promotore del referendum, Marco Cappato della Luca Coscioni e Leonardo Fiorentini, segretario del Forum Droghe.

"Non abbiamo sbagliato. È la legge sulle droghe a essere una coperta rappezzata che va sicuramente cambiata” ha spiegato nella diretta di ieri sera Antonella Soldo, “ma se non si può cambiare con le iniziative popolari, non si può cambiare con il parlamento, non si può cambiare con il referendum, come si deve cambiare”?

Era chiaro a chiunque avesse letto le carte che il referendum avrebbe depenalizzato la coltivazione di tutte le piante, senza però intervenire sulle pene per le altre condotte a fini di spaccio come la detenzione e la fabbricazione. "Nessuno si sarebbe messo a coltivare coca o oppio sul balcone" spiega bene Leonardo Fiorentini : "le piante di coca, per questioni climatiche, non crescono in Italia e non risultano sequestri. Cosa che invece accade per il papavero. Entrambe però, come è ben noto e al contrario della marijuana che è pronta per il consumo, necessitano di complicati processi di raffinazione per diventare eroina e cocaina".

Eliminare solo il termine “coltiva” dalle condotte descritte nel comma1, quindi, aveva senso, perché la cannabis è l’unica sostanza che può essere consumata subito dopo la coltivazione senza particolari lavorazioni. La fabbricazione e la raffinazione sarebbero rimaste punite.

"Amato ha fatto quello che aveva detto di non fare: cercare il pelo nell’uovo. La bocciatura è incredibile, non c’è alcun contrasto con le norme internazionali tanto che alcuni Paesi che vi aderiscono, il Canada, Malta, hanno legalizzato. È un colpo durissimo per la democrazia", ha commentato Riccardo Magi, deputato e presidente di Più Europa che si è battuto in prima linea per il referendum.

Ora si dovrà ripartire dal Parlamento, ma la strada è impervia, soprattutto con l’attuale composizione.

“Hanno fatto fuori i due referendum popolari, cioè chiesti con la raccolta firme. Naturalmente questo è un colpo duro perché avremmo potuto trovarci tra tre mesi con la legalizzazione della cannabis. Non potrà accadere così in fretta ma accadrà. Non dobbiamo perdere fiducia, dobbiamo essere capaci di dare speranza e realizzazione concreta a questi obiettivi. Credo che avremo gli strumenti per farlo, potranno essere le disobbedienze civili, potranno essere i ricorsi o le altre iniziative.

Il modo si sta accorgendo che le politiche proibizioniste favoriscono la criminalità e di questo ci si dovrà accorgere anche in Italia” ha concluso nella lunga e difficile giornata di ieri Marco Cappato.

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Maria Novella De Luca