MILVA: ritorno al futuro per Taranto
Nico Capogna e MILVA. Storia di un’illuminazione diventata realtà in nome dell’amore per la terra di Puglia.
Nico Capogna è regista, produttore e montatore diplomato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Dalla sua mente nasce il progetto MILVA un «mockumentary» ambientato nella Taranto del futuro che ci ricorda che l’avvenire è composto da quanto gli uomini di oggi metteranno in fucina per le generazioni successive.
SSIT: Quale suggestione sta alla base del tuo documentario?
Nel futuro prossimo l'Ilva di Taranto è diventata uno stabilimento di lavorazione della canapa. Gli stabili non utili allo scopo, perché troppi o perché troppo grossi vengono rimodulati come polo museale: il simbolo degli errori che non si devono più commettere. Da qui il nome MILVA: Museo ILVA. Il fine del video è quello di voler far riflettere sull'economia e il liberismo, sul petrolio, sulla disinformazione che è stata fatta riguardo alla canapa (e alla marijuana), e non per ultimo, denunciare gli scempi dell'Ilva. Il tutto però visto sotto un'ottica "positiva". Non c'è denuncia, perché vediamo il tutto già proiettato nel futuro e non ci sono riferimenti troppo contingenti alle realtà politiche e/o economiche di adesso, non è quello il fine, non si vuole fare un prodotto alla "Report", ma più che altro si è voluto fare un film che faccia riflettere e soprattutto sognare.
SSIT: Quando presenterete il documentario al pubblico?
ll documentario verrà presentato questa estate in prima internazionale, presso lo spazio porto nella città di Taranto. Ci è sembrato fondamentale presentare per la prima volta questo progetto nella sua terra madre, per dare voce e spazio a tutti i contributi che sono stati dati con passione dalle persone intervistate.
SSIT: Il mondo che racconti, nel quale la canapa potrà da un lato bonificare il siderurgico e dall'altro innescare un'economia verde è un mondo possibile o solo ipotizzabile?
È un dato di fatto che la canapa abbia importanti proprietà di fitorisanamento del terreno, infatti è stata utilizzata per la bonifica nei territori di Chernobyl. La stessa idea mi venne in mente da un articolo letto a fine 2015 dove l'Associazione Canapuglia di Conversano (primo gruppo procannabis pugliese) avrebbe attivato a febbraio 2016 un progetto che prevedeva la coltivazione di canapa intorno all'Ilva. Il progetto partì dalla masseria di Vincenzo Fornaro, il quale qualche anno prima fu costretto a macellare gli animali con cui faceva produzioni alimentari perché affetti da diossina. Il tema quindi è molto caldo. Io per primo credo che le nostre realtà produttive, a partire da quelle più inquinanti come l'ex Italsider di Taranto, debbano prima di tutto ridefinirsi dando priorità alla sostenibilità ambientale dei processi, piuttosto che al mero guadagno economico. Il mondo, è un dato di fatto, sta collassando, dovremmo prenderne atto tutti, il prima possibile.
SSIT: Che ruolo ha giocato la politica nello sviluppo del progetto?
Anche se può sembrare strano, per adesso la parte politica, quando è stata interessata, ha visto e recepito il progetto con forte interesse. Il punto è che si sta parlando di un documentario. Come sempre, potrebbe essere preso come uno specchio per le allodole o la scusa di una promessa. Mi spiace dirlo, ma sono molto amareggiato, quando si parla di logiche ambientali che vanno contro le logiche economiche, tutto si immobilizza, e quello che rimane nell'aria sono solo tante parole, tante promesse, e tanti obiettivi che non si raggiungono e tante promesse. Greta Thunberg docet.
SSIT: Perché credi sia così difficile trovare una soluzione per l'ILVA?
Non sono un politico (per fortuna), quindi sono estraneo dalle logiche e dagli interessi economici e produttivi che possono esserci dietro alla più grande acciaieria d'Europa. Non voglio neanche immaginare a che livello di inciuci e accordi internazionali siano arrivati dopo 60 anni di storia della fabbrica. Il problema non sono i progetti di riconversione e le alternative, ce ne sono tantissime. Il problema sono gli accordi miliardari, quelli sono difficili da bonificare.
SSIT: Che cosa ti hanno insegnato i cittadini di Taranto che hai intervistato? Una delle cose che ho scoperto è stata la scarsa correlazione tra il lavoro dei tarantini e questa grande industria. Prima di cominciare le riprese davo per scontato che molti tarantini non volessero la chiusura (o riconversione) dell'ex Ilva per motivi collegati al lavoro. La verità è che oggi, fra cassa integrati, tagli vari e assunzioni fuori area, sono rimasti veramente pochi i tarantini che lavorano nell'azienda. Quindi sono stato colpito da quanti movimenti, quanta passione, quanta rabbia e tristezza permei il tessuto sociale di Taranto. Stanno riducendo un territorio fantastico a un colabrodo. È stato quindi illuminante vedere tanta consapevolezza nei tarantini, con l'idea che questo mostro economico e inquinante non lo vuole più nessuno. Tutti sono consapevoli, oggi, che la loro terra possa offrire molto di più, qualcosa di molto più unico che di una fabbrica posizionata lì decenni fa.