Discutendo di sostenibilità

Maria Novella De Luca
21 Dec 2021

Negli anni settanta, quando chiedevamo un mondo più pulito, più sano e con meno sprechi e disuguaglianze, ci davano dei pazzi drogati. Quando protestavamo contro l'uso della chimica in agricoltura, ci dicevano che ci volevamo opporre al progresso. Quando protestavamo per i diritti di tutti gli esseri viventi, ci dicevano che all'uomo è stato dato il dominio sulla natura. Quando protestavamo per salvare una pianta che si sta dimostrando sempre più importante per tutti, ci dicevano che volevamo ucciderci con la droga.


Adesso ci dicono che gli accordi internazionali sul clima non saranno sufficienti a salvare il mondo da catastrofi mai viste. Siamo arrivati a un punto di non ritorno, e dovremmo fermarci immediatamente da compiere qualunque azione che porti ad un aumento di calore o ad un maggior inquinamento. Parlano di sostenibilità ma qualunque azione di modifica del mondo diventa ora insostenibile, perché usa mezzi che comunque richiedono calore ed inquinamento per essere prodotti, compresa ogni forma di cannabis commerciale. Per produrre energia da un ettaro di mais, ne occorre molta di più di quella ricavabile... L'unica sostenibilità è un ritorno all'autosufficienza con, al contempo, il massimo rispetto per l'ambiente. Fino a 70 anni fa si praticava ancora nelle nostre campagne quella che era definita "alta agricoltura", dove, con un ettaro di terreno e animali si dava pieno sostentamento a una famiglia multigenerazionale, che viveva in piccole comunità. Con il bue o il cavallo si lavoravano i terreni e il letame da loro prodotto serviva a mantenere questi ultimi sani ed in fertilità. Oggi nessuno è più in grado di guidare un bue a portare l’aratro, ma forse presto sarà necessario insegnarlo di nuovo. Personalmente ho sempre cercato di praticare un'agricoltura soprattutto di sussistenza, almeno per le verdure e la cannabis. Poi, obbligato dal sistema ad una produzione commerciale, ho dovuto tralasciare la mia sussistenza; con il risultato che adesso mi devo comprare tutto, non posso più fruire di prodotti sicuramente sani e di qualità e la produzione (piccola, appena 50 metri quadri) di canapa light che faccio per il mercato mi costa 1000 euro al mese in bollette della luce... E quella - sempre light - che faccio nei campi, secondo la mia esperienza, è di qualità comunque molto migliore. Sono il primo ad essere ipocrita: uso la macchina, consumo un mucchio di corrente e di acqua, ma se voglio vivere in questo sistema ne sono obbligato. Anche dove vivevo in Himalaya, da quando è arrivata la strada, le cose sono cambiate profondamente e anche le nuove generazioni dei locali si stanno facendo abbindolare dall'imposizione del "progresso". Nel 1994 scrivevo un libretto - "il Canapaio" - in cui spigavo come le tecniche agricole descritte possono essere applicate anche per la crescita dei vegetali, soprattutto per la produzione di cibo: senza macchinari e senza veleni, in appezzamenti piccoli, in armonia con l'ambiente e non in competizione con esso. La coltivazione tradizionale della canapa - in tutto il mondo e per tutti gli scopi possibili - prevedeva un'enorme mole di lavoro manuale, alleviato da semplici macchinari azionati da energia umana o da animali da tiro. Ancora oggi, non esistono macchinari efficienti (e soprattutto a portata del piccolo agricoltore) per le lavorazioni dalla raccolta in poi. Ecco, "per il piccolo agricoltore": il piccolo è un problema per il grande sistema mercato. L'autosufficienza è un danno per il sistema di sfruttamento del mondo in cui viviamo. E a volte ti mettono anche in galera… Anche le recenti "aperture alla produzione di cannabis medica alle aziende" possono coinvolgere solo aziende in grado di investire diverse centinaia di migliaia di euro. Dove si produce spreco di energie, inquinamento, speculazioni, sfruttamento...La via all'autoproduzione di cannabis è un piccolo esempio di quello che dovrebbe essere con tutti i nostri bisogni: essere capaci di farsi tutto quello di cui si necessita. Che non sono i telefonini, non è l'automobile, non sono le ferie pagate, né il vestito firmato, né l'abbonamento alle partite di calcio. Quando arrivai a Malana - il mitico villaggio nella valle del Parvati - mi sentii un idiota: lì TUTTI quelli della mia generazione erano capaci di costruirsi la casa dal nulla (tagliando i tronchi, spaccando le pietre e assemblandoli), a farsi i vestiti dal nulla (allevando le pecore e lavorandone la lana, fino a farsi i telai per tesserla nella jungla), a produrre il proprio cibo (lavorando la terra e allevando gli animali), a trovare le medicine nella foresta per ogni problema di salute... Sono le quattro cose di cui abbiamo necessità nella vita, ma nel nostro sistema le dobbiamo comprare. E sempre meno persone sono capaci a farsene almeno una… Un ragazzo di Malana, anni fa, mi aveva detto: « appena arriva la strada mi compro un motorino». Gli chiesi come avrebbe fatto poi a pagarlo, con la benzina, l'assicurazione…«Faccio più campi per il fumo e ne vendo di più» mi disse. "No - pensai - non vai per ore a piedi su per la montagna, a dissodare e coltivare un campetto che non ti ripagherà nemmeno per la benzina che userai per il motorino. Andrai a lavorare per qualcun altro nella città vicina. E userai il motorino per andarci. E il tuo stipendio finirà in benzina e in altre necessità a cui non sarai più capace di provvedere sa solo". Questa la triste storia del cosiddetto "progresso"

Di Franco Casalone

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Maria Novella De Luca