L’erba proibita: storia del film simbolo di una generazione
Era il maggio del 2002, un solo anno dopo gli attentati delle Torri Gemelle di New York che sconvolgeranno per sempre il modo di vivere di miliardi di persone, contraendo le libertà individuali in nome di una presunta, fatiscente, sicurezza.
Fino a quel momento non si parlava ancora del “nemico islamico”, della necessità di attrezzare le proprie città con estreme misure antiterrorismo, di migrazione di massa e decreti sicurezza, e non si immaginava nemmeno nei film di fantascienza di dover un giorno girare per la strada a due metri di distanza gli uni dagli altri, indossando una mascherina per non contaminarsi. Non c’era nemmeno la patente a punti.
Era senza dubbio un’epoca di libertà in fermento, un periodo in cui le masse, i movimenti studenteschi, non si facevano pregare per scendere in piazza a protestare, a marciare, spesso sui ritmi dei 99 Posse (Rigurgito antifascista) o dei Rage Against the Machine (Killing in the name), sparati dalle casse a tutto volume che di norma aprivano i cortei nelle più importanti città italiane, ma anche nelle piccole. Si manifestava per tutto nella costante ricerca di estendere le proprie libertà. Si manifestava ancora contro le telecamere di video sorveglianza nelle città, all’epoca considerate (a ragione) una violazione della privacy mentre oggi sono d’obbligo anche nei paesini di pochissime anime e non sembra più strano che la polizia riprenda i passanti, anzi pare sia necessario. Si fumavano gli spinelli in faccia alle forze dell’ordine in un clima di assoluta rivolta e autodeterminazione. Un modo di vivere nella contestazione continua allo scopo di mettere in luce le contraddizioni della legge e del potere.
Proprio in quel contesto culturale nel 2002 inizia a circolare voce di qualcosa definito imperdibile, qualcosa che tutti dovevano vedere. Era “L’erba proibita” il documentario che ha segnato un’intera generazione di fumatori e antiproibizionisti. La pellicola fu distribuita in pochissimi cinema indipendenti (anche quelli purtroppo ormai spariti) capaci di diffondere opere che non fossero solo quelle imposte dal mainstream. Ma, ovviamente, il documentario si scagliava come una pietra in pieno viso verso le ipocrisie di una società proibizionista e ben presto fu ritirato.
Iniziò però a girare lo stesso attraverso il passaparola e la condivisione. È doveroso ricordare che nel 2002 ancora non esistevano i vari social con cui postare in un istante in tutto il mondo un pensiero o un video. I telefonini servivano solo per telefonare e al massimo mandare sms, internet non era ancora in tutte le case e non era facile trovare materiale nella rete. “L’erba proibita” però dilagò lo stesso a macchia d’olio attraverso le care vecchie videocassette e dvd, grazie a un sincero e genuino interessamento da parte degli spettatori che erano parte attiva della diffusione della verità.
La prassi era che qualcuno una sera piombasse in casa senza preavviso, armato di birra, sacchetto d’erba e vhs, promettendo di assistere a uno dei documentari più sconvolgenti mai immaginati. Al termine della visione si era talmente incazzati che non si desiderava altro che fumare ancora e diffondere quel messaggio di legalizzazione a tutti i propri contatti, ripetendo puntualmente il rituale di sballo e protesta con differenti cerchie di amici. Queste videoproiezioni erano normalmente seguite da sessioni spontanee di discussione e in pochissimo tempo le giovani generazioni erano divise tra chi aveva visto “L’erba proibita” e chi doveva ancora vederlo e perciò appariva come un pivello. Dall’altra parte della barricata i proibizionisti, più amici delle mafie che della libertà individuale.
In questo favoloso documentario che ancora oggi tutti dovrebbero vedere, prodotto da Cristiano Bortone e Daniele Mazzocca ma girato da 19 differenti registi, si parlava di erba a 360° con la più grande semplicità e con il coinvolgimento di importanti personaggi dello spettacolo e della politica. Paolo Rossi, Dario Fo, Dario Vergassola, Marco Pannella, Articolo 31, David Riondino, Pitura Freska, Frankie Hi Nrg, Vauro, 99 Posse, Tiromancino, Sud Sound System, Radici Nel Cemento, Reggae National Ticket solo per citarne alcuni.
Lo svolgimento della trama era assolutamente lineare ed esplicativo, capace di togliere immediatamente ogni riserva sulla legalizzazione data dalle lampanti assurdità apportate dai proibizionisti. Partendo dalla storia della pianta, l’analisi della legislazione, l’iter della sua proibizione e soprattutto facendo leva sui suoi infiniti usi a beneficio della società, da quello terapeutico all’applicazione come materiale plastico e artigianale il documentario abbatteva ogni resistenza alla legalizzazione.
Non mancavano le curiosità che rimangono impresse per sempre nei ricordi: la Bibbia di Gutenberg stampata su carta di canapa, La mitica Ford Cannabis, La Hemp Body Car il prototipo progettato da Henry Ford e ultimato nel 1937 interamente realizzato con plastica di semi di soia e canapa e alimentato da etanolo di canapa, l'uso in pittura da parte di Rembrandt e Van Gogh come base per i dipinti. Impagabile anche la reazione del vecchio agricoltore di canapa italiano degli anni ‘50, epoca in cui la penisola ne era il secondo produttore mondiale. Alla domanda: “Ma lo sa che è stata vietata perché dicono che è droga?” il vecchio esplode in una risata fragorosa e spontanea: “Droga! Ahaha”.
Oggi sembra che le verità portate a galla da quell’ottimo e rivoluzionario documentario siano in parte state insabbiate di nuovo. I proibizionisti attraverso il vecchio schema del creare paura e tensione hanno assunto quasi il monopolio dei discorsi sulla cannabis, continuando a portare i soliti vecchi schemi datati e ormai intollerabili, assurdi per qualsiasi mente capace di riflettere. Allo stesso tempo si sono contratti gli spazi di protesta, attualmente è persino impossibile aggregarsi e il popolo sta via via perdendo contatto con il suo potere più grande, quello di manifestare dissenso. Ma forse di nuovo quel mitico documentario potrà venirci in soccorso.
Tra poco “L’erba proibita” compirà 20 anni, è giunto il momento di rispolverarlo e diffonderlo nuovamente, nella speranza che susciti la stessa indignazione e desiderio di cambiamento che già ha fatto ribollire al suo esordio nell’intera Penisola. Come spiegava Jaka nel brano Ganjah ,sigla di chiusura del documentario, vogliamo dell’erba “Umoristica, mistica, più sana della plastica, fantastica, mai ostica, maieutica, magica, mitica, cannabis medica, etica prodiga, tonica, amica, benefica” ma soprattutto di qualità!