Intervista al Professor Livio Luongo
“Per il bene della pianta dobbiamo evitare che diventi la panacea di tutti i mali”
Livio Luongo è Professore associato di Farmacologia presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università della Campania “L. Vanvitelli”. Il suo nome, insieme a quello del Professor Giuseppe Cannazza e della Dottoressa Cinzia Citti, è associato alla scoperta di 4 nuovi fitocannabinoidi, due analoghi al THC: il Tetraidrocannabutolo e il Tetraidrocannabiforolo e due analoghi al CBD, il Cannabidibutolo ed il Cannabidiforolo. I risultati della ricerca, condotta sulla genetica FM2, prodotta dai militari di Firenze, hanno arricchito la comunità scientifica internazionale con nuove variabili da verificare e nuovi cammini da intraprendere, col fine ultimo di sfrondare il dibattito da miti e leggende e restituire alle persone un medicamento sicuro perché conosciuto nei minimi dettagli.
SSIT: Buongiorno Professor Luongo, ci racconta di cosa si occupa?
Mi occupo di ricerca traslazionale su modelli pre-clinici riguardanti dolore neuropatico e altre patologie croniche. Cerchiamo di identificare nuovi recettori, nel senso di nuovi bersagli farmacologici, su cellule coinvolte nell’induzione dell’allodinia, una sensazione percepita come dolorosa in seguito a stimoli innocui, in altre parole, il sintomo che limita la qualità della vita del paziente neuropatico. Nel mio caso sono circa 15 anni che lavoro nell’investigare il ruolo dei cannabinoidi nella cronicizzazione del dolore.
SSIT: Vuol spiegare ai nostri lettori cosa sia il dolore neuropatico?
Il dolore neuropatico è qualcos’altro rispetto alla normale percezione del dolore che invece rappresenta un’esperienza positiva, se infatti non avvisassimo questa percezione non ci renderemmo conto di uno stimolo che potrebbe potenzialmente danneggiarci. Il dolore acuto infatti è un meccanismo di allerta che ci protegge. Nel caso del dolore cronico neuropatico, invece, non abbiamo una causa reale, ma il nostro cervello percepisce comunque il dolore perché s’instaurano dei processi mentali, cosiddetti di plasticità, che rendono aree celebrali, normalmente coinvolte con altre funzioni, parte integrante della trasmissione del dolore.
SSIT: Dei quattro nuovi fitocannabinoidi si è detto che uno, il Tetraidrocannabiforolo, fosse 30 volte più potente del THC. Siccome il suo ruolo nella scoperta è stato quello di valutarlo in vivo su modelli animali, può raccontarci in che maniera eseguite tale valutazione?
Per quel che riguarda il Tetraidrocannabiforolo, è stata valutata quella che si chiama Tetrade ossia i quattro comportamenti classici normalmente indotti dal THC: l’ipotermia, la catalessia, l’analgesia e la riduzione del movimento. Nella nostra valutazione, dico nostra perché gli esperimenti sono stati condotti dalle Dott.sse Monica Iannotta e Carmela Belardo in diversi laboratori, abbiamo riscontrato che questo nuovo cannabinoide, il Tetraidrocannabiforolo (THCP), generava tutti e quattro i comportamenti della Tetrade, ma a dosi inferiori rispetto a quelle normalmente utilizzate di THC.
SSIT: Così avete detto che fosse più potente?
Da questi primi dati quello che si evince è che il THCP, questo nuovo componente, sembrerebbe essere più potente del THC nell’attivazione del recettore CB1 che è quello a cui sono ascrivibili gli effetti psicotropi della cannabis.
SSIT: Che prospetti apre la vostra scoperta?
Innanzitutto, da un punto di vista chimico, va chiarita la provenienza ed il motivo della presenza di questo nuovo composto della cannabis. Un altro aspetto importante sarà poi, quello di analizzare tutte le diverse varietà di cannabis presenti sul mercato medico per comprenderne la composizione chimica, ed in seguito bisognerà standardizzarle in termini di principi attivi e capire se contengono o meno il THCP.
SSIT: Secondo lei quali rischi e prospettive si affrontano investigando le applicazioni terapeutiche della cannabis?
Per primo dobbiamo evitare che la cannabis diventi la panacea di tutti i mali e questo per il bene e per la credibilità della pianta stessa. Sono molte le molecole derivanti dalle piante che hanno trovato impiego in medicina. Pensiamo ad esempio alla digossina e la digitossina derivanti dalla digitalis purpurea, la stessa morfina derivante dal papavero etc. A differenza di altre piante, la cannabis è un’officina molecolare con circa 120 composti definiti fitocannabinoidi ed altri 500 composti fra terpeni e flavonoidi. Proprio per tale complessità è molto difficile indentificare il singolo composto che ha l’effetto farmacologico desiderato perché ogni composto ha un effetto farmacologico con meccanismi di azione diversi gli uni dagli altri. Per cui potremmo avere sinergismi, ma eventualmente anche alcune sostanze che al contrario si ostacolano a vicenda nella genesi di un effetto farmacologico e farmacoterapeutico.
SSIT: Quali sono le priorità dalle quali non ci si può esimere di investigare?
La priorità è standardizzare in maniera opportuna tutti gli strains utilizzati per scopo medico.
SSIT: E per quale motivo?
Perché già siamo distanti anni luce dal poter immaginare una composizione precisa di questo preparato galenico, quindi, quanto meno, sapere di cosa è composto questo medicamento faciliterebbe sia la vita del medico che del paziente.
SSIT: Quanto tempo e quanto denaro servirebbe per una standardizzazione sistematica e definitiva?
Questa è sempre una nota dolente. Le tempistiche spesso sono strettamente dipendenti dalla disponibilità economica. Citando il mio maestro, il prof. Sabatino Maione, purtroppo non siamo più ai tempi di Alexander Fleming, in cui uno scienziato si chiudeva nel suo laboratorio e identificava/isolava/scopriva un composto. Oggi la ricerca è necessariamente composta da diverse figure professionali che, attraverso diverse competenze riescono a sinergizzare e fare qualcosa di buono. Vediamo il nostro lavoro, il nostro gruppo non poteva identificare il composto, mentre il gruppo del Prof. Cannazza non poteva avere la prova dell’efficacia in vivo dei composti. I fondi, soprattutto quelli che consentono di fare ricerca libera, sono oggi più che mai necessari.