Un passo avanti, due indietro

Soft Secrets
10 Aug 2016

Contestualmente al progetto di coltivare marijuana medica in proprio, il “governo del fare” del premier Renzi ha lavorato anche ad un nuovo disegno di legge sulla canapa industriale. Un atto dovuto che avrebbe dovuto aggiornare lo stato delle cose in materia di coltivazione a scopi industriali, in riferimento soprattutto al ritorno della cannabis nel novero delle droghe leggere, riconquistato grazie alle sentenza costituzionale di due anni fa. Se usiamo il condizionale è perché, come da copione, qulla che probabilmente sarà la nuova legge sulla canapa industriale nasconde in realtà ben altro: il rischio è la messa al bando della compravendita di semi di cannabis non certificati.


La scorsa estate è stato presentato alla Camera un DDL che poteva indurre a ben sperare, se veramente fosse andato nella direzione indicata nel titolo: “disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa in Italia”. Infatti è bastato andare a leggersi l’articolato approvato dalla Commissione Agricoltura e inviato alle Commissioni competenti per i pareri dovuti, per scoprire una vera enormità.

All’articolo 9, primo comma, prevedeva la collocazione in tabella I (quella delle droghe cosiddette pesanti) della “canapa sativa, compresi i prodotti da essa ottenuti, proveniente da coltivazioni con una percentuale di tetraidrocannabinoli superiore all’1 per cento, i loro analoghi naturali...”. Una previsione sconcertante, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 2014 e del dibattito internazionale sulle droghe che è orientato verso ben altre direzioni.

Questa norma – figlia putativa dell'evidente ignoranza in materia – era peraltro presente nei numerosi progetti di legge, da cui nasce la discussione, presentati dagli onorevoli Loredana Lupo (Movimento 5 Stelle), Adriano Zaccagnini (Sel), Nicodemo Oliverio (Pd) e Dorina Bianchi (Area Popolare) nel 2013, prima della sentenza dei giudici costituzionali, quando era vigente la tabella unica di tutte le sostanze stupefacenti prevista dalla Fini-Giovanardi. Ha però destato qualche sospetto in più di un osservatore il fatto che, nonostante il testo sia stato emendato in varie parti durante la trattazione in commissione, nessuno si sia accorto di un “errore” del genere, in evidente controtendenza rispetto alle stesse decisioni legislative.

A voler essere maliziosi, si potrebbe dire che il testo era stato inizialmente approvato in Commissione Agricoltura lo scorso 28 luglio, cioè durante il periodo topico in cui, contando sulla distrazione di massa estiva, sono state fatte passare le peggiori porcate giuridiche. Ed anche in questo caso le premesse c’erano tutte, non solo per lo scarso interesse che può suscitare una legge sull’agricoltura, dove nessuno si aspetterebbe mai di trovare altro. Dobbiamo ringraziare l'azienda agricola Biocannabis del celebre Mefisto se gli altarini sono stati scoperti ed esposti al pubblico. Ora invece è merito del collittivo MMM (MillionMarijuanaMarch) se si sono riaccesi i riflettori sulla vicenda.

Una vicenda, partita già decisamente male, e che sembra destinata a peggiorare ora che la discussione è arrivata in Senato, dove si va concretizzando il rischio che la proposta di legge sulla canapa in campo agronomico venga utilizzata per rendere illegale la compravendita di semi non certificati, altresì conosciuti come “da collezione”. Le prime avvisaglie di questa ennesima beffa proibizionista si erano già palesate lo scorso 16 marzo, quando il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF) ha depositato una memoria contenente la raccomandazione di introdurre un nuovo illecito amministrativo per vietare la messa in commercio di semi non certificati.

Proprio sulla base delle raccomandazioni del MIPAAF, è stato rapidamente presentato in Senato un emendamento al DDL, che ora dovrà necessariamente essere respinto oppure accolto. Si tratta di una modifica proposta dal senatore Marcello Gualdini (Area Popolare) durante una delle ultime sedute della IXª Commissione Agricoltura e produzione agroalimentare, che vorrebbe aggiungere al disegno di legge un nuovo articolo composto da ben 9 commi, per mettere al bando la compravendita di semi “da collezione” e rendere di fatto impraticabile l'autoproduzione, unico vero antidoto al mercato nero delle mafie e all'impianto monopolistico dei legislatori.

Di seguito, il testo integrale dell’emendamento:

(Disciplina della commercializzazione delle sementi di canapa)

1. Sono escluse, dalle norme del comma 8 dell'articolo 9 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1065 del 1973, le confezioni di sementi di canapa poste in circolazione a qualsiasi titolo e destinazione d’uso e che, pertanto, sono sottoposte alle norme previste dalla legge n.1096 del 1971, in quanto sementi iscritte al registro e quindi certificate.

2. Sono vietate la vendita o la cessione, anche attraverso internet e a qualsiasi titolo, nonché l’acquisto, la detenzione, il possesso, la coltivazione e la produzione di sementi di canapa di qualsiasi varietà che non siano regolarmente certificate ai sensi del decreto legislativo 3 novembre 2003, n.308.

3. L’acquisto delle sementi certificate è consentito solo per le imprese agricole regolarmente iscritte alla Camera di Commercio e dotate di fascicolo aziendale nell’ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), quando destinate esclusivamente alla produzione di fibre e/o di olio da utilizzare per usi industriali e/o agronomici e/o alimentare, compresa la coltivazione effettuata per scopi di riproduzione/moltiplicazione del seme delle varietà certificate.

4. La violazione del divieto di cui al comma 2 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 33 della legge 25 novembre 1971, n. 1096.

5. Le imprese agricole che coltivano sementi di canapa certificate devono conservare il cartellino di certificazione sementiera per la durata della vita della pianta e comunque per un periodo non inferiore a dodici mesi dalla data di semina.

6. All’impresa agricola che non sia trovata in possesso di tali certificazioni è applicata la sanzione amministrativa prevista dall’rticolo 33 della legge 25 novembre 1971, n. 1096, salvo che il fatto non costituisca reato ai sensi del decreto del presidente della Repubblica n.309 del 1990, accertato con un campionamento della coltivazione.

7. Le modalità di prelevamento e di analisi dei campioni provenienti da colture in pieno campo, ai fini della determinazione quantitativa del contenuto di THC delle varietà di canapa, dovrà seguire quanto previsto, specificatamente, nell’allegato 4 del decreto ministeriale n. 7588 del 5 aprile 2011.

8. I prelevamenti e le analisi di cui al comma 7, quando svolte con finalità ispettive, sono effettuati dal personale del Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari, del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali o di enti delegati da AGEA, fatto salvo ogni tipo di controllo effettuati con le stesse modalità di accertamento da parte delle autorità competenti in merito alla pubblica sicurezza e alle attività giudiziarie.

9. Dalla applicazione del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le Amministrazioni competenti provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. Visti i contenuti, sembrano esserci sempre meno dubbi sul fatto che i due disegni di legge attualmente in discussione, quello in ambito agronomico e quello dell'Intergruppo, siano complementari per assicurare il controllo sulla pianta e proprio l’emendamento sopra riportato, oltre a scongiurare la possibilità che essa possa essere riprodotta fuori dal monopolio, è anche un pericoloso precedente per i semi di qualsiasi altra pianta.

Ancora una volta, nascoste in un DDL che avrebbe dovuto semplificare la coltivazione della canapa, troviamo anche le disposizioni che introducono divieto di messa in commercio di semi non certificati, indispensabile per garantire il monopolio che stanno costruendo. Per provare a capire cosa bolle davvero in pentola, abbiamo chiesto allo stesso ministero di avere delucidazioni in merito. Chiarimento che è arrivato con un evidente copia-incolla della risposta data ai nostri colleghi di Dolce Vita ma che per completezza riportiamo anche qui. Questo il commento dei diretti interessati: “il documento da lei citato riporta una proposta maturata in un Tavolo tecnico sulla coltura della canapa ed è volta a contenere la commercializzazione di specie di canapa non certificate, con THC superiore a quello massimo consentito per la coltivazione per uso agricolo-alimentare.

La produzione di piante di cannabis o di parte di esse (infiorescenze, fresche e/o essiccate) potenzialmente destinabili o utilizzabili a produrre sostanze farmacologicamente attive o con THC superiori ai limiti indicati dal DPR 309/90 deve avvenire nel rispetto della normativa dell’Unione europea e di quella italiana”. In parole povere si conferma che secondo il Ministero la diffusione di semi di canapa di varietà differenti da quelle autorizzate per l’uso industriale e con una percentuale di THC inferiore allo 0.2% dovrebbe diventare illecito amministrativo. Una norma che, se approvata quale emendamento al testo in dibattito attualmente al Senato, renderebbe di fatto illegali tutti i semi di cannabis commercializzati dai growshop italiani, assestando l'ennesimo duro colpo alla categoria e rendendo ancor più appettibili i prodotti provenienti dal mercato nero.

Per ora siamo ancora nel novero del condizionale: la discussione a palazzo Madama è in corso al momento in cui scriviamo ed è ancora possibile sperare che questo emendamento venga depennato in quanto in evidente contraddizione con le attuali leggi in materia di droghe. Ma la politica italiana, si sa, non fa mai ben sperare. Un passo avanti, due indietro: questo il leitmotiv che sembra accompagnare la discussione politica sulla canapa in Italia. Sia essa medica o industriale, il chiaro obiettivo dei legislatori è quello di distinguerla nettamente da quella a fini ricreativi, portando avanti l'assurdo concetto dicotomico che vuole una cannabis che fa bene e una cannabis che fa male. Affinchè nessuno ricordi più che la cannabis è semplicemente una pianta.

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