Tutto sull'estrazione di cannabis medicinale
La capacità della cannabis di riequilibrare le funzioni del corpo è provata da decine di migliaia di studi scientifici specifici e da migliaia di anni di utilizzo terapeutico tradizionale.
La capacità della cannabis di riequilibrare le funzioni del corpo è provata da decine di migliaia di studi scientifici specifici e da migliaia di anni di utilizzo terapeutico tradizionale.
La capacità della cannabis di riequilibrare le funzioni del corpo è provata da decine di migliaia di studi scientifici specifici e da migliaia di anni di utilizzo terapeutico tradizionale. Ci dicono ancora che bisogna dimostrare l’efficacia di questa panacea, ma non esiste pianta o molecola su cui si sono fatte tante ricerche. La sua tossicità è praticamente nulla e non esiste, in migliaia di anni di uso da parte di miliardi di persone, un solo caso di morte documentato attribuibile alla cannabis. Le sue applicazioni terapeutico-salutistiche si stanno ampliando sempre più, praticamente non esiste un problema del nostro corpo che non sia migliorabile dalla cannabis, in forme e preparati diversi per ogni applicazione.
Ultimamente, con la riscoperta delle enormi possibilità terapeutiche della cannabis si assiste ad un tentativo, da parte di tutti i produttori di cannabis e/o derivati, di presentare preparati con la dicitura “per uso medico” o simili. L’utilizzo di cannabis è sempre terapeutico, ma spesso il prodotto che si utilizza non è sempre considerabile “sano”, e spesso le pratiche agricolturali usate non sono salutari per i coltivatori/trasformatori/consumatori stessi.
A parte la necessità di avere una materia prima (le piante) esente da infestanti animali e vegetali, esente da muffe e batteri e da ogni contaminante e senza residui di pesticidi, metalli pesanti e radiazioni – condizione necessaria per ogni prodotto destinato ad utilizzo umano e animale, sia che sia coltivato in interni o in esterni – come può essere considerato “sano” un prodotto destinato ad una grande distribuzione? Un prodotto coltivato sotto una luce artificiale, le cui radiazioni sono cancerogene per la pelle di chi è “costretto” (per sua volontà e per il regime proibizionista) a lavorarci sotto, in un ambiente con aria morta (ricca di ioni positivi) e spesso con lana di vetro (altamente cancerogena, usata per insonorizzare i tubi dell’aerazione) presente nell’aria.
Dove si usa per irrigare un’acqua morta e filtrata per eliminarne i contaminanti, dove si è obbligati ad usare pesticidi (ad esempio contro il ragnetto rosso) il cui utilizzo è consentito in agricoltura una volta all’anno, bisogna avere il patentino e utilizzare una maschera. Piante spesso coltivate in idroponica, sottoposte a radiazioni ionizzanti, asciugate troppo in fretta. Come può essere considerato sano un prodotto ottenuto da piante i cui genitori sono stati avvelenati per fargli cambiare sesso (la maggior parte delle piante oggi coltivate per uso ludico: le cosiddette “femminizzate”)?
Oppure è “sano” un prodotto proveniente da piante coltivate al sole, possibilmente in montagna, in ambienti lontano da insediamenti industriali, con aria e acqua pulite e vive, in un terreno incontaminato e ricco di materiale organico, con tempi naturali di crescita, impollinazione, fioritura ed essiccazione/concia? È “sano” per il coltivatore lavorare in indoor o all’aria aperta e sotto il sole? E per le piante? E per i futuri utilizzatori del prodotto?
Attenzione: ho parlato di essiccazione/concia. Adesso sono tutti convinti che sia meglio pulire le piante appena raccolte, farle seccare per pochi giorni e conciarle per un mese. Se le piante vengono fatte seccare con le foglie, l’acqua evaporerà dagli stomi delle foglie e non dalle cime, permettendo a queste ultime di conservare meglio i terpeni, oltre ad essere difese da polveri e sfregamenti (che tolgono la resina) vari. L’essiccazione deve durare almeno 20 giorni (meglio un mese): tempo necessario perché si degradi la clorofilla e possa evaporare l’acqua in eccesso in modo uniforme. Se fumate cime ancora umide è facile che vi venga mal di testa. La concia può anche durare pochi giorni, ad umidità e temperatura elevate, ma è difficile da controllare: meglio lasciar maturare un volume il più grande possibile per almeno un paio di mesi a temperatura ambiente.
In un bellissimo studio di Luigi L. Romano e Arno Hazekamp, ricercatori nelle Università di Siena e Leida, si provano diversi metodi “popolari” di estrazione dei principi attivi della cannabis, in cui vengono analizzati i cannabinoidi, i terpeni e i composti residui dei solventi usati. Vengono testati alcol etilico, nafta (etere di petrolio commerciale), etere di petrolio da laboratorio e olio di oliva. Nelle analisi dei due derivati del petrolio si rileva una “significativa presenza di residui tossici, in particolare nella “nafta” i residui sono in percentuale simile a quella dei terpeni rimasti”.
Lo studio conclude con il consiglio di non decarbossilare il materiale per non perdere la maggior parte dei terpeni, di non utilizzare carboni attivi per purificare dalla clorofilla l’estratto alcolico per non perdere anche metà dei cannabinoidi e dei terpeni. I migliori estratti ottenuti sono quelli in alcol etilico e in olio di oliva, con le limitazioni della presenza di clorofilla (che può dare un gusto spiacevole all’estratto) nell’estratto alcolico; e della difficoltà ad avere un’alta concentrazione di principi attivi in quello in olio di oliva. Le raccomandazioni degli autori sono per l’uso dell’olio di oliva per preparazioni casalinghe, anche per la sua facilità di reperimento e per la sua non pericolosità di utilizzo.
Negli ultimi anni si è assistito a tentativi di purificare al massimo i cannabinoidi dalle altre sostanze contenute nella pianta, spesso creando prodotti eccellenti, come nel caso della resina, separata a secco o in acqua e ghiaccio, con filtri sempre più precisi per separare la resina dalle impurità e dalle parti vegetali; ma a volte prodotti potenzialmente pericolosi (per chi li usa, ma anche per chi li produce), come nel caso dell’utilizzo di solventi derivati dal petrolio, come esano, butano e simili, o alcoli come il metilico o l’isopropilico. L’unico solvente accettato per un uso salutistico è l’alcol etilico. Altri solventi, come l’anidride carbonica in stato supercritico, sono molto selettivi, indispensabili per separare le varie molecole allo stato puro, ma richiedono un lavoro complicato per estrarre un fitocomplesso composto da centinaia di sostanze potenzialmente attive.
Il fitocomplesso delle sostanze contenute nella cannabis fa si che le varie molecole “importanti” (cannabinoidi, terpeni e flavonoidi) si possano utilizzare in quantità molto minori per essere efficaci (come nel caso del CBD, che puro richiede dosi di centinaia di milligrammi per funzionare, ed in fitocomplesso solo decine di milligrammi), e che gli effetti siano molto più estesi e bilanciati.
Da studi e prove recenti abbiamo trovato che quasi la metà dei cannabinoidi sono in circolazione nella pianta, e poco più della metà sono nella resina. Per questo, per un’estrazione completa, è necessario utilizzare un solvente e polverizzare il materiale vegetale.
Per molto tempo gli estratti alcolici di cannabis grezza sono stati riservati agli utilizzi medico-salutistici, perché una macerazione della sostanza in alcol porta ad un discioglimento della clorofilla e delle cere presenti, due componenti che daranno un odore ed un sapore sgradevoli all’estratto (l’utilizzo edonistico-ricreativo di estratti alcolici tradizionalmente si è sempre ottenuto partendo da una resina più o meno purificata dalle impurità). Abbiamo visto che se si lavora con materiali molto freddi sia il solvente (alcol etilico) che il materiale da estrarre, la clorofilla e le cere si disciolgono con più difficoltà.
Una ricetta per preparare un estratto casalingo di alta qualità.
Materiali necessari:
- un frullatore, di quelli a bicchiere per preparare frullati di frutta
- materiale da cui estrarre il fitocomplesso
- alcol etilico (puro: 99%, oppure per uso alimentare: 95-96%): per ogni 50 grammi di materiale circa un litro di alcol
- filtri di carta (vanno bene quelli della macchinetta del caffè, o, meglio, quelli per vino a lenta filtrazione – con i filtri a veloce o media filtrazione o con i filtri del caffè passano un poco di cere e bisogna poi congelare nuovamente per 48 ore il materiale filtrato e rifiltrarlo)
- una tela bianca, robusta, poco più grande del filtro
- una pentola d’acciaio + un’ altra più grande, bassa
- un fornello, meglio se senza fiamma (elettrico)
- un congelatore (freezer, più è freddo e meglio è)
Procedimento:
mettiamo tutto il materiale, l’alcol, il bicchiere del frullatore, i filtri, nel congelatore il giorno prima.
Il giorno dopo, togliamo tutto, e, rapidamente, mentre è tutto freddo, riempiamo il bicchiere del frullatore con il materiale verde, lo copriamo con alcol e azioniamo il frullatore finché tutto il materiale è ben polverizzato (1 minuto circa). Per una buona resa (fra il 5 e il 10%, dipende dal materiale di partenza) il volume alcol/materiale polverizzato dovrebbe essere di 10/1. Se inferiore, anche la percentuale di estratto ottenuto sarà minore e sarà utile una seconda estrazione, in cui però cominceranno ad esserci quantità significative di clorofilla.
Versiamo il contenuto del bicchiere sopra alla tela bianca, che sarà posizionata sopra ad un filtro di carta, sopra alla pentola di acciaio (per non reggere il filtro, mettetelo in un colino). Strizziamo per bene (con la tela) il materiale frullato sopra al filtro di carta, e lasciamo filtrare il tutto dentro alla pentola. Se il filtraggio avviene al freddo, le cere disciolte si condensano subito e rimangono sopra al filtro. Meglio quindi sarebbe effettuare questo passaggio nel freezer.
Mettiamo la pentola d’acciaio, con il materiale filtrato, a bagnomaria in una pentola più grande e lasciamo evaporare l’alcol: l’acqua bolle a 100 gradi, l’alcol a 75 circa. Prima che l’acqua vada in ebollizione evaporerà tutto l’alcol (controllate comunque l’acqua, che non evapori tutta). Mescolate l’estratto che sta evaporando con una paletta, per permettere una completa evaporazione.
Raccogliete l’estratto ancora caldo e fluido nel contenitore finale, e lasciate evaporare le ultime tracce di alcol e/o acqua, magari lasciandolo vicino ad una fonte di calore moderato, come una lampadina o un termosifone.
Il colore dovrebbe essere marrone-dorato, tendente più al giallo o più al rosso. Il sapore ed il profumo ricchi di terpeni (la maggior parte dei terpeni evaporano oltre i 90 gradi e quelli che evaporano prima a volte sono responsabili di effetti spiacevoli), ma diversi da quelli del materiale di partenza, più tendenti ad un sapore di hashish. La concentrazione di cannabinoidi, a seconda del materiale di partenza, può anche essere molto alta (fino al 70-80% dei cannabinoidi principali). A titolo di informazione, in Spagna con questo sistema abbiamo ottenuto un’estratto da un mix di fondi di erbe “bio” di un’associazione con una percentuale del 66% THC e 1,5% CBD; ed un altro estratto, da canapa industriale coltivata a 1350 m.s.l. con il 10%THC ed il 50%CBD. Più, per entrambi, gli altri cannabinoidi, terpeni e flavonoidi.
L’estratto così ottenuto può essere utilizzato in tutti i modi comuni di uso della pianta, ma la sua efficacia maggiore sarà se ingerito, possibilmente disciolto in un veicolo a base grassa (ghee, burro, olio), che ne permetta un migliore assorbimento. Se ne consiglia una diluizione dal 10 al 20%, con l’80-90% di base grassa ed un’assunzione con un contagocce, per controllare meglio le quantità utilizzate. Se assunto puro verrà assorbito dal corpo per solo il 20% circa, se diluito con oli vari sarà possibile che venga assorbito per il 70-80%, se diluito con ghee (burro chiarificato) dovrebbe essere assorbito quasi completamente, ma in questo ultimo caso il dosaggio sarà più difficile.
Con l’estratto di piante industriali ho visto effetti estremamente positivi negli utilizzatori per scopi terapeutici, con quello di piante ad alto THC ho avuto esperienze “mistiche”. Sperimentatelo quindi con cautela e ricordatevi che se disciolto in olio la sua efficacia sarà 4-5 volte maggiore.