Sulla religione della Canapa, part.II
All'altro estremo del pensiero Hindu, opposto a quello dei nemici degli stimolanti, per i fedeli l'innalzare l'uomo fuori da se stesso ed oltre le preoccupazioni individuali, il renderlo uno con la forza divina della natura, rende inevitabile che si trovino temperamenti per i quali lo spirito stimolante del bhang sia visto come lo spirito di libertà e conoscenza.
All'altro estremo del pensiero Hindu, opposto a quello dei nemici degli stimolanti, per i fedeli l'innalzare l'uomo fuori da sé stesso ed oltre le preoccupazioni individuali, il renderlo uno con la forza divina della natura, rende inevitabile che si trovino temperamenti per i quali lo spirito stimolante del bhang sia visto come lo spirito di libertà e conoscenza.
All’altro estremo del pensiero Hindu, opposto a quello dei nemici degli stimolanti, per i fedeli l’innalzare l’uomo fuori da sé stesso ed oltre le preoccupazioni individuali, il renderlo uno con la forza divina della natura, rende inevitabile che si trovino temperamenti per i quali lo spirito stimolante del bhang sia visto come lo spirito di libertà e conoscenza. Nell’estasi del bhang la scintilla dell’eterno nell’uomo trasforma in luce l’oscurità della materia e il sé illusorio è perso nel fuoco centrale dell’anima. I poeti Hindu di Shiva, il Grande Spirito che vivendo nel bhang passa nel bevitore, celebrano il bhang come “quello che cancella l’ignoranza, il datore di conoscenza”. Non ci sono gemme o gioielli che possano eguagliare in valore il bhang assunto con veracità e riverenza. Colui che beve bhang beve Shiva. L’anima, nella quale lo spirito del bhang trova una casa, naviga nell’oceano dell’Essere libera dalla stanchezza portata dal sé legato alla materia. Per l’uomo avaro, ancora legato all’attrazione della materia, o Maya, il bhang preso religiosamente cambia con gentilezza i suoi sentimenti e dà al bevitore salute e prontezza di mente. Con la stessa devozione al bhang, con reverenza, non con riti religiosi, che sono dovuti al solo Allah, il Mussulmano del nord India si unisce a cantare lodi al bhang. Per il seguace della religione dell’Islam il sacro spirito del bhang non è lo spirito dell’Onnipotente. È lo spirito del grande profeta Khizr, o Elia. Che il bhang sia sacro a Khizr è naturale. Khizr è il santo patrono dell’acqua. Ancora di più, Khizr significa verde, il colore riverito dell’acqua rinfrescante del bhang… il profeta Khizr, o profeta verde, grida: “possa la bevanda essere di tuo gradimento” Nasir, il grande poeta Urdu dell’India Settentrionale, che visse all’inizio del ventesimo secolo, tesse le lodi del suo amato “Sabzi” (verdura), il verde: “paragonati al bhang, gli alcolici non sono nulla. Tu, pazzo, abbandona tutto, bevi bhang”. A causa del suo stimolare l’immaginazione i poeti Musulmani onorano il bhang con il nome “Warak al khiyall”, la foglia del desiderio. E il “Makhzan”, il grande libro Arabo-Greco sulle droghe registra molti altri nomi amorevoli per la sostanza. Bhang è “il donatore di gioia”, “quello che fa volare nel Cielo”, “la guida al Paradiso”, “il Paradiso del Povero”, “il lenitore delle afflizioni”.
Molta della sacralità del bhang è dovuta alla sua virtù di schiarire le idee e di stimolare il cervello al pensiero. Fra gli asceti, quelli della setta conosciuta come Atits sono particolarmente devoti alla canapa. Nessuna riunione sociale o religiosa degli Atits è completa senza l’uso della canapa, fumata come ganja o bevuta come bhang. Per i suoi devoti il bhang non è una pianta comune, ed è sacra per il suo guardiano e per le sue proprietà curative. Secondo un racconto (delle scritture sacre Hindu), quando il nettare fu prodotto dalla frullatura dell’oceano, fu necessario qualcosa per purificare il nettare.
Allora gli dei fornirono ciò che avrebbe purificato il nettare, creando il bhang. Questo bhang fu creato da Mahadev dal suo stesso corpo, e così è chiamato “angaj”, nato dal corpo. Secondo un altro racconto, del nettare cadde al suolo e dal suolo nacque la pianta di bhang. Fu grazie all’uso di questo “figlio del nettare”, o di Mahadev, rispettando i precetti religiosi, che i Seers, o Rishis, diventarono Siddha, o tutt’uno con la divinità. Colui che, nonostante l’esempio dei Rishis, non usa bhang, perderà la felicità in questa vita e in quella futura. Alla fine sarà gettato all’inferno. La semplice vista del bhang ripulisce da tanti peccati come il sacrificio di mille cavalli o il compimento di mille pellegrinaggi. Colui che si scandalizza per l’uso di bhang soffrirà i tormenti dell’inferno tanto a lungo quanto durerà il sole. Colui che beve bhang in modo dissennato o per piacere, senza i riti religiosi, è tanto colpevole come chi commette centinaia di migliaia di peccati. Colui che beve con saggezza e in concordanza con le regole, e con riverenza, anche se il suo corpo è lordato con urina ed escrementi, è Shiva. Nessuna divinità o essere umano è tanto buono come chi beve religiosamente il bhang. Agli studenti delle sacre scritture a Benares viene dato da bere bhang prima che si siedano per studiare. A Benares, Ujjain ed altri posti sacri gli yogi, i bairagis ed i sannyasi bevono grandi quantità di bhang al fine di focalizzare i propri pensieri sull’Eterno. Per riportare alla ragione una mente sconvolta bisognerebbe bollire nel latte le foglie di bhang migliori e più pulite, e mischiare il tutto con burro chiarificato. Aggiungere salamisri, zafferano e zucchero e mangiare il tutto. Oltre ad essere “Vijaya”, il vittorioso, sui demoni della follia, il bhang è il vittorioso anche sui demoni della fame e della sete. Con l’aiuto del bhang gli asceti trascorrono giornate intere senza cibo e bevande. Il potere di sostegno del bhang ha aiutato molte famiglie Hindu a sopportare le miserie della carestia.
Proibire o anche restringere seriamente l’uso di una pianta tanto sacra e favorevole come la canapa causerebbe sofferenze diffuse e fastidi, e profonda rabbia nei numerosi venerandi asceti. Priverebbe la gente di una consolazione nello sconforto, di una cura nella malattia, di un guardiano la cui protezione divina li salva dagli attacchi di influenze malvagie, e il cui gran potere rende il devoto del Vittorioso in grado di superare i demoni di fame, sete, panico e pazzia, il demone del fascino di Maya, quello della pazzia, in grado di meditare sull’Eterno, fino all’Eterno, possedendo il suo corpo e la sua anima lo libera dall’io e lo riceve nell’oceano dell’Essere. Il devoto Musulmano condivide pienamente queste credenze. Il fakiro Musulmano, come suo fratello Hindu, venera il bhang come “il prolungatore di vita”, “il liberatore dei legami dell’io”. Il bhang unisce con lo Spirito Divino. “Abbiamo bevuto bhang ed il mistero, Io sono Lui si è schiarito. Un così grande risultato, un peccato così piccolo”.
All’altro estremo del pensiero Hindu, opposto a quello dei nemici degli stimolanti, per i fedeli l’innalzare l’uomo fuori da sé stesso ed oltre le preoccupazioni individuali, il renderlo uno con la forza divina della natura, rende inevitabile che si trovino temperamenti per i quali lo spirito stimolante del bhang sia visto come lo spirito di libertà e conoscenza. Nell’estasi del bhang la scintilla dell’eterno nell’uomo trasforma in luce l’oscurità della materia e il sé illusorio è perso nel fuoco centrale dell’anima. I poeti Hindu di Shiva, il Grande Spirito che vivendo nel bhang passa nel bevitore, celebrano il bhang come “quello che cancella l’ignoranza, il datore di conoscenza”. Non ci sono gemme o gioielli che possano eguagliare in valore il bhang assunto con veracità e riverenza. Colui che beve bhang beve Shiva. L’anima, nella quale lo spirito del bhang trova una casa, naviga nell’oceano dell’Essere libera dalla stanchezza portata dal sé legato alla materia. Per l’uomo avaro, ancora legato all’attrazione della materia, o Maya, il bhang preso religiosamente cambia con gentilezza i suoi sentimenti e dà al bevitore salute e prontezza di mente. Con la stessa devozione al bhang, con reverenza, non con riti religiosi, che sono dovuti al solo Allah, il Mussulmano del nord India si unisce a cantare lodi al bhang. Per il seguace della religione dell’Islam il sacro spirito del bhang non è lo spirito dell’Onnipotente. È lo spirito del grande profeta Khizr, o Elia. Che il bhang sia sacro a Khizr è naturale. Khizr è il santo patrono dell’acqua.
Ancora di più, Khizr significa verde, il colore riverito dell’acqua rinfrescante del bhang… il profeta Khizr, o profeta verde, grida: “possa la bevanda essere di tuo gradimento” Nasir, il grande poeta Urdu dell’India Settentrionale, che visse all’inizio del ventesimo secolo, tesse le lodi del suo amato “Sabzi” (verdura), il verde: “paragonati al bhang, gli alcolici non sono nulla. Tu, pazzo, abbandona tutto, bevi bhang”. A causa del suo stimolare l’immaginazione i poeti Musulmani onorano il bhang con il nome “Warak al khiyall”, la foglia del desiderio. E il “Makhzan”, il grande libro Arabo-Greco sulle droghe registra molti altri nomi amorevoli per la sostanza. Bhang è “il donatore di gioia”, “quello che fa volare nel Cielo”, “la guida al Paradiso”, “il Paradiso del Povero”, “il lenitore delle afflizioni”.
Molta della sacralità del bhang è dovuta alla sua virtù di schiarire le idee e di stimolare il cervello al pensiero. Fra gli asceti, quelli della setta conosciuta come Atits sono particolarmente devoti alla canapa. Nessuna riunione sociale o religiosa degli Atits è completa senza l’uso della canapa, fumata come ganja o bevuta come bhang. Per i suoi devoti il bhang non è una pianta comune, ed è sacra per il suo guardiano e per le sue proprietà curative. Secondo un racconto (delle scritture sacre Hindu), quando il nettare fu prodotto dalla frullatura dell’oceano, fu necessario qualcosa per purificare il nettare.
Allora gli dei fornirono ciò che avrebbe purificato il nettare, creando il bhang. Questo bhang fu creato da Mahadev dal suo stesso corpo, e così è chiamato “angaj”, nato dal corpo. Secondo un altro racconto, del nettare cadde al suolo e dal suolo nacque la pianta di bhang. Fu grazie all’uso di questo “figlio del nettare”, o di Mahadev, rispettando i precetti religiosi, che i Seers, o Rishis, diventarono Siddha, o tutt’uno con la divinità. Colui che, nonostante l’esempio dei Rishis, non usa bhang, perderà la felicità in questa vita e in quella futura. Alla fine sarà gettato all’inferno. La semplice vista del bhang ripulisce da tanti peccati come il sacrificio di mille cavalli o il compimento di mille pellegrinaggi. Colui che si scandalizza per l’uso di bhang soffrirà i tormenti dell’inferno tanto a lungo quanto durerà il sole. Colui che beve bhang in modo dissennato o per piacere, senza i riti religiosi, è tanto colpevole come chi commette centinaia di migliaia di peccati. Colui che beve con saggezza e in concordanza con le regole, e con riverenza, anche se il suo corpo è lordato con urina ed escrementi, è Shiva. Nessuna divinità o essere umano è tanto buono come chi beve religiosamente il bhang. Agli studenti delle sacre scritture a Benares viene dato da bere bhang prima che si siedano per studiare. A Benares, Ujjain ed altri posti sacri gli yogi, i bairagis ed i sannyasi bevono grandi quantità di bhang al fine di focalizzare i propri pensieri sull’Eterno. Per riportare alla ragione una mente sconvolta bisognerebbe bollire nel latte le foglie di bhang migliori e più pulite, e mischiare il tutto con burro chiarificato. Aggiungere salamisri, zafferano e zucchero e mangiare il tutto. Oltre ad essere “Vijaya”, il vittorioso, sui demoni della follia, il bhang è il vittorioso anche sui demoni della fame e della sete. Con l’aiuto del bhang gli asceti trascorrono giornate intere senza cibo e bevande. Il potere di sostegno del bhang ha aiutato molte famiglie Hindu a sopportare le miserie della carestia.
Proibire o anche restringere seriamente l’uso di una pianta tanto sacra e favorevole come la canapa causerebbe sofferenze diffuse e fastidi, e profonda rabbia nei numerosi venerandi asceti. Priverebbe la gente di una consolazione nello sconforto, di una cura nella malattia, di un guardiano la cui protezione divina li salva dagli attacchi di influenze malvagie, e il cui gran potere rende il devoto del Vittorioso in grado di superare i demoni di fame, sete, panico e pazzia, il demone del fascino di Maya, quello della pazzia, in grado di meditare sull’Eterno, fino all’Eterno, possedendo il suo corpo e la sua anima lo libera dall’io e lo riceve nell’oceano dell’Essere. Il devoto Musulmano condivide pienamente queste credenze. Il fakiro Musulmano, come suo fratello Hindu, venera il bhang come “il prolungatore di vita”, “il liberatore dei legami dell’io”. Il bhang unisce con lo Spirito Divino. “Abbiamo bevuto bhang ed il mistero, Io sono Lui si è schiarito. Un così grande risultato, un peccato così piccolo”.