Renaud Colson sulla cannabis terapeutica in Canada
Cannabis terapeutica in Canada: cosa imparare dal sistema messo in campo in un paese che sta facendo la storia della legalizzazione della cannabis. Renaud Colson è professore alla Facoltà di Diritto e Scienze Politiche dell’Università di Nantes.
Autore, nel 2005 di Il proibizionismo delle droghe e di Le droghe di fronte al diritto nel 2015, dall’inizio del secolo Colson lavora a livello internazionale sul diritto degli stupefacenti e sulle politiche delle droghe. A questo titolo ha studiato la legalizzazione della cannabis in Canada e, in virtù di questa esperienza, gli chiediamo di condividere le sue riflessioni su cosa questo paese potrebbe insegnare ai cugini europei. SSIT: In Canada, la cannabis terapeutica è legale da vent'anni. Quali sono gli aspetti più interessanti del loro sistema? Al di la dell’interesse specificamente medico del programma, la legalizzazione progressiva della cannabis terapeutica in Canada, partire dagli anni 2000, ha permesso allo Stato di sorvegliare il consumo terapeutico e di riprendere controllo su una parte della produzione di cannabis, senza però abbandonare il principio di interdizione che pesava sul consumo ricreativo. In un clima politico poco propizio ad un dibattito spassionato, medicalizzare il consumo di cannabis ha costituito un mezzo per fornire questo prodotto evitando lo scoglio della banalizzazione del consumo. Questo percorso, ideologicamente più accettabile che una depenalizzazione di tutte le forme di consumo, ha offerto una via di mezzo che, a quei tempi, ha permesso di spingere verso un orizzonte più lontano l’ipotesi di una legalizzazione della cannabis ricreativa. Per tale motivo credo che oggi in Europa siamo ad una situazione simile a quella del Canada a inizio del secolo. SSIT: Restando sulla cannabis terapeutica, oggi in Canada, più di 35 000 pazienti sono autorizzati a coltivare cannabis. Pensate che questo diritto debba essere accordato ai pazienti europei? Assolutamente si. La coltivazione di cannabis per consumo personale dovrebbe essere sempre autorizzata, poco importa se la finalità sia medica o ricreativa. Quando la coltivazione domestica non è finalizzata al passaggio ad una terza persona per motivi di lucro, mi sembra ingiustificabile farla diventare un’infrazione penale punibile con la prigione. La cannabis, in fondo non è che una pianta! SSIT: Non crede che gli Stati che da un lato permettono la cannabis per uso terapeutico e dall’altro reprimono chi la consuma per motivi non prettamente medici adottino una politica paradossale? L’incriminazione del consumo di cannabis e della sua produzione e possesso a scopo di utilizzo personale rappresenta un attentato al diritto alla dimensione privata della vita. L’attentato ai diritti dell’uomo è ancora più evidente nel caso del consumo terapeutico perché in quel caso è il diritto alla salute che viene minacciato. Ciò detto, e restando ad un certo livello di astrazione, possiamo ammettere che alcuni prodotti che presentano un interesse terapeutico possano restare sotto il controllo dell’autorità sanitaria. Sono sollevato del fatto che la morfina sia prescritta dai medici, ma questo non implica che la possa produrre a casa mia. SSIT: Secondo l'OMS e le Nazioni Unite, comunque, la morfina e la cannabis non sono più comparabili, allo stesso livello, visto che la seconda ha lasciato la tabella delle sostanze pericolose per la salute. Cosa rappresenta questa decisione storica ? A livello di diritto internazionale, la cannabis era sino a poco tempo fa, nelle tabelle I e IV della Convenzione sugli stupefacenti del 1961. La prima tabella elenca gli stupefacenti sottomessi ad un controllo internazionale e la seconda, all’interno di queste sostanze, elenca quelle particolarmente suscettibili di produrre effetti nocivi senza che questi vengano compensati da vantaggi di tipo terapeutico. Seguendo le raccomandazioni dell’OMS, la Commissione sugli stupefacenti delle Nazioni Unite a recentemente ritirato la cannabis dalla tabella IV riconoscendone in questo modo il potenziale terapeutico. Questa decisione ha una portata simbolica importante. Stimolerà lo sviluppo di ricerche sull’adozione della cannabis come medicamento e contribuirà alla decriminalizzazione di questa sostanza. Le conseguenze giuridiche, al contrario, saranno limitate. La cannabis resta, infatti, nel diritto interazionale, uno stupefacente. SSIT: Lo Stato sembra riconoscere che la cannabis sia benefica quando consumata per motivi medici e nociva se consumata per motivi ricreativi. Cosa pensa di questa distinzione? E’ davvero possibile separare nettamente le due categorie di consumatori? Questa distinzione fra pazienti malati e consumatori edonisti evidentemente è semplificatoria. Detto questo, resta da organizzare la realtà e questo compito spetta al diritto che ricorre a categorie binarie. Quindi se si crede che la cannabis abbia effettivamente delle virtù terapeutiche allora è comprensibile il volerle conferire lo status di medicinale regolamentandone la prescrizione per permettere ai malati di utilizzarla. SSIT: Generalmente, sembra che i consumatori di cannabis, malati o in salute, siano alla ricerca di un benessere legato al piacere di vivere. In questo caso è veramente necessario tracciare una frontiera fra due modelli di consumo che spesso si giustappongono? Il consumo ricreativo e quello terapeutico di cannabis sono due categorie che più che giustapporsi si sovrappongono. Per numerosi consumatori che pretendono di utilizzarla per motivi ricreativi, la cannabis è, di fatto, una stampella chimica che rende la vita più sopportabile. Al contrario, certi consumatori terapeutici gustano i piaceri della cannabis anche al di là del sollievo ai dolori fisici. Per questo bisogna pensare al consumo di cannabis come un continuum medico-ricreativo. L’opposizione dei due modelli di consumo, comunque, a livello teorico conserva un certo interesse perché permette alle due categorie di consumatori di interrogarsi sul senso delle proprie pratiche. SSIT: In Canada, paese che ha legalizzato la cannabis, il fenomeno dell’automedicazione al di fuori di ogni prescrizione medica è sempre più sviluppato. Quale lezione dovrebbero dedurne i nostri legislatori? All’inizio la normativa canadese era così rigida che l'accesso alla marijuana medica era quasi impossibile. L'automedicazione allora era massiva e si è ridotta man mano che le regole si sono allentate. Negli anni che hanno portato alla legalizzazione della cannabis ricreativa, la prescrizione medica è diventata, per alcuni medici, una semplice formalità. Nel complesso, lo studio dell'esperienza canadese è molto istruttivo. Ci ricorda che la legalizzazione della cannabis terapeutica deve necessariamente essere accompagnata da un programma di formazione per il personale sanitario e l'informazione dei pazienti. In assenza di linee guida precise sulle indicazioni e sulle modalità d'uso di questa pianta, il grande rischio è di vederne ostacolato l'accesso per colpa della riluttanza che logicamente può presentarsi in un momento in cui la scienza farmaceutica predilige i farmaci di sintesi. In ogni caso, comunque, la messa appunto di un dispositivo per l'accesso alla cannabis medica è sempre un esercizio pericoloso. Deve evitare la trappola del controllo eccessivo, che esclude, ingiustamente, alcuni pazienti, e quella del laissez-faire, che comporta un rischio significativo di deviazione dei prodotti verso il mercato ricreativo. SSIT: Visto che ripetiamo, la cannabis nonostante sia ancora considerata stupefacente, ha un grande potenziale medico, e visto che almeno in Canada i produttori del mercato terapeutico sono spesso gli stessi che per il mercato ricreativo, perché il passaggio dei prodotti medici al mercato ludico dovrebbe rappresentare un rischio? Come giurista, immagino la legalizzazione, prima di tutto, della cannabis medica. Quindi, nell'ipotesi in cui l’uso medico venisse legalizzato mantenendo il divieto di quello ricreativo, il rischio per il legislatore è quello di prevedere un accesso eccessivamente semplificato, come ad esempio è avvenuto in alcuni Stati americani, dove la prescrizione era molto semplice, e quindi i pazienti potevano rivendere i loro farmaci. Da un punto di vista giuridico, questo è un abuso, perché sarebbe un modo per ribaltare le categorie legali. SSIT: Però, come ha detto lei, il consumo medico e quello ludico dovrebbero essere considerati senza soluzione di continuità. Non crede che le categorie giuridiche di «medico» e di «ludico» siano troppo dogmatiche per rappresentare l’essenza di questa situazione? Questo è il problema del diritto che cerca di racchiudere un mondo sempre troppo complesso per esserlo. Il problema è che, dopo un secolo di criminalizzazione, la società non può improvvisamente accorgersi di aver sbagliato. Si tratta quindi di digerire gradualmente il fallimento e poi andare avanti lentamente. SSIT: Alla luce delle vostre ricerche che messaggio vorreste indirizzare ai legislatori europei? Non sono certo i consigli che mancano ai legislatori. Però, sopra un argomento così controverso e complesso, la competenza scientifica non può pretendere di sostituire la decisione politica, che alla fine si basa su un compromesso tra valori a volte contraddittori. Nel campo dei diritti umani, mi sembra urgente depenalizzare il consumo di cannabis, nonché il possesso e la produzione per uso personale. D'altra parte, se si decide finalmente di legalizzare il commercio di cannabis, occorre cautela. La storia del tabacco e dell'alcol testimonia che con potenti interessi industriali è più difficile inasprire le normative che allentarle. La scelta politica di legalizzare la cannabis deve quindi essere accompagnata, almeno inizialmente, dall'adozione di un modello di regolamentazione rigorosa. Se funziona bene, potrebbe costituire un esempio per altre droghe legali. Altrimenti sarà sempre possibile renderlo meno restrittivo.