Offensiva ticinese per i cannabis social club

Exitable
01 May 2014

Conoscendo i nostri cugini elvetici c'era da aspettarselo. Terminata ormai da 15 anni l'esplosione dei canapai che vendevano, gradevoli sacchettini di erba come deodoranti per armadi (il pubblico italiano mai ebbe tanto interesse per una profumazione alternativa del proprio guardaroba) il dibattito ticinese si ravviva, questa volta senza nascondersi dietro un escamotage, ma puntando dritti dritti alla creazione e regolamentazione di un sistema di cannabis social club nel Canton Ticino.


Conoscendo i nostri cugini elvetici c'era da aspettarselo. Terminata ormai da 15 anni l'esplosione dei canapai che vendevano, gradevoli sacchettini di erba come deodoranti per armadi (il pubblico italiano mai ebbe tanto interesse per una profumazione alternativa del proprio guardaroba) il dibattito ticinese si ravviva, questa volta senza nascondersi dietro un escamotage, ma puntando dritti dritti alla creazione e regolamentazione di un sistema di cannabis social club nel Canton Ticino.

Conoscendo i nostri cugini elvetici c'era da aspettarselo. Terminata ormai da 15 anni l'esplosione dei canapai che vendevano, gradevoli sacchettini di erba come deodoranti per armadi (il pubblico italiano mai ebbe tanto interesse per una profumazione alternativa del proprio guardaroba) il dibattito ticinese si ravviva, questa volta senza nascondersi dietro un escamotage, ma puntando dritti dritti alla creazione e regolamentazione di un sistema di cannabis social club nel Canton Ticino.

In fondo ormai, li hanno gli spagnoli, gli olandesi i coffeshop, in America la distribuzione in California è regolata dalla necessità medica, insomma i modelli non mancano, basta solo prenderne spunto valutando pro e contro e, trovato l'equilibrio, proporre agli amministratori del Cantone di normare in questa direzione anche per gli svizzeri italiani.

Ma entriamo nel merito, cosa propongono in concreto e su che basi fonda le rivendicazioni il Gruppo di riflessione dell'Associazione Cannabis Ricreativa Ticino (ACRT)? 

La proposta ha come cardine il bisogno di sicurezza. La creazione di un circuito di cannabis social club apporterebbe un risultato garantito in termini di sicurezza pubblica. Nel documento circolato a fine gennaio sul sito ticinonline (www.tio.ch) i propositori affermano con chiarezza: “Il mercato della cannabis rappresenta una parte importante del mercato aperto della droga nel Canton Ticino e genera molteplici reati, delitti e costi diretti e indiretti che minano la sicurezza della popolazione del Cantone. La cifra d'affari della cannabis in Svizzera è di 1 miliardo di franchi l'anno. D'altronde il consumo della cannabis è stato o sta per essere regolamentato in molti Paesi. In Svizzera il consumo non è solo largamente diffuso, ma perseguito dal Legislatore attraverso una semplice ammenda. ACRT propone di avviare un'esperienza pilota nel Canton Ticino autorizzando, per un periodo di tre/cinque anni, la coltivazione, la lavorazione, la distribuzione, la vendita e il consumo della cannabis e dei suoi prodotti derivati quali hashish, olio ecc. nell'ambito di associazioni controllate e registrate sul modello spagnolo e francese del club sociale. Il modello di consumo legale non mostra nessun aumento sia nel consumo sia nel numero di consumatori. In Svizzera il loro numero è stimato in circa 500 mila, ossia tra il 6,25% e l'8,5% della popolazione. In Olanda, dove il consumo è tollerato da decenni, la percentuale dei consumatori è pari al 5,74%, quindi inferiore a quella della Svizzera”.

E per chi non avesse ancora compreso a pieno la serietà del progetto, ecco un altro stralcio del suo testo proposto alle autorità elvetiche: “La soluzione indicata, combinata con un'accresciuta repressione del commercio di strada, ha quale obiettivo di limitare gli effetti criminogeni del mercato aperto, instaurare un contatto personale con i consumatori, preventivamente registrati dall'Associazione Cannabis Ricreativa Ticino e la cui confidenzialità dei dati è garantita in base alla legge federale sulla protezione dei dati. L'ACRT controlla/fa controllare parimenti il tenore dei principi attivi quali il THC, assicurandosi che la quantità prodotta non oltrepassi i bisogni di consumo individuali. Il prodotto è sottoposto al prelevamento di una tassa ad hoc. Una supervisione scientifica indipendente esaminerà l'impatto su consumatori e mercato della cannabis e le interazioni sulle politiche sanitaria, di sicurezza pubblica sia a livello sociale che economico”. 

E ancora: “Ridare fiducia e ricreare un sentimento di benessere significa focalizzarsi su situazioni concrete come lo spaccio per strada. Combattere efficacemente questa forma di delinquenza libererebbe le energie necessarie al miglioramento della sicurezza, consentendo alle forze di polizia di concentrarsi sulla repressione dell’importante fenomeno dell’incremento del numero dei furti e ridando nello stesso tempo agli abitanti lo stimolo e il coraggio di intervenire contro i vandalismi nello spazio pubblico. L’onnipresenza dello spaccio per strada offre, soprattutto ai più giovani, un’immagine non veritiera di tolleranza nei confronti del consumo di prodotti psico-attivi illegali, dando la falsa impressione di avere via libera nell’accesso a dei prodotti che possono essere acquistati nelle ore serali molto più facilmente che una bottiglia di vino. Le attuali risposte alle sfide dello spaccio e all’accesso incontrollato ai prodotti illegali (che sono d’altronde anche di una qualità variabile e portatori di altri rischi per la salute) sono particolarmente incoerenti”.

Il documento di ACRT arriva a domandare: “Dobbiamo chiederci quanto è problematica per la nostra società una persona che fuma cannabis, il cui consumo è controllato e circoscritto all’ambito privato. La risposta è ovvia: non crea nessun problema. Per contro, ogni consumo di droga non tenuto sotto controllo, sia esso legale o illegale, diventa una questione di salute pubblica, una questione vitale per la persona consumatrice e che, in più e sovente, determina una sofferenza per lei stessa e per i suoi familiari. Tra tutte le soluzioni prese in considerazione, un modello, in particolare, è proposto dall’ACRT: l’Associazione dei consumatori di cannabis (ACC) o Cannabis social club (CSC). In questo modello produttori e consumatori sono raggruppati sotto il mantello di un’associazione priva di scopi lucrativi. Le zone designate per la produzione sono conosciute unicamente dall’autorità, dalla polizia e dall’Associazione Cannabis Ricreativa Ticino (ACRT) per evitare qualsiasi tipo di rischio e sul modello delle Cannabis Farm funzionanti in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Olanda. Il consumo di ogni iscritto è definito preventivamente e con un tetto massimo per ogni consumatore, di modo che l’ACRT può indicare alla polizia i quantitativi prodotti e giustificare le giacenze di magazzino. Il carattere associativo dell’ACC/CSC evita ogni forma di commercializzazione per incrementarne il consumo. Di più, questo modello responsabilizza i consumatori, garantendo un controllo sociale interno. Risponde inoltre ai rischi di turismo esterno come si osserva in Olanda. Il modello offre la possibilità di un facile controllo tanto della qualità quanto della quantità del prodotto. Consente di mettere in sicurezza lo spazio pubblico, determinando dei luoghi specifici per l’acquisto e la vendita di cannabis. Infine, consente di tassare le ACC/ CSC per finanziare la prevenzione”. 

Sulla pagina Facebook del loro gruppo i ticinesi affermano: “Chiudere gli occhi di fronte ai 30 mila consumatori maggiorenni di cannabis sociale residenti in Ticino significa favorire il mercato nero della criminalità e privare lo Stato di un gettito fiscale milionario e di entrate per le assicurazioni sociali”.

Buon senso e pragmatismo, quel che manca in Italia. 

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