Il Marocco e la cannabis

Soft Secrets
13 Sep 2017
Il Transnational Institute (TNI) è un think tank olandese che propone lo studio e la soluzione delle grandi sfide della modernità. Grazie al sito bilingue inglese-spagnolo www.tni.org e alle attività di ricerca applicata, l’istituto rappresenta una miniera di informazioni per gli attivisti di tutto il mondo ma anche per i governi progressisti di tutto il mondo. In particolare dell’America Latina, tanto che sono stati proprio questi intellettuali olandesi a costituire i principali ispiratori del governo uruguaiano nella legalizzazione della canapa. Con un focus importante sul rapporto droghe e sottosviluppo nei paesi sottosviluppati, la loro missione consiste nella costruzione di un mondo giusto, democratico e sostenibile. Operando da oltre 40 anni come catalizzatore tra movimenti sociali, studiosi e policy-makers non potevano mancare pubblicazioni sulle politiche delle droghe come l’ultima fatica di Tom Blickman “Il Marocco e la cannabis”. Un’ avvolgente narrativa che ricostruisce l’evoluzione del paese divenuto con l’Afghanistan il principale esportatore di resina di cannabis, un’evoluzione che vede coinvolte milioni di persone tra produttori e consumatori sulle due sponde del Mediterraneo. www.tni.org La centenaria convivenza dell’uomo con la pianta è disturbata solo dal proibizionismo che fomenta ogni genere di corruzione ed arbitrio. Il segnale lanciato del TNI è chiaro: la cannabis potrebbe diventare una benedizione qualora l’Europa cambiasse rotta nel senso di una pace durevole nel Mediterraneo. Con la nascita di un turismo eco-compatibile e con l’importazione di hashish biologico di qualità sostenibile: un prodotto locale di qualità finalmente restituito alla comunità democratica e non alle mafie locali ed internazionali. Il risultato sarebbe quello di mitigare di molto la pressione migratoria, le ragioni dell’esodo ma anche il radicalismo islamico. Blickman sottolinea come siano in realtà i proibizionisti ad aver messo il carro di fronte ai buoi nel caso del Rif, con gli assurdi tentativi di annichilire la cultura e coltura del kif, la “gioia suprema” anche perché “per bloccare la produzione di cannabis in Marocco si dovrebbero convincere gli Europei a fumare le carote”. In effetti il Marocco continua ad essere il territorio di elezione di questa produzione che nonostante una sensibile riduzione dell’area di coltivazione (di 134 mila ettari al suo massimo storico nel 2003), controbilanciata dall’introduzione di varietà ibride che hanno quasi soppiantato le varietà tradizionali più resistenti alla siccità ma molto meno produttive. Anche per problemi idrogeologici legati alle nuove varietà, la soluzione sarebbe logicamente l’istituzione di trattati bilaterali tra stati che potrebbero così permettere ai contadini l’istituzione di una economia legale per la cannabis. Una pianta il cui primo utilizzo nel Rif è datato tra il settimo e il quindicesimo secolo, subito dopo la conquista araba del Marocco settentrionale. Una produzione conferita in gran parte al monopolio dei kif e del tabacco e la cui tassazione era trasferita al sultano o al Makhzen, il Tesoro. www.tni.org Un monopolio poi passato agli occupanti francesi e spagnoli che lo abolirono negli anni Cinquanta. Il che spiega la tradizionale simpatia per la cannabis degli spagnoli e tra gli stessi miliziani del generale Francisco Franco, le cui truppe stazionavano in Africa prima di scatenare la guerra civile. Il Rif è un territorio autonomo che esportava la canapa terapeutica in Francia nell’Ottocento quando era ancora legale ed autorizzata dal sultano Mulay Hassan nel 1890 in cinque villaggi berberi delle aree tribali di Ketama che è tuttora il territorio tradizionale dove si coltiva la canapa. La produzione di hashish, nata negli anni Settanta grazie ai francesi ha quasi soppiantato il classico e secolare kif, la canapa mescolata con tabacco fumata per secoli nella caratteristica sepsi, la lunga pipa marocchina. A parte una breve parentesi a cui peraltro si ispirano i ribelli antigovernativi di oggi, la Repubblica autonoma dei Berberi del Rif (1923-1926) cercò di vietarne coltivazione e consumo perché il loro leader Adbelkrim, poi sconfitto da spagnoli e francesi, lo riteneva “haram”, proibito dall’Islam. Il divieto fu poi reiterato nel 1951 dagli occupanti francesi ma in sostanza la cannabis vive in una zona grigia che permette ogni tipo di abuso e di business, che alcuni partiti politici vorrebbero però normalizzare. Sono tanti i paradossi evidenziati da Blickman in un paese con oltre un milione di consumatori, circa l’8 per cento della popolazione e un altro milione di persone che vivono dell’indotto. Tanto che i tentativi di eradicazione scatenarono le rivolte soffocate nel sangue del 1958, con oltre 8000 morti. L’hashish è un patrimonio dell’umanità che, svincolato dalla violenza, potrebbe restituire alla società legalità e felicità, termini che attualmente sembrano confliggere. Sogno o realtà? Il kif del Rif, con la sua carica di felicità, potrebbe richiedere anche a noi Italiani di fare un salto. Per la costituzione di una cosa giusta. Anche perché il Rif è una vera e propria polveriera e il kif la sua vera medicina. di Enrico Fletzer
S
Soft Secrets