Crioconservazione

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05 Nov 2014

La crioconservazione è una risorsa biotecnologica sviluppata negli ultimi trent'anni che è diventata il principale metodo per la conservazione di materiale biologico per lunghi periodi, prevenendo l'alterazione genetica indotta dal trascorrere del tempo.


La crioconservazione è una risorsa biotecnologica sviluppata negli ultimi trent'anni che è diventata il principale metodo per la conservazione di materiale biologico per lunghi periodi, prevenendo l'alterazione genetica indotta dal trascorrere del tempo.

Le coltivazioni tradizionali da tempo sono state scalzate da varietà commerciali che maturano prima e garantiscono una maggiore produzione, con una conseguente riduzione della diversità genetica e la relativa perdita di caratteristiche, odori, sapori ed effetti unici.

Per evitare questa perdita è possibile avvalersi di due modalità di conservazione genetica di base: la conservazione in situ ed ex situ.

Nella prima, si conservano alcuni genotipi all'interno del loro habitat naturale, tenendoli in zone dove crescono selvatici o limitando la coltivazione in aree tradizionali per il prodotto. Nella seconda, si mantengono al di fuori del loro habitat, come il caso delle banche di semi, camere di conservazione apposite, giardini botanici, la coltivazione in vitro e la crioconservazione. 

I vantaggi principali della crioconservazione sono la semplicità e il fatto che, teoricamente, il germoplasma può essere conservato per un tempo infinito con costi e spazi contenuti.

Metodologia

La crioconservazione comporta la conservazione di materiale vegetale a temperature ultra basse alle quali si sospendono la divisione cellulare e l'attività metabolica. Il materiale, quindi, può mantenersi per un periodo prolungato senza modificarsi né deteriorarsi.

Il principale svantaggio della crioconservazione è la presenza di acqua nei tessuti a causa della formazione di cristalli di ghiaccio quando detti tessuti sono congelati. La formazione di cristalli inizia all'esterno dei tessuti e nella zona intracellulare, il che implica un aumento della pressione osmotica dovuta alla perdita di acqua. L'acqua intracellulare, quindi, sarà costretta a uscire per equilibrare la pressione. Le cellule finiscono per implodere e ciò senza tenere in considerazione il danno meccanico provocato dall'accrescimento dei cristalli.

Per questo motivo, i tessuti sono previamente essiccati avvalendosi di tecniche diverse e crioprotettori che diminuiscono il punto di congelamento della cellula. Queste sostanze possono essere penetranti (oligosaccaridi, manitolo, prolina…) e sostituiscono l'acqua all'interno della cellula, mantenendo la pressione osmotica e la dimensione, o non penetranti (polisaccaridi, proteine, PEG, PVP…) e ricoprono lo spazio intracellulare evitando che si congeli.

Per il congelamento si utilizza solitamente azoto liquido a una temperatura di -196 °C. 

La disidratazione può essere eseguita con procedimenti diversi:

  • Essiccazione all’aria: è il metodo utilizzato per semi e pollini.
  • Protocollo di raffreddamento lento: è stato il primo protocollo sviluppato per i tessuti vegetali. Consiste nel raffreddare lentamente i campioni in presenza di sostanze crioprotettrici fino a raggiungere i -40 °C. L'acqua, in questo modo, esce progressivamente dalle cellule. In seguito si conclude il congelamento immergendo i tessuti in azoto liquido. Al momento il protocollo è utilizzato per l’essiccazione di tessuti non strutturati come calli e sospensioni cellulari.
  • Incapsulamento-disidratazione: con questo metodo, i tessuti espiantati sono incapsulati in perle di alginato, un polisaccaride estratto dalle alghe. Sono successivamente essiccati utilizzando aria o gel di silicio. Si tratta di un processo più complesso, sebbene i nutrienti introdotti nella capsula facilitino l'attecchimento successivo della coltivazione.
  • Vetrificazione: consiste nel trattare gli espianti con una soluzione di crioprotettori, penetranti o non penetranti, per poi immergerli direttamente in azoto liquido.

Applicazioni della crioconservazione alle piante erbacee

  • Sospensioni cellulari e coltivazione di calli: solitamente si preservano utilizzando il protocollo di raffreddamento lento. Di norma l'obiettivo è la conservazione di caratteristiche specifiche dei tessuti che possono andare perse con una normale conservazione in vitro, come potrebbe essere la potenzialità di formare nuovi organi (potenziale morfogenetico).
  • Polline: il polline si conserva per facilitare incroci nei programmi di coltivazione, per la sua distribuzione e scambio e per la preservazione dei geni. È molto utile per eseguire incroci fra varietà con tempi di fioritura molto diversi.
  • Tessuti meristematici: è il tipo di espianto più utilizzato nella crioconservazione. Sebbene l’alterazione genetica del materiale si riduca rispetto alla coltivazione in vitro tradizionale, continua a essere un rischio per questo tipo di coltura, pertanto si preferisce l'uso di tessuti strutturati, come quelli dei meristemi, rispetto ad altri non strutturati. Di norma si utilizza il metodo dell’incapsulamento-disidratazione o della vetrificazione.
  • Semi: i semi restano vitali per un periodo di tempo limitato. Questa vitalità può aumentare enormemente se sono essiccati fino a raggiungere un’umidità del 5-10% e conservati a una temperatura ultra bassa.

Integrità genetica delle piante crioconservate

Dato che le cellule vegetali coltivate in vitro crescono in condizioni forzate diverse da quelle naturali, permane un rischio di alterazione genetica permanente (variazione somaclonale). Queste alterazioni sono trasmissibili alla discendenza e, quindi, possono essere utilizzate per miglioramenti vegetali al fine di ottenere nuovi genotipi. Nella maggior parte dei casi, però, le modifiche si ripercuotono negativamente sullo sviluppo della pianta, quindi, qualora si desiderasse conservare il germoplasma, la loro presenza non è affatto desiderabile.

Nella crioconservazione, il metabolismo si ferma e non sono necessarie sottocolture, pertanto si riduce la possibilità di alterazioni genetiche. Resta comunque consigliabile mantenere diverse copie dello stesso genotipo al fine di limitare al minimo i rischi.

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