Canapa danubiana
Si è conclusa con tante domande la 60ma Commissione Droghe Narcotiche delle Nazioni unite che si è riunita dal 13 al 17 marzo a Vienna. Com’è universalmente noto molti paesi sono ora tentati dalla legalizzazione (o addirittura costretti come sta succedendo in Sudafrica) oppure da una riedizione e continuazione della guerra alle droghe. Lo slogan verso una società senza droghe è ormai appannaggio della Svezia.
Ma anche dal lato riformista sembra calata la frenesia che aveva preceduto l’UNGASS di New York del 19-21 aprile 2016, che aveva contagiato anche la diplomazia italiana, arrivata addirittura a parlare di decriminalizzazione della coltivazione di cannabis. Ma a parte qualche leggero cambiamento di accenti, nessuno ha potuto affrontare tematiche invise da nazioni potenti come Russia, Giappone, Cina ma anche da Svezia e Norvegia. Basti pensare che il termine riduzione del danno è ancora aborrito e che non si riesce a bandire la pena di morte e neppure le punizioni corporali per droghe e alcool. Per non parlare della regolazione della cannabis. O ancora meno della riforma radicale dei trattati. In mezzo, la questione dei diritti umani e della salute che proprio il proibizionismo rende inconciliabili con la missione stessa delle Nazioni Unite con l’ulteriormente complicazione dettata dall’ipocrisia.
Così facendo gli organismi internazionali si rendono sempre più avulsi dalla realtà mentre di plenaria in plenaria la Cnd non ha voluto recepire neppure quanto emerso pochi mesi prima all’UNGASS di New York. Che fare? Una crescente minoranza di paesi vorrebbe liberarsi dei vincoli che ostacolano politiche giuste ed efficaci come la regolazione legale della cannabis. A cui potrebbe aggiungersi il Sudafrica dopo la clamorosa sentenza che ha dichiarato anticostituzionale la legge che proibisce la dagga.
Lo stallo è evidente, anche perché all’UNGASS i singoli stati avevano dichiarato “di esser d’accordo sul non esser d’accordo” mentre paesi come l’Italia pare evitano di considerare soluzioni alternative
E che dire del fronte progressista che insiste sulle frasi spesso svuotate di mordente come la difesa dei diritti umani o della salute ?
Una volta fuori dal VIC il senso di frustrazione tende a relativizzarsi. A pochi kilometri ci si può deliziare gli occhi alla Hemp Embassy, uno show room di piante di genetiche selezionatissime in mostra permanente nella Esterhazygasse 34 con la partecipazione delle migliori compagnie del mondo. Una mostra permanente destinata a chi abbia superato i sedici anni di età e voglia deliziare lo spirito.
A tutti e non solo ai consumatori di cannabis, la Commissione Droghe delle Nazioni Unite appare a questo punto come un vero e proprio spreco di risorse pubbliche se non un crimine. Anche perché ormai nessuno mette in dubbio come le attuali politiche siano costituzionalmente in contrasto con il diritto alla salute e alla libertà, alla faccia di chi non fa altro che ripetere anno dopo anno la stanca litania di essere “a favore dello sviluppo alternativo per la lotta alla produzione illegale di droga” come ha affermato anche in questa occasione l’ ambasciatrice italiana Maria Assunta Accili.
Nonostante la muffa, la sessantesima CND è stata una tappa importante per chi voglia capire dove potrebbe dirigersi il mondo e con chi occorre fare dei pezzi di strada come con una persona deliziosa, quale l’ex presidente nonché ministro degli Interni elvetico Ruth Dreifuss, presidente della Global Commission on Drugs che insiste sulla decriminalizzazione totale. Ma anche un poliziotto belga, Peter Muyshondt ha dimostrato un forte impegno civile quasi superiore per qualità al suo addestramento di agente scelto e che rimpiange di esser stato poco d’aiuto al suo fratello morto per overdose. Chiamando addirittura all'azione diretta. Il suo è un riconoscimento esplicito della totale inutilità della repressione.
E nonostante l’inerzia denunciata da Jindrich Voboril, coordinatore nazionale ceco sulle droghe, le possibilità di cambiamenti reali provenienti da questi consessi sono legate a quel vasto mondo di operatori ed attivisti che cercano di federare le situazioni suscettibili di miglioramento. È il caso dei Forum Legali proposti da alcuni attivisti legati alla rete di Encod riguardanti le politiche locali tra Praga e la Catalogna, possibili alleati di un fronte progressista locale o regionale, un possibile nucleo di città e regioni che si federano e che possibilmente si ribellano al proibizionismo con prospettive assolutamente pratiche come la regolamentazione del mercato della cannabis, le stanze del consumo e un atteggiamento maturo. Con tanti militanti antiproibizionisti che hanno partecipato a pieno titolo alle discussioni invadendo con successo le casematte della reazione.
Posizioni ancora minoritarie alla CND dove continua a valere il principio, come ci ricorda lo scrittore Antonio Escohotado, secondo cui “le droghe pericolose sono le droghe proibite”. Secondo questo input è la proibizione che determina la natura farmacologica di qualcosa, invece di essere questa natura il fattore che determina la sua proibizione. Pretendere il contrario, durante sessanta anni, è stato un modo di preparare la società affinché accettasse l’inevitabile crescita della amministrazione pubblica.
di Enrico Fletzer
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Soft Secrets