Art. 73: ancora dubbi sulla legittimità
Nello scorso numero ci eravamo lasciati con un sorriso amaro. Preso atto che la nuova legge targata Renzi-Lorenzin aveva rimesso la cannabis nel luogo a lei deputato - ovvero la tabella delle droghe leggere -, rimanevano però ancora molte ambiguità. Ed ora, a nemmeno due mesi dall'approvazione definitiva del nuovo testo da parte delle Camere, la legge sulle droghe potrebbe tornare nuovamente davanti alla Corte Costituzionale per problemi di illegittimità. Proprio a causa di queste ambiguità.
Nello scorso numero ci eravamo lasciati con un sorriso amaro. Preso atto che la nuova legge targata Renzi-Lorenzin aveva rimesso la cannabis nel luogo a lei deputato - ovvero la tabella delle droghe leggere -, rimanevano però ancora molte ambiguità. Ed ora, a nemmeno due mesi dall'approvazione definitiva del nuovo testo da parte delle Camere, la legge sulle droghe potrebbe tornare nuovamente davanti alla Corte Costituzionale per problemi di illegittimità. Proprio a causa di queste ambiguità.
Nello scorso numero ci eravamo lasciati con un sorriso amaro. Preso atto che la nuova legge targata Renzi-Lorenzin aveva rimesso la cannabis nel luogo a lei deputato - ovvero la tabella delle droghe leggere -, rimanevano però ancora molte ambiguità. Ed ora, a nemmeno due mesi dall'approvazione definitiva del nuovo testo da parte delle Camere, la legge sulle droghe potrebbe tornare nuovamente davanti alla Corte Costituzionale per problemi di illegittimità. Proprio a causa di queste ambiguità.
Come avevamo spiegato ampiamente nell'articolo apparso sullo scorso appuntamento con Punto Legale, il nuovo testo sulle droghe ha posto una differenziazione tra sostanze “pesanti” e “leggere” solo a livello nominale: ovvero le ha semplicemente poste in tabelle differenti. Oltre alla ricollocazione però, i legislatori non hanno voluto mettere mano all'impianto penale – se non nella misura di un abbassamento per quanto riguardava le pene carcerarie e pecuniarie relative alla cannabis. Cannabis che, è bene ricordarlo, rimaneva nella tabella A nel caso in cui fosse frutto di una pianta ibridata con alto contenuto di THC.
Avevamo anche parlato di come la formula scelta per far approvare in tempi brevi il testo redatto dal governo Renzi – quella della fiducia e del provvedimento d'urgenza – fosse in realtà un escamotage funzionale ad azzerare il dibattito politico e pubblico sulla tematica. Insomma, il nostro giudizio complessivo constava nel fatto che la vecchia Fini-Giovanardi, sebbene fosse stata defenestrata dalla sentenza di incostituzionalità pronunciata dai Supremi Giudici, era in realtà rientrata dalle porte di Montecitorio e Palazzo Madama semplicemente con un diverso belletto: riveduta ma di certo non corretta.
Anche per queste ragioni l'avvocato Fabio Valcanover del foro di Trento – militante radicale di lungo corso, particolarmente impegnato anche professionalmente sui temi della politica delle droghe e della legislazione proibizionista – che per primo aveva sollevato la questione di legittimità sulla Fini-Giovanardi nell'ottobre del 2012, lo scorso 8 luglio si è ripresentato al Tribunale di Rovereto per ricusare formalmente il nuovo impianto legislativo in materia di stupefacenti e presentare di conseguenza istanza di illegittimità di fronte alla Corte Costituzionale.
Stando a quanto afferma l'avvocato Valcanover si è partiti subito col piede sbagliato dal momento che “l’intervento del legislatore proposto in sede di conversione del Decreto Legge num. 36 del 2014 presenta criticità analoghe a quelle che mostrava il D.L. 272/2005, dopo il passaggio alle Camere per la conversione (L. 49/2006)”. In parole povere, nonostante la sentenza della Consulta fosse stata ben chiara nel ribadire che tra decreto legge e legge di conversione doveva esserci un legame realmente funzionale e coerente, e che la decretazione d'urgenza era da utilizzarsi solo nei casi previsti dall'articolo 77 della Costituzione, il Governo Renzi ha comunque preferito chiudere in fretta la partita usando oltretutto la formula della fiducia per blindare il dibattito parlamentare. Ecco magari stavolta l'hanno fatta un po' più pulita mettendo il testo nel Decreto Omnibus sulla Salute ma di certo l'urgenza con cui il testo è stato redatto, discusso e approvato non era giustificabile.
Volendo sorvolare sui cavilli procedurali – che, si sa, in Italia sono aggirabilissimi – quello verso cui punta l'indice l'avvocato trentino è la modifica che viene fatta all'articolo 73 e che, nella distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, lascia volontariamente ambigua la parte riguardante la condotta da riservarsi a quanti trovati in possesso di non meglio specificate “modiche quantità”. L’articolo 1, comma 24 ter, lettera a) del decreto legge del 20 marzo 2014, n.36 (in Gazz. Uff., 21 marzo 2014, n. 67), come modificato in sede di conversione dalla legge 16 maggio 2014 n. 79, sostituisce infatti il comma 5° dell’articolo 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, già modificato dal decreto legge 23 dicembre 2013, n.146 con la seguente formulazione: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.
Stando a quanto riportato nel testo depositato al Tribunale di Rovereto, l'avvocato Valcanover ravvisa “la illegittimità della disposizione menzionata per violazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione, e comunque per contrasto con obblighi di natura comunitaria discendenti dal 1° comma dell’articolo 117 della Costituzione”. In pratica, le modifiche apportate dalla legge Renzi-Lorenzin sarebbero in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza – ribadito oltretutto dall'articolo 49, paragrafo 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea – che pretende che le pene non siano sproporzionate rispetto al reato.
È bene ricordare che la distinzione tra droghe pesanti e leggere, presente nel dato normativo fino alle soglie del 2006, veniva sorpassata dagli articoli 4 bis e 4 vicies ter della Fini-Giovanardi, per effetto della totale equiparazione sanzionatoria. La sentenza dello scorso febbraio della Corte Costituzionale, cassando la norma quale legge illegittima, aveva reintrodotto la classificazione in parola, restituendo dignità giuridica – oltre che scientifica – alla distinzione tra sostanze pesanti e leggere. Al punto 4.4. della storica sentenza, la Consulta descriveva infatti l’operazione portata avanti dalla Fini-Giovanardi come “una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello sanzionatorio, il fulcro della quale è costituito dalla parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente disciplina”. “Una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica – continuava la motivazione – avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex articolo 72 della Costituzione”.
Il Giudice delle Leggi, confermando quindi la validità della distinzione, ha specificato poi che la parificazione sanzionatoria coinvolge “delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica ” che richiedono un adeguato dibattito parlamentare, da svolgersi nelle ordinarie procedure di formazione della legge. Se dunque la differenziazione sanzionatoria prevista per fatti connessi a “droghe pesanti” e a “droghe leggere” ha valenza costituzionale, allora l’eliminazione della differenziazione praticata dall’art. 1, comma 24 ter, lett. a), del decreto Lorenzin non può che risultare un'operazione illegittima. Sopprimendo la distinzione sanzionatoria tra droghe pesanti e droghe leggere solo per il fatto lieve – e mantenendola invece per quanto riguarda circostanze aggravanti, come appunto quantità più rilevanti di sostanza – i legislatori hanno di fatto contraddetto sia quanto pronunciato come imperativo dalla Corte Costituzionale, sia quello che loro stessi avevano affermato solo poche righe sopra.
Per capire meglio la schizofrenia del testo: se in ordine al reato di cui all’art. 73, 1° comma, D.P.R. 309/1990, l’ordinamento reagisce con pene differenziate, di contro, il contenuto del 5° comma dello stesso articolo non tiene conto delle diverse tipologie di stupefacenti ed assegna un trattamento sanzionatorio ingiustificatamente parificato per condotte che – è evidente – hanno fini e modalità completamente diverse. Tagliamo il concetto ancora più a fette: se mai doveste essere beccati in possesso di un generico grammo di cannabis, a livello processuale subireste lo stesso trattamento di chi è stato beccato con un grammo di cocaina, di eroina o di ketamina. E scusate se è poco.
Dall'altro lato, dicevamo, la nuova legge non tiene apertamente in conto del principio che vuole la severità della pena proporzionata alla gravità del reato. Con la mossa di cui sopra, infatti, il team Renzi-Lorenzin viola apertamente l’articolo 117, 1°comma della Costituzione che indica invece come la potestà legislativa venga meno di fronte a direttive europee precedentemente sottoscritte e volte ad armonizzare la legislazione dei Paesi membri. Omettendo, infatti, di attuare l’articolo 4 della Decisione Quadro 2004/757/GAI (tutt’ora in vigore per effetto degli articoli 9 e 10 del Protocollo n. 36 al Trattato di Lisbona) che chiede ai legislatori nazionali “pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive” il testo della nuova legge risulta inevitabilmente incompleto e nuovamente recidivo di fronte a quanto sentenziato in precedenza dalla Corte Costituzionale.
Non per niente, nel testo della sentenza numero 32/2014, al fine di scongiurare un lungo vuoto legislativo, i giudici costituzionali si raccomandavano di ritornare alla normativa previgente, in virtù degli obblighi di criminalizzazione comunitari rintracciati proprio nella decisione quadro 2004/757/GAI. È stata quindi la stessa Consulta a riconoscere alla decisione quadro lo status di parametro interposto di costituzionalità: le disposizioni raccolte nella decisione quadro sono infatti “vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi”, pur essendo prive di efficacia diretta.
Nel quadro di una legislazione europea comunitaria, le Autorità Giudiziarie hanno infatti l’obbligo di interpretare il diritto interno in modo comunitariamente conforme, quando sia reso possibile dal tenore letterale delle disposizioni nazionali. Per risolvere antinomie non componibili nell’interpretazione, la disposizione comunitaria, sebbene priva di effetto diretto (qual è sempre la decisione quadro GAI per espressa volontà dell’articolo 34 del Trattato dell'Unione Europea), integra il disposto dell’articolo 117, 1° comma della Costituzione, inserendosi nel discorso costituzionale in quanto parametro di riferimento. Inoltre, i vincoli imposti della decisione quadro comportano l’insorgenza in capo allo Stato che sia rimasto inadempiente rispetto agli obblighi comunitari di una responsabilità nei confronti del cittadino danneggiato dalla violazione del diritto comunitario. In soldoni, uno Stato che non applichi le direttive europee è passabile di sanzioni comunitarie e non ha possibilità di vittoria nel momento in cui un cittadino si appelli alla differenza tra quanto riporta il codice penale italiano e quello europeo.
Per capire ancora più in profondità quanto sia chiara la differenza tra droghe pesanti e leggere nella normativa comunitaria, riportiamo qui il testo dell'articolo 4 della decisione quadro.
1.
Ciascuno Stato membro provvede affinché i reati di cui agli articoli 2 e 3 siano soggetti a pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive. Ciascuno Stato membro provvede affinché i reati di cui all'articolo 2 siano soggetti a pene detentive della durata massima compresa tra almeno 1 e 3 anni.
2.
Ciascuno Stato membro provvede affinché i reati di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere a), b) e c), siano soggetti a pene detentive della durata massima compresa tra almeno 5 e 10 anni in presenza di ciascuna delle seguenti circostanze: a) il reato implica grandi quantitativi di stupefacenti; b) il reato o implica la fornitura degli stupefacenti più dannosi per la salute, oppure ha determinato gravi danni alla salute di più persone (...)”.
In conclusione, adottando un provvedimento che non corrisponde agli obiettivi denunciati in sede comunitaria, né alle indicazioni della Corte Costituzionale che fa distinzione tra droghe pesanti
e leggere, la nuova legge sulle droghe targata Renzi-Lorenzin viola – ed in modo palese – il principio di ragionevolezza nonché l’impegno di leale cooperazione, che dovrebbe governare il rapporto tra gli Stati membri e l'Unione Europea. La volta scorsa ci sono voluti 8 anni per relegare nell'oblio legislativo il monstrum della Fini-Giovanardi, ci auguriamo che per correggere la sua copia raffazzonata i tempi siano un tantino meno biblici. Nel frattempo, come al solito, rimaniamo in balia di una giustizia bendata: non tanto per la sua imparzialità, quanto per la sua miopia.