Ricomincio dall'indoor
Coltivare una pianta non differisce molto dall'allevare un animale domestico. Come tutti gli esseri viventi anche le piante hanno bisogno di una serie di input per potersi sviluppare, crescere ed arrivare a fine ciclo vitale. Gli input di cui necessitano le piante nel giusto habitat di crescita sono: una nutrizione adeguata di acqua e nutrienti, una dose di energia luminosa sufficiente allo svolgimento della fotosintesi clorofilliana e dell'aria ricca di ossigeno e anidride carbonica per poter finalizzare il loro sforzo metabolico.
Coltivare una pianta non differisce molto dall'allevare un animale domestico. Come tutti gli esseri viventi anche le piante hanno bisogno di una serie di input per potersi sviluppare, crescere ed arrivare a fine ciclo vitale. Gli input di cui necessitano le piante nel giusto habitat di crescita sono: una nutrizione adeguata di acqua e nutrienti, una dose di energia luminosa sufficiente allo svolgimento della fotosintesi clorofilliana e dell'aria ricca di ossigeno e anidride carbonica per poter finalizzare il loro sforzo metabolico.
Coltivare una pianta non differisce molto dall’allevare un animale domestico. Come tutti gli esseri viventi anche le piante hanno bisogno di una serie di input per potersi sviluppare, crescere ed arrivare a fine ciclo vitale. Gli input di cui necessitano le piante nel giusto habitat di crescita sono: una nutrizione adeguata di acqua e nutrienti, una dose di energia luminosa sufficiente allo svolgimento della fotosintesi clorofilliana e dell’aria ricca di ossigeno e anidride carbonica per poter finalizzare il loro sforzo metabolico.
Nello scorso secolo la scienza ha fatto numerosi progressi in tutti i campi e in agronomia sono state introdotte nuove pratiche colturali grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie; queste nuove tecnologie, oltre ad aggiungere informazioni su ciò che sappiamo sulle piante, ci danno rese impensabili sino a pochi anni fa. Quindi ora riusciamo a fornire grandi rese in aree dove sino a poco tempo fa era impensabile coltivare. Ad esempio coltivare indoor è una possibilità degli ultimi anni.
Poter ricreare in un metro quadro l’ambiente perfetto per lo sviluppo delle piante è diventata una pratica molto diffusa negli ultimi anni, tanto che la maggioranza dei growers sono esperti dell’indoor. In casa si possono ricreare le condizioni ambientali migliori in quasi tutti gli ambienti, ad esclusione di cantina e soffitta, senza spendere grandi quantità di denaro. In caso di cantina o soffitta o di spazi con temperatura o umidità inadatte si può intervenire, ma il costo della tecnologia impiegata non dev’essere sottovalutato quando soprattutto si tratta di un hobby o quando sono necessari drastici interventi di riabilitazione. Mantenere acceso un bulbo da 600 Watt HPS con 35°C all’ombra diventa impensabile se non si ha un impianto di condizionamento dell’aria nella stanza dove sta il growbox, a Valencia hanno cominciato ad usare i led per non interrompere la crescita ad agosto, ma i valenciani assicurano: “per ora non abbiamo risultati che giustifichino un investimento iniziale così alto”.
Bisogna tener conto che la maggioranza dei coltivatori hobbistici si avvale dei pratici armadi chiamati growbox. I growbox sono degli armadi smontabili formati da un’intelaiatura di tubi di alluminio ad incastro ricoperta di un telo riflettente all’interno ed oscurato all’esterno. Codesti armadi hanno pratiche aperture per l’estrazione, l’intrazione e il passaggio dei cavi di alimentazione per gli apparecchi all’interno dell’armadio (bulbo, ventilatorini a clip, etc...).
L’approccio più semplice e più diffuso al mondo del growing è un growbox di piccole dimensioni, al massimo 60 centimetri di lato, con una piccola sorgente luminosa CFL a 2700°K da massimo 200 Watt e quattro vasi quadrati da 6,5-7 litri l’uno con dentro un femminizzato autofiorente ciascuno.
Taluni preferiscono investire in un ventilatore in più per scongiurare il pericolo di infezioni fungine (muffe sui fiori che annullano il raccolto). Un piccolo estrattore garantisce il ricambio d’aria necessario, coadiuvato sovente da un filtro per trattenere odori indesiderati. Il substrato per iniziare è terriccio comprato in un growshop e l’unico fertilizzante strettamente necessario è un ternario biologico per fioritura. Il radicante, i vari booster e gli enzimi sono un upgrade di cui parleremo oltre. Cominciando così si arriva in 3 mesi e mezzo a gustare una produzione ben diversa da ciò che si incontra per le strade.
Una volta conosciuta la pianta, si può pensare ad aumentare il numero di vasi nel growbox, aumentando così la densità di coltura e poi la resa. I ventilatorini per il ricircolo d’aria sono indispensabili per garantire una leggera brezza e prevenire così muffe dovute a ristagni d’aria malsana. Un estrattore serve per il ricambio dell’aria, condizione necessaria per una corretta respirazione degli esseri viventi: provate voi a tenere un uomo sotto una campana di vetro e quando esaurirà l’ossigeno, morirà. Ugualmente sarà lo sviluppo dei nostri vegetali in un armadio. Outdoor questo non è mai stato un problema in quanto si coltiva all’aria aperta e il vento contribuisce a ricambiare l’aria attorno alle parti aeree della pianta, si capisce così l’importanza di una corrente d’aria nuova nella growbox.
La maggioranza dei venditori di sementi consigliano sempre di iniziare con strain autofiorenti, ma dopo pochi cicli la scelta ricade su varietà foto dipendenti per via della scelta più ampia e per la maggior soddisfazione che si incontra tipicamente con le varietà più conosciute. L’unico accorgimento che mi sento di scrivere è di prestare attenzione alla lunghezza della fioritura più che alle descrizioni sull’effetto tipiche dei cataloghi commerciali. Ciò che importa ad un coltivatore dev’essere la lunghezza della fase di fioritura in base alla quale si assicura una corretta fertilizzazione e una corretta gestione delle tempistiche.
Esistono varietà da 50 giorni di fioritura e altre da 100: con una così ampia variabilità bisogna scegliere attentamente. Inoltre i gusti sono dei più diversi, dal terroso allo zolfo, al pino silvestre, al formaggio, all’arancia. Io consiglio sempre di cercare su internet, su siti specializzati come seedfinder.eu, dove si trovano informazioni veritiere e non sponsorizzate, con anche feedback da parte di altri utenti, quasi come frequentare un buon forum online sul tema.
Finché si tratta di una coltivazione di piante autofiorenti non è necessario l’utilizzo di un timer professionale per il controllo della lunghezza della fase diurna, in quanto non soffrono particolarmente gli shock luminosi e non hanno bisogno di venir indotte artificialmente a fiorire. Per indurre la fioritura si deve allungare la fase notturna a 12 ore solitamente, quindi dodici ore di luce e dodici di stretto buio al giorno. Ciò che si può osservare durante le prime due settimane di fioritura è un fenomeno chiamato stretching, cioè un allungamento degli steli di mediamente due terzi della lunghezza. Con l’esperienza si arriva a capire poi quand’è il momento migliore per switchare alla fase di fioritura e ritrovarsi con lo spazio riempito perfettamente.
Ora, la maggior parte dei growers utilizzano lampade HPS per la fioritura, cioè illuminano con bulbi ad alta pressione di sodio, un’ottima fonte di Lumen per una fioritura copiosa. Non esisterebbe l’idea di growing indoor se non esistessero le lampade ad alta energia o, perlomeno, credo sarebbe una pratica molto poco diffusa. Negli ultimi due anni vanno diffondendosi gli utilizzatori di lampade a led. La lampada a led è una piastra di tanti piccoli diodi, da pochissimi watt ciascuno, del giusto colore. L’inconveniente di questa tecnologia è la scarsa penetrazione dei led, ma con uno Scr.O.G. ben misurato si possono raccogliere cime decenti anche quando la temperatura fuori supera i 30 gradi centigradi. Finalmente una soluzione per coltivare indoor anche ad agosto mentre fuori l’asfalto scioglie come il gelato.
Molto spesso l’upgrade successivo è il passaggio al fuori suolo. Quasi chiunque ha avuto un’esperienza con l’idroponica o il cocco. L’idroponica solitamente è ricercata da chi vuole esercitarsi con una pratica molto tecnica dai risultati organoletticamente discutibili. Il cocco è invece una buona soluzione per i principianti, coloro che evolveranno in una coccoponica con fertirrigazione continua avranno grandi risultati parlando di peso della sostanza secca. In generale coltivare fuori suolo implica una serie di conoscenze approfondite e una costante dedizione giornaliera al proprio impianto: bisogna conoscere annotando ogni giorno i valori pH ed EC della soluzione così da correggere eventuali squilibri.
Altre volte, più raro, l’upgrade successivo è passare a una linea di fertilizzanti biologici, utilizzando terriccio pre-miscelato ed alleggerito in casa e scegliendo varietà dalla fioritura abbondante e copiosa dovuta alla genetica. Ma quasi sempre il passaggio successivo è ad una sorgente luminosa ad alta pressione di sodio, quindi più potente. Aumentando la potenza della lampada si aumenta il calore all’interno del growbox, quindi oltre che ingrandire il proprio spazio di coltivazione può esser necessario raffreddare il calore emesso dal bulbo tramite l’ausilio di un cooltube.
Il cooltube è una tecnologia molto semplice che permette di raffreddare di 5 gradi la temperatura d’esercizio delle colture. Il cooltube è un tubo di vetro, nel quale alloggiare il bulbo, collegato ad un estrattore che forzi la rapida fuga dell’aria calda dal suo interno. Per chiarezza, la linea d’uscita dell’aria dall’interno all’esterno è: filtro-estrattore-cooltube-uscita. Collegati nella maniera più diretta possibile, senza angoli che ne rallentano fortemente il flusso. In commercio si trovano alimentatori di ogni tipologia, principalmente però sono diffusi quello magnetico e quello elettronico. La differenza non è molta ma incide per almeno il 5% della resa, che a mio parere è tanto. L’estrattore, eventualmente abbinato ad un cooltube, dovrà essere più potente per poter fronteggiare un ostacolo “luminoso”.
Il filtro ai carboni attivi è una tecnologia nella quale ancora qualcuno non crede. Basti provare con un filtro rigorosamente nuovo giustamente dimensionato (sotto i 40 centimetri non è un filtro, è un filtrino) e si potrà subito notare l’assenza di sgradevoli e indesiderati odori. Volendo si può integrare con un mangia odori di tipo chimico, tipo quelli a base di terpenoidi che hanno fatto da poco tempo ingresso nel mondo cannabico.
Le varianti alla coltura della canapa sono innumerevoli e tutte dovute al fatto che è una sorta di erbaccia infestante che ben si presta ad ogni tipo di habitat, anche sperimentale. Dalle slab, che sono lunghi sacchi di substrato inerte, tipo ad esempio le lastre di lana di roccia, agli airpot i famosi vasi che arieggiano le radici permettendo un rigoglioso e smisurato sviluppo, alle colture aeroponiche passando per i vassoi inclinati dell’NFT, la Nutrient Film Techinque. Ogni volta è un risultato sicuro. Mi ricordo ora di un ragazzo illuminotecnico, desideroso di studiare i propri pannelli led, che decise di testare i propri prodotti con la canapa, giustamente per la sua altissima adattabilità. Il risultato alla fine fu un gran successo e ora molti dei suoi schemi elettronici sono divenuti quotidianità nella tecnologia del led-growing.
Insomma questo articolo spero sia d’utilità a chi si avvicina all’hobby del growing e anche a chi vuole solamente conoscerne di più sul mondo cannabico che ogni giorno si rivela un mondo gigantesco dalle grandissime possibilità per chiunque abbia una passione nel cuore e ancora dell’etica. Con ciò lascio i miei lettori. Buoni pensieri verdi e buon inverno, dove non c’è il sole che alza le temperature diurne.