Requiem for a dream?
Più che di legalizzazione si parlava di depenalizzazione ma il risultato è stato lo stesso: un grande e grosso no da parte dell'ala destra del governissimo Renzi. L'occasione era il pacchetto sulle depenalizzazioni, voluto dal guardasigilli Andrea Orlando nel tentativo di rendere più fluido l'intasatissimo ingranaggio della Giustizia italiana. Un'occasione che, com'era tristemente prevedibile, sarebbe stata sprecata. Anche in visione della proposta formulata da Benedetto Dalla Vedova e dal suo Intergruppo parlamentare. Vediamo nel dettaglio perché, almeno in questa XVIIª legislatura, né la depenalizzazione, né tantomeno la legalizzazione della canapa non s'han da fare.
Lo scorso 15 gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “pacchetto depenalizzazioni”, un provvedimento che ha derubricato decine di reati lievi – come la guida senza patente o i celeberrimi “atti osceni in luogo pubblico” – trasformandoli da azioni penalmente perseguibili a semplici illeciti amministrativi, risolvibili con il pagamento di una sanzione pecuniaria. Tra questi reati lievi c'erano anche quello di clandestinità – reato istituito dalla Lega e dall'allora ministro dell'Interno Maroni nel contesto dell'eterna e quantomai inutile lotta all'immigrazione – e quello di coltivazione di cannabis. Se uno è stato totalmente eliminato dalla lista dei reati derubricabili, l'altro è rimasto all'interno del testo ma ha subìto il cosiddetto “whitewashing”, ovvero uno stravolgimento di contenuto volto a censurare prima di tutto la natura del provvedimento stesso. Ma andiamo per ordine.
Correva l'anno 2014, il giovane Matteo Renzi si era appena insediato a Palazzo Chigi pur non avendo ricevuto alcun mandato elettorale. Questo avvicendamento al potere a dir poco incostituzionale – avvenuto a seguito delle dimissioni di Enrico Letta e di Pierluigi Bersani prima di lui – doveva avere uno scopo notiziabile ben più alto del mero egotismo del giovane Matteo e così la missione del nuovo Governo sarebbero state le riforme. Scuola, Senato, Giustizia, Lavori Pubblici, Fisco: «100 giorni di lotta per cambiare l'Italia» aveva detto il nuovo premier a favore di telecamera.
Com'è ovvio, l'agenda del Governo non ha rispettato le scadenze auto-imposte ma si è comunque attivata per far sì di avere pieni poteri nel momento in cui le riforme si sarebbero realmente fatte. Uno dei più lampanti esempi – e che è fondamentale ai fini della comprensione di tutto l'affaìre (mancate) depenalizzazioni – è stata la legge n.° 67 del 28 aprile 2014, assurta agli onori delle cronache come “legge sulla messa alla prova”, una legge delega in cui fondamentalmente si dava carta bianca al Governo in materia di riforma delle pene detentive, a patto che si rispettasse la deadline del 17 gennaio 2016.
È stato proprio per rispettare questa scadenza o meglio, per potersi avvalere dei poteri straordinari della legge delega, che il Consiglio dei Ministri si è affrettato ad approvare il decreto legislativo sulle depenalizzazioni promosso dal Ministero della giustizia e dal guardasigilli Andrea Orlando, nonostante questo avesse subito sostanziali modifiche nel testo originale. La più strombazzata è stata quella sulla depenalizzazione del reato di clandestinità che, come abbiamo accennato, è stata completamente depennata dalla lista dei reati lievi interessati. A porre il veto sulla questione è stato il Nuovo Centro Destra (NCD) del Ministro dell'Interno Angelino Alfano che, probabilmente memore della battaglie sostenute assieme al precedente governo Berlusconi, ha puntato i piedi e ha fatto valere il peso del suo partito nella grosse koalition del Governissimo Renzi.
Anche se, secondo il premier, il reato di clandestinità «crea problemi, intasa le procure, non serve», non è possibile cambiarlo adesso perché «c'è una percezione della sicurezza per cui questo percorso di cambiamento lo faremo con calma, tutti insieme, e senza fretta». Traduzione: “se vengo rieletto, forse, se ne può parlare”. Una decisione politica supportata dal parere tecnico del capo della polizia Alessandro Pansa che boccia il reato «perché intasa le procure», ma anche lui ne ipotizza la modifica solo in modo da non intaccare «la percezione della sicurezza, per far capire che gestiamo il fenomeno immigrazione con umanità ma anche con rigore».
Se per l'immigrazione il governo vuole almeno mantenere la parvenza di “umanità”, sulla questione cannabis non ha dubbi nel rispettare solo la politica di rigore. Anche in questo caso se la depenalizzazione «fosse portata a termine così su due piedi, senza un'adeguata sensibilizzazione dell'opinione pubblica – dicono fonti del governo – rischierebbe di ingenerare il dubbio che si stia cedendo nella lotta agli stupefacenti». E così l'esecutivo ha deciso di ignorare il lavoro di mediazione fatto durante l'iter del testo e cancellare dalla lista dei reati lievi l'immigrazione clandestina e la coltivazione di canapa. Per la seconda volta.
Le due questioni erano infatti sul piatto sin dal primo momento: inserite come possibili candidate alla depenalizzazione nel testo della legge delega, vengono depennate dal Consiglio dei Ministri nel corso della prima stesura di quello che sarebbe diventato il decreto legge. Come da prassi, la prima bozza è passata nelle mani della Commissione Giustizia della Camera che, nel parere espresso lo scorso dicembre le aveva reintrodotte entrambe, anche se con una formula diversa. Per la Commissione, cancellare il reato di clandestinità era una "condizione", mentre invece “osservava” semplicemente che sarebbe opportuno trasformare in illecito amministrativo la coltivazione delle piantine di cannabis. Da un lato un imperativo, dall'altro un condizionale.
Entrambi i pareri sono però caduti nel vuoto al momento del confronto tra gli alleati nel Consiglio dei Ministri. Coerente con il suo percorso politico, NCD ha messo il veto su entrambe le questioni e Renzi e i renziani non hanno voluto contraddirli, immobilizzati da una paura che non può essere altro che politica. Immigrazione e droga sono infatti da sempre i cavalli di battaglia di quelli che furono gli alleati di Berlusconi: dalla Lega a Fratelli d'Italia, passando per i cattolici di Giovanardi e, appunto, i “moderati” di Alfano. E poco importa che questi siano i reati che maggiormente intasano procure, tribunali e carceri: l'elettorato non capirebbe.
Questo atteggiamento ultra-paternalistico della politica nei confronti della società italiana, oltre ad essere intrinsecamente insultante, denota la totale non volontà di confrontarsi con il Paese reale: un Paese in cui ogni giorno sbarcano centinaia di disperati in fuga da guerre, carestie e persecuzioni, un Paese in cui il 10% dei cittadini tra i 15 e i 64 anni ha ammesso di aver assunto cannabis nell'ultimo anno – almeno stando all'ultima relazione al Parlamento fatta dalla DPA. In questo caso, dire che la politica vive in un altro mondo non è certo il solito luogo comune. Ma tant'è.
Tornando alle nuove disposizioni istituzionali, il pacchetto di depenalizzazioni approvato dal Consiglio dei ministri ha effettivamente incluso anche la questione cannabis ma la derubricazione da reato penale a illecito amministrativo interessa semplicemente alcuni aspetti procedurali della coltivazione ad uso medico. In pratica chi è autorizzato alla coltivazione di cannabis per fini terapeutici o di ricerca – leggi Istituto Chimico Farmaceutico Militare e di Firenze e CRA-CIN di Rovigo - non rischia più ricadute penali se viola le prescrizioni, ma verrà condannato a pagare una sanzione pecuniaria.
Non si tratta, ovviamente, come ha già spiegato il ministro della Giustizia Andrea Orlando e come ha ribadito il ministro della Salute Beatrice Lorenzin della depenalizzazione del reato per chi coltiva marijuana. "Non si tratta di depenalizzare il reato per chi coltiva l'erba in terrazzo - ha detto - ma di rendere reato amministrativo quello che oggi è reato penale e che riguarda solo chi, avendo ottenuto l'autorizzazione alla coltivazione a scopo terapeutico, viola quella prescrizione". Per ora, quindi, fuori da questo quadro, coltivare cannabis in grandi quantità resterà reato.
«Abbiamo già autorizzato la produzione della cannabis a uso terapeutico lo scorso anno e in questo consiglio dei ministri, nelle procedure di depenalizzazione, si sono soltanto depenalizzate alcune prescrizioni» ha precisato la Lorenzin, a margine di una conferenza stampa al ministero. «L'impianto, l'istituto farmaceutico militare, che produce la cannabis a titolo terapeutico – ha chiarito la ministra – ha un processo autorizzatorio: se ci sono delle prescrizioni in cui ci sono delle violazioni, alla prima violazione c'è un'ammenda di tipo amministrativo molto pesante e se non si ripristinano le cose viene revocata l'autorizzazione. Quindi da questo alla depenalizzazione della cannabis c'è un salto triplo mortale con avvitamento». Eppure, di nuovo, ci sono cascati in tanti.
Ora la domanda sorge spontanea: visto l'atteggiamento del Governo e dei suoi ministri incaricati, cosa fa sperare in una soluzione positiva della proposta di legge sulla legalizzazione promossa dalla carica dei 200 parlamentari bipartisan? La risposta che personalmente continuo a darmi è che no, non ci sarà nessuna legalizzazione. Almeno non in questa legislatura, almeno non con questo governo. A Renzi e ai suoi interessa molto di più compiacere l'Europa (leggasi Germania) piuttosto che perdere tempo con una mini-riforma che porterebbe nelle casse del tesoro un gettito da 8,5 miliardi di euro l'anno. Il nostro premier preferisce strizzare l'occhio all'elettorato non suo (leggasi destra e centro destra), piuttosto che sciogliere con una semplice firma uno dei blocchi più imponenti che intasano la macchina della giustizia italiana.
Certo l'ultima parola sulla proposta di legge dell'Intergruppo non è stata ancora pronunciata. C'è ancora un piccolo margine di negoziazione, sicuramente c'è ancora tempo. C'è poi una società civile più che pronta ad accogliere una riforma su una droga che non viene quasi più considerata tale. C'è anche una minuscola lobby che si sta lentamente formando in seno al cannabusiness. C'è una decisione della Consulta che potrebbe depenalizzare la coltivazione. Quello che sembra mancare, fondamentalmente, è solo il buonsenso. E visti i personaggi coinvolti nel processo decisionale, le premesse non sono confortanti.