Marijuana al femminile
Il Dipartimento delle Politiche Antidroga italiano è tutto contento perchè i vari Stati partecipanti alla 55esima sessione dell';UNODC (Ufficio sulle Droghe e il Crimine delle Azioni Unite), svoltasi a Vienna lo scorso marzo, hanno accettato la proposta italiana in materia di protezione delle donne. Secondo il DPA questa proposta è nata per prevenire l'uso di droghe e orientare i servizi di cura e riabilitazione agli specifici bisogni del sesso femminile e dei loro figli. In particolare il DPA parla di "prevenzione in generale, all'educazione delle madri, al pieno recupero delle donne tossicodipendenti e delle ragazze che, anche occasionalmente, usano sostanze stupefacenti. Senza dimenticare e tutelare tutte quelle donne che subiscono violenze e traumi correlati all'uso di droghe, le donne in gravidanza e quelle che già hanno figli, le donne in carcere, la prevenzione di tutte le patologie correlate all'uso di droghe, la realizzazione di campagne informative dedicate rivolte alle donne".
Il Dipartimento delle Politiche Antidroga italiano è tutto contento perché i vari Stati partecipanti alla 55esima sessione dell'UNODC (Ufficio sulle Droghe e il Crimine delle Azioni Unite), svoltasi a Vienna lo scorso marzo, hanno accettato la proposta italiana in materia di protezione delle donne. Secondo il DPA questa proposta è nata per prevenire l'uso di droghe e orientare i servizi di cura e riabilitazione agli specifici bisogni del sesso femminile e dei loro figli. In particolare il DPA parla di "prevenzione in generale, all'educazione delle madri, al pieno recupero delle donne tossicodipendenti e delle ragazze che, anche occasionalmente, usano sostante stupefacenti. Senza dimenticare e tutelare tutte quelle donne che subiscono violenze e traumi correlati all'uso di droghe, le donne in gravidanza e quelle che già hanno figli, le donne in carcere, la prevenzione di tutte le patologie correlate all'uso di droghe, la realizzazione di campagne informative dedicate rivolte alle donne".
Il Dipartimento delle Politiche Antidroga italiano è tutto contento perché i vari Stati partecipanti alla 55esima sessione dell’UNODC (Ufficio sulle Droghe e il Crimine delle Azioni Unite), svoltasi a Vienna lo scorso marzo, hanno accettato la proposta italiana in materia di protezione delle donne. Secondo il DPA questa proposta è nata per prevenire l’uso di droghe e orientare i servizi di cura e riabilitazione agli specifici bisogni del sesso femminile e dei loro figli. In particolare il DPA parla di “prevenzione in generale, all'educazione delle madri, al pieno recupero delle donne tossicodipendenti e delle ragazze che, anche occasionalmente, usano sostante stupefacenti. Senza dimenticare e tutelare tutte quelle donne che subiscono violenze e traumi correlati all'uso di droghe, le donne in gravidanza e quelle che già hanno figli, le donne in carcere, la prevenzione di tutte le patologie correlate all'uso di droghe, la realizzazione di campagne informative dedicate rivolte alle donne”.
Siamo al solito atteggiamento paternalistico da parte del dipartimento, nonostante il suo comando sia passato dalle mani di Serpelloni e Giovanardi, con delega, a quelle di Riccardi. Riccardi, purtroppo, segue una linea e non l’istinto, e sciaguratamente la stessa dei suoi precessori. D’altro canto, è bello che le Nazioni s’uniscano ma sarebbe molto meglio se lo facessero per un reale interesse dei popoli e non per quello di pochi industriali e delle mafie.
Ecco quindi che anziché accettare il consumo e informare per prevenire i rischi dell’abuso, chi fa le leggi continua sulla politica perdente del proibizionismo, in grado solo di creare ulteriori problemi, quelli giuridici, oltre a quelli sanitari scaturiti dal consumo di certe droghe. C’è quindi un gap tra l’ambito giuridico e quello sanitario che il DPA e il Governo non riescono o non vogliono vedere. In mezzo, nel limbo, si trovano le sostanze.
Dal punto di vista sanitario gli effetti delle sostanze si manifestano negli uomini come nelle donne, ma il rischio della proposta da parte del DPA, in un Paese dove non vige la giusta democrazia, è che si possa procedere con test obbligatori per le donne incinta e così fino al diciottesimo anno di età del figlio. In Italia già si fanno pochi figli, figuriamoci cosa succederebbe se le donne avessero pure la paure dei controlli da parte dello Stato sulle proprie abitudini. Una cosa da brivido, con richiamo a regimi assurdi al solo pensiero.
Eppure, basterebbe che Riccardi e il DPA avessero la buona volontà d’andare a vedere gli innumerevoli studi che esistono sulla cannabis medica, per notare quanto, durante tutto il corso della storia, la marijuana è stata un ottimo farmaco, essenziale soprattutto alle donne.
I fiori della pianta femmina di marijuana sono adatti alla cura dell’essere umano, per le stesse patologie che possono sorgere nell’uomo e nella donna. In più, per la donna, la cannabis è sempre stata usata in ostetricia, ginecologia e per i dolori mestruali. Disturbi ciclici, periodici, che molte donne (solo in Italia si stimano 5 milioni di consumatori di cannabis tra maschi e femmine, una sostanza che piace in egual misura a entrambi i sessi) alleviano con la cannabis. Com’è possibile quindi pensare di fare una cosa giusta cercando d’individuare le donne che, anche occasionalmente, fanno uso di cannabis, quando molte di loro la consumano con consapevolezza per alleviare i crampi della dismenorrea. Così è sempre stato nella storia e così sarà sempre, perchè è semplicemente ciò che suggerisce la natura. E’ impensabile che le donne di questa epoca vi possano rinunciare, ed è un crimine imporre questa abdicazione. Lo Stato dovrebbe, invece, promuovere un consumo consapevole, di uomini e donne, volto alla terapia, nell’interesse di tutti.
Fin dagli albori dell’antica medicina cinese, ai tempi dell’imperatore Sheng, tra il 2600 e il 2800 a.c. circa, la marijuana è stata utilizzata per curare i cosiddetti disordini femminili, come li chiamavano a quei tempi. La medicina cinese è basata sul concetto d’equilibrio tra le energie yang (maschile, giorno, estate) e yin (femminile, notte, autunno), due energie diverse che scorrono nel corpo umano e in ogni essere dell’Universo. I fiori della pianta femmina di marijuana sono in grado d’intervenire in caso di diminuzioni dell’energia yin e i taoisti considerano gli aspetti femminili molto importanti per il mantenere l’armonia con la Terra e il Sistema Solare. La marijuana esalta quindi la femminilità ed è particolarmente curativa per tutte i disturbi legati alla sfera femminile.
Nell’antica Cina, per esempio, le donne bevevano un infuso alla canapa per contrastare le perdite vaginali, un disturbo chiamato leucorrea in termini medici. Non a caso recenti ricerche scientifiche hanno mostrato come il THC sia in grado di decongestionare le mucose dei genitali.
Con lo stelo sminuzzato della pianta di canapa, invece, i cinesi preparavano un decotto risultante in un potente diuretico da utilizzare in caso di ritenzione urinaria.
Nel IX secolo, il medico arabo Sabur ibn Sahal, cita la marijuana nell’opera Aqrabadhin, in grado d’influenzare la medicina musulmana per qualche secolo, con il succo di semi di cannabis mescolato con altre erbe per l’emicrania, calmare i dolori uterini, prevenire l’aborto spontaneo e preservare il feto nel grembo della madre. Nel Codex Vindobonensis 93, invece, un manoscritto di medicina italiano del 13° secolo, viene raffigurato l’uso della Cannabis Sativa per dissipare il gonfiore e il dolore al seno.
Come l’imperatore Shen, 4000 anni dopo, Piero Arpino, nel 1800, in Italia, consigliava la cannabis per varie patologia, tra cui alcune tipiche femminili:
- l’amenorrea accompagnata da emicrania e dolori mestruali. L’amenorrea è caratterizzata dall’assenza di ciclo mestruale. E’ primaria quando non si è mai verificato il ciclo prima dei sedici anni di età, mentre è detta secondaria quando presenta interruzione mestruale per almeno sei mesi in un soggetto con cicli regolari
- nella dismennorea, detta anche mestruazione dolorosa, con disturbi locali e generali e dolori nella regione pelvica e nell’addome
- nelle metrorrargie da fibroma, la perdita di sangue dall’utero al di fuori del ciclo mestruale, dovuta alla presenza di un tumore benigno dell’utero
- nell’irritabilità dell’utero gravido.
- negli stadi d’eccitamento dell’ovaia.
Nell’800, in particolare in Europa, l’uso di cannabis per alleviare i crampi muscolari è talmente accettato che perfino la Regina Victoria del Regno Unito la consuma, su ordinazione del suo medico personale, Sir Russell Reynolds, contro i crampi mestruali.
All’inizio del ‘900, invece, poco prima che la cannabis fosse vietata anche per l’uso medico, i giornali e le riviste americane del tempo testimoniavano un utilizzo, oltre che per i disturbi femminili indicate da Arpino, anche per:
- menorragia (sanguinamento abbondante durante i due tre giorni del ciclo o anche prolungato nei giorni successivi)
- contrazioni uterine (come stimolante nel parto)
- paralisi dell’utero
- il dolore intermestruale a metà ciclo, dovuto all’ovulazione
- spasmo doloroso della vescica
- cistite acuta
- menopausa
- per il dolore delle doglie
- vescica irritabile
- paralisi della vescica
- riduzione del dolore nel cancro uterino
- disuria (difficoltà ad urinare)
- infiammazioni
Al giorno d’oggi sappiamo che alcuni di questi disturbi riguardano pure il maschio, ma a quei tempi i rimedi con la cannabis erano considerati solamente per i disturbi delle donne. In quel periodo, anche la mania, la melanconia, l’isteria, ma spesso anche il mal di testa e il nervosismo, erano considerati essenzialmente disturbi femminili, per i quale la cannabis funzionava benissimo.
Il periodo di gestazione, poi, è particolarmente delicato per la madre e per il nascituro. Gli abusi di alcool e tabacco durante la gravidanza, è scientificamente provato, possono provocare malformazioni e problemi cognitivi nel bambino che sta per nascere. E’ bene quindi fare un’informazione a 360 gradi, nell’interesse della salute di tutti. Generalmente alla donne viene indicato di non consumare droghe nel periodo di gestazione e, con la legislazione vigente per droga s’intende anche la marijuana, accanto ad altre sostanze. La cannabis, però, non è così dannosa al feto come altre sostanze e può essere assunta per motivi medici, come le severe nausee mattutine che accompagnano, a volte, la gravidanza.
La marijuana, infatti, non causa modificazioni permanenti nel nascituro, contrariamente a quanto ritenuto dai sostenitorii anti-erba, che le attribuiscono la capacità di generare vari difetti nel bambino che sta per nascere e d’instaurare la Sindrome Alcolica Fetale. Questa sindrome, in realtà, è caratterizzata solo dal consumo di alcol in gravidanza, in particolar modo nel primo trimestre. La sindrome alcolica fetale comporta anomalie cranio facciali (microcefalia, occhi piccoli e distanti, naso piccolo e rivolto in su), disfunzioni del sistema nervoso (ritardo mentale, iperattività, deficit dell’attenzione e difficoltà d’apprendimento) e rallentamento della crescita.
Qualche studio ha dimostrato, invece, che il consumo di marijuana riduce il peso del nascituro, o delle difficoltà cognitive non permanenti, ma altri studi non sono riusciti a dimostrare questa cosa. Ciò sembra comunque attribuibile, come per il tabacco, al fumo (il monossido di carbonio) più che della ganja. Meglio quindi utilizzarla, eventualmente, sotto forma di tisana.
Altri studi hanno addirittura intravisto la possibilità che il consumo di marijuana, in alcune circostanze, aumenti il peso del nascituro. C’è quindi un mix incongruente sui risultati delle ricerche, mentre uno studio svolto sulle madri giamaicane rastafariane, ha perfino evidenziato dei punti di sviluppo nei bambini nati.
In pratica, i rischi per il nascituro, se la madre consuma cannabis, sono inferiori a quelli derivanti dalle consumatrici di alcol e tabacco. La verità, comunque, sta ne mezzo, e i benefici di un consumo medico per far fronte alle nausee mattutine della donna gravida sono maggiori dei rischi d’assunzione durante il periodo prenatale. Diciamo quindi che il consumo ludico, nel dubbio, va evitato, ma un consumo terapeutico, consapevole, idealmente con la supervisione di un medico, deve essere accettato. Anche perché pure le medicine chimiche, se prese in dosi sbagliate, hanno ripercussioni sul bambino che sta per nascere.
D’altro canto l’essere umano è dotato del proprio sistema cannabinoide e i ricercatori della Leicester University, in uno studio su 77 donne in gravidanza e su 25 non gravide, sono riusciti a dimostrare livelli di Anandamide (endo-cannabinoidi prodotti dal corpo simili a quelli della marijuana) significativamente più alti nel primo trimestre rispetto al secondo e il terzo di gravidanza. I livelli di Anandamide si sono impennati, invece, 3,7 volte durante il parto, indicando un possibile ruolo del sistema cannabinoide durante la nascita.
Per quanto riguarda le mestruazioni, i livelli degli endocannabinoidi sono risultati significativamente più alti nella fase follicolare (14 giorni, dal primo giorno di mestruazioni all’ovulazione) rispetto alla fase luteale (14 giorni, dall’ovulazione al mestruo). I livelli nella fase luteale e in quelli post-menopausa sono simili a quelli del primo trimestre di gravidanza.
Laddove gli endocannabinoidi crescono, apparentemente, si prospetta una maggiore necessità di esocannabinoidi provenienti dalla pianta di marijuana. Durante il parto, infatti, i livelli di Anandamide crescono vertiginosamente e la storia testimonia un uso della cannabis come analgesico e per l’azione rilassante e antispastica durante le nascite, sotto forma di tisana o fumata, in tutti i continenti di questo pianeta. Seguendo questa logica si prospetta, in caso di necessità, l’apporto di marijuana nei primi tre mesi di gravidanza, nella fase follicolare del mestruo e nella menopausa. Il caso di necessità implica che il corpo umano non sia in grado di sviluppare sufficienti quantità di endocannabinoidi, provocando nausea o dolori. Ad ogni modo per migliorare il rilascio di endocannabinoidi potrebbe essere sufficiente correggere la dieta e fare più movimento.
All’incirca l’uno percento del principio attivo assunto dalla madre, poi, essendo il THC solubile nel grasso, finisce nel latte della mammella per giungere al neonato. Anche in questo caso, a parte nelle consumatrici croniche di quantità massicce, non sono stati riscontrati problemi per il nascituro. In natura gli endocannabinoidi sono, infatti, presenti nel latte materno per contribuire alla crescita del neonato.
Sarebbe, quindi, piuttosto l’ora di rendere obbligatorio il buon senso: la coltivazione biologica di almeno un ettaro di canapa per tutti i contadini, forzare le case automobilistiche a costruire macchine che non superano i 130 km orari e imporre le energie alternative per la pulizia dell’aria respirabile nelle città. Forse allora si accorgeranno che un po' di marijuana non ha mai fatto male a nessuno, in modo particolare alle donne.