Marco Tricoma: "un pollice verde (tricolore) in fuga dall’ignoranza"
Interview
Interview
Sono arrivato in Spagna nel marzo scorso per visitare la fiera più in voga nel mondo della produzione cannabica: la Spannabis, evento che si tiene ogni anno a Barcellona, incontro dove convergono gli appassionati più motivati da tutti gli angoli dell’Unione europea. Un grande gala per coltivatori cannabici di ogni tipo.
A margine della fiera stessa che si svolge nel week end, ho approfittato della mia visita per poter incontrare i responsabili di differenti CSC (Cannabis Social Club) e capire come funzionano queste associazioni, come sia organizzata la produzione e come sia curata la distribuzione di erba al socio finale. In particolare, un nostro connazionale ha avuto il tempo e la gentilezza di raccontarmi la sua storia e, attraverso di essa, tanti aspetti di questa realtà così vicina e al contempo così distante dall’ipocrita normalità del Belpaese.
Di Marco Tricoma una cosa sapevo: era un coltivatore italiano emigrato in Spagna al quale mi rivolgevo via social media ogni volta che un mio conoscente online mi chiedeva come poter sperimentare un’alternativa terapeutica a base di cannabis per la propria patologia. Sapevo che nel CSC per il quale Marco lavora, un medico prestava consulenza e quindi ho inviato alcune persone, disperate, a Barcellona per poter provare un rimedio che in Italia è osteggiato, dalla burocrazia, dal prezzo del farmaco e soprattutto per colpa di un pregiudizio culturale che la cannabis si porta dietro da decenni.
Di seguito per i lettori di Soft Secrets, la testimonianza di Marco un cervello in fuga, o meglio un pollice verde in esilio forzato.
Caro Marco finalmente ci conosciamo. Raccontaci un po' come sei arrivato fino a qui e come hai cominciato...
Sono arrivato in Spagna 8 anni fa e dopo un periodo di transizione ho cominciato subito a coltivare. Mi sono recato presso un grow shop per acquistare tutto il materiale necessario e lo stesso ragazzo del negozio, all’inizio mi ha proposto di acquistare direttamente delle talee e subito dopo mi ha offerto di produrle per conto suo in numero illimitato, dicendomi che me le avrebbe pagate 4,5 euro ciascuna. Considerando che una pianta può arrivare a produrre mensilmente dalle 250 alle 300 talee ho fatto due conti veloci e sono entrato nel mondo dei cloni. A questa attività mi sono dedicato per due anni e mezzo. Il problema principale era il trasporto. All’inizio mi muovevo con la metro, ma da quando hanno messo i Mossos d’Esquadra all’interno dei locali della metropolitana ho dovuto optare per il taxi.
Quindi hai fatto della produzione di talee, in particolare e di cannabis in generale il tuo lavoro?
Non lo chiamerei lavoro inteso come sicurezza e stabilità proprio perché quello che faccio è completamente instabile. Potrei dire che la mia attività è più definibile come una vocazione, una passione, piuttosto che un lavoro vero e proprio, infatti io lotto contro qualcosa che non mi va bene. Lavoro contro i governi [NDR. E le loro leggi] e contro parti della medicina attuale. Lavoro per un’educazione onesta sul tema e contro la criminalizzazione di questa pianta. Lavorando in questa direzione credo che la legalizzazione sia poi una naturale conseguenza. La mia passione mi porta anche a impegnarmi per far emergere quel lato della medicina, in questo caso la fitoterapia, che è quanto meno marginalizzato dalle pratiche mediche ufficiali.
Facciamo un breve passo indietro nel tempo. Come hai cominciato in Italia?
In Italia sono partito con il tipico coltivo nascosto nel garage costruito con tutto materiale di riciclo, poi, nel 2000, ho fatto il primo viaggio in Olanda dove ricordo di aver trovato il primo Soft Secrets quando ancora non esistevano in italiano. Quella fu la prima volta che vidi una vera installazione indoor come si deve. Tornato in Italia misi su 20 semi regolari di Cristal e White Widow, delle quali ricordo che alla fine uscirono 1 femmina White Widow e 4 femmine di Cristal. Noi volevamo raggiungere la stessa qualità delle foto di Soft Secrets e alla fine lo abbiamo fatto!
Che tipo di coltivatore ti reputi?
Sono un grower a 360 gradi per 365 giorni l’anno, infatti per chi fa il mio mestiere non esistono festivi o domeniche perché le piante sono come gli animali e hanno bisogno di costante attenzione. Svegliarsi la mattina ed essere felice di aver il dovere di passare delle ore fra le piante, la mia passione, rappresenta per me una sensazione bellissima. Io comunque amo coltivare in generale, oltre alla cannabis lavoro anche con piante aromatiche di tutto il mondo.
Come impieghi il tuo pollice verde qui in Spagna?
Attualmente sono occupato su più livelli. La mia passione personale è occuparmi di genetica come breeder, creando incroci e sviluppando quello che potremmo chiamare il lato ludico della pianta. In particolare al momento sto incrociando SOUR americane su basi KUSH, sempre americane, e sto seguendo un lavoro di incrocio fra Blueberry Haze e Stardawg. L’aspetto sul quale credo sia importante soffermarsi è la longevità della pianta. Molti breeder selezionano la qualità della pianta, ma non la sua longevità e quindi nel tempo le stesse rischiano di perdere proprio le qualità selezionate all’inizio del percorso di coltivazione. Quando, infatti, uno dei due genitori non ha il sesso marcato al 100% la pianta perde potenza col passare del tempo perché smarrisce le qualità selezionate all’inizio. Per come lavoro io prima di mettere una pianta sul mercato ci lavoro sopra come minimo per un anno e mezzo ed in questa maniera posso assicurare una buona stabilità della pianta. Calcola che il primo ciclo di incrocio fra mamma e papà dura 4 mesi, poi ci vuole 1 mese per seccare i semi che rappresentano il nostro F1. Poi si ricomincia a farli germinare, fra gli F1 si seleziona un maschio ed una femmina che rispettino le qualità endogamiche dei suoi predecessori (struttura, fioritura, resina, odore, sapore etc et) che sarà il nostro F2 e così via sino a quando si raggiunge un certo grado di stabilità che significa che l’80-90% delle piante hanno caratterisiche molto similari.
Alcune genetiche posso aver bisogno di arrivare sino a F5 o F6 per poter essere considerat stabili.
Quindi breeder per passione e poi?
Per lavoro coltivo per il CSC “Weed you” del quale sono il direttore della produzione e per il quale forniamo più o meno 3,5- 4 Kg mensili per i soci. Raccogliamo ogni mese perché ci basiamo sull’alternarsi di diverse coltivazioni che ci garantiscono un approvvigionamento continuo. La linea di fertilizzanti che utilizzo è BAC un concime completamente biologico, io coltivo in terra con vasi che vanno dai 5 litri agli 11 litri.
Cosa cambia nel coltivare per un CSC rispetto a chi produce per il mercato nero?
Coltivare per un CSC ti insegna l’etica, intesa come lo scopo per il quale stai coltivando. La differenza fra coltivare per il mercato nero o per un CSC è una sola, nel mio caso la più grande differenza è la cura della qualità del prodotto che nel mercato nero non è una priorità.
E per quel che riguarda le potenzialità mediche della cannabis?
Da 3-4 anni a questa parte ho cominciato anche ad interessarmi alle proprietà più strettamente terapeutiche e così due anni fa ho fondato il progetto del dispensario attraverso il quale il mio scopo è facilitare l’incontro dei pazienti con un rimedio di qualità testato sul campo. In questo lasso di tempo per lo meno 200 persone ne hanno avuto accesso.
Hai pensato a creare delle banche dati in questo senso? Avete pensato di collaborare con medici e ricercatori per sfruttare e mettere in rete queste evidenze aneddottiche?
Sono 5-6 mesi che il medico che ci accompagna in questo percorso sta creando una banca dati di questa sperimentazioni. Personalmente ho provato anche a prendere contatti con l’Università di chimica di Barcellona per proporre una sorta di collaborazione con lo scopo di testare la qualità dei miei prodotti e per avviare un progetto congiunto di monitoraggio degli effetti della cannabis terapeutica. Purtroppo il rettore, nonostante si sia rivelato un interlocutore interessato e sensibile all’argomento mi ha fatto capire che questa collaborazione non avrebbe potuto cominciare visto che il THC è comunque una sostanza illegale.
Quali sono i prodotti che i soci trovano nel dispensario?
La tintura di THC dal 3-al 6 % circa con un’estrazione eseguita con butano e decarbosilizzata successivamente per rendere il THC attivo. Questa tintura è destinata a persone con dolore cronico, soprattutto anziani e per persone con tendenza alla depressione, con problemi di appetito o di affaticamento.
Abbiamo poi la tintura alla “Rick Simpson oil” estratta da piante di Moby Dick e Amnesia Haze. Ho adottato in questo caso una cannabis molto ossidata (che contiene proporzioni di cannabinoidi narcotici in maggior concentrazione come CBG/CBD/THCV) e quindi consiglio questo rimedio come terapia più fisica, destinata a chi soffre di spasmi, come anticancerogeno e come medicina palliativa per mitigare gli effetti collaterali della chemio e radio terapia o, per finire, nel caso di malattie neurodegenerative dove effettivamente riscontriamo i risultati più positivi.
Infine abbiamo la crema topica preparata a base di olio di oliva e olio di mandorle dolci con l’aggiunta di cera d’api naturale per ottenere la giusta consistenza è antidolorifica, ottima nelle scottature, antisettica e un antinfiammatorio spettacolare nel trattamento della psoriasi.
Come nasce l’idea di questo dispensario?
L’idea è quella di stimolare il paziente ad autoprodurre questo tipo di rimedi o comunque stimolare la sua curiosità verso questo tipo di soluzioni che purtroppo rappresentano ancora solo una medicina alternativa di nicchia.
Ma riassumendo tu sei un grower che produce medicine a base di cannabis?
Attenzione: io non ho nessuna autorità per parlare da medico, mi sento più un alchimista. Proprio per questa ragione, una volta al mese presso il club, viene un vero medico che segue il mio lavoro. Quello che posso dire è che tutto quello che racconto proviene dalla mia esperienza personale applicata a numerose persone che frequentano il club. Io non voglio assolutamente illudere nessuno ne tantomeno magnificare la cannabis oltremodo, quello che io faccio è fornire prodotti di qualità per proporre un’alternativa utile ai vari fallimenti della medicina ufficiale.
Cosa manca affinché il tuo lavoro abbia un riconoscimento ufficiale?
Una legge onesta che certifichi che la cannabis è una medicina e una classe politica e medica che si faccia realmente carico della salute e del benessere del cittadino. Fino a quel momento i miei rimedi sono utili solo a chi ha la curiosità o la disperazione per provarli.
Cosa cambia fra il nostro paese e questa parte della Spagna, per chi si vuole curare con la cannabis?
La cannabis in Catalogna è tollerata e non penalizzata. Io ad esempio in due processi ho a carico quasi 1000 piante, dichiarate per il mio uso personale terapeutico, per fare le mie estrazioni, e dovrebbe finire con una multa mentre in Italia sarebbero anni di detenzione. A me non faranno molto perché ci sono già stati altri casi di livello nazionale come il caso Pannagah nei quali erano state richieste pene sino a vent’anni e multe superiori ai 2 milioni di euro che si è invece concluso recentemente con la totale assoluzione.
Quali sono le tue soddisfazioni?
A parte la prima volta che le mie piante sono venute come quelle nelle foto di Soft Secrets, quello che mi interessa è fare quello che mi piace, ho capito che bisogna muoversi per se stessi e mi sento più libero sia a livello di orari che di testa .
Vuoi rivolgere un messaggio conclusivo ai nostri lettori e agli attivitsti cannabis in Italia?
Vorrei dire agli attivisti italiani di spingere da tutti i lati, insieme e uniti per raggiungere il risultato.