Il coltello dalla parte del manico
In questo paese proibizionista dalla morale pubblica impicciona e dalle libertà individuali messe sotto scacco da bieche rivalse ideologiche e legislative, accadono situazioni e si verificano eventi che meritano di essere discussi.
In questo paese proibizionista dalla morale pubblica impicciona e dalle libertà individuali messe sotto scacco da bieche rivalse ideologiche e legislative, accadono situazioni e si verificano eventi che meritano di essere discussi.
In questo paese proibizionista dalla morale pubblica impicciona e dalle libertà individuali messe sotto scacco da bieche rivalse ideologiche e legislative, accadono situazioni e si verificano eventi che meritano di essere discussi. In Italia l’apparato giudiziario e la forza pubblica svolgono il proprio ruolo con assoluta predominanza e spesso impunito arbitrio nei confronti del cittadino. Questo è il punto. Il disequilibrio fra cittadini, agenti e magistrati. E per un giudice che abusa del proprio potere e per ogni agente che compie una prepotenza nascondendosi dietro la divisa, c’è un cittadino che inghiotte amaro il sapore consapevole del sopportare chi ha il coltello dalla parte del manico. Gli italiani, popolo eccelso e allo stesso tempo succube del proprio destino e delle proprie istituzioni.
Nel migliore dei paesi che ci sia, infatti, il complesso intrico di istituzioni che regolano la vita pubblica ha il compito primario di agevolare l’equilibrio sociale, smorzare e ascoltare le sempre diverse e sempre nuove tensioni e lavorare per organizzare al meglio (per la maggior parte dei cittadini, potendo per tutti) una convivenza dove il singolo è libero in quanto membro di una società. C’è qualcosa in comune fra tutti. Il cittadino segue le regole come le seguono i suoi governanti. Ecco la democrazia: il meno peggio e il molto meglio.
Tornando alla dimensione italica, il concetto è semplice: la magistratura libera e indipendente, fondamento della nostra democrazia, assume spesso e volentieri nel suo modus operandi dei tratti che di democratico hanno ben poco. O meglio, questi stessi metodi democratici applicati in un paese come il nostro non tutelano abbastanza chi del coltello vede solo la lama.
Il mondo dell’antiproibizionismo si deve regolare, e si regola ogni giorno, con questo dato di fatto. Leggi complicate e dalla terminologia astrusa ed appositamente evasiva, pubblici ministeri che conoscono poco e malvolentieri la legislazione del settore, giudici che interpretano la legge ad assoluta discrezione, pene di gravità assoluta, impossibilità di ottenere risarcimenti, sequestri indiscriminati e dissequestri ignorati e per finire, detenzioni come se fossero caramelle.
Il problema è che tutto ciò avviene nella legalità democratica. Nessuna legge violata, l’arbitrio del magistrato è supremo ad ogni mora. Con il clima politico che tira poi, alcuni magistrati – tipo Markus Mayr del foro di Bolzano quello che ha accusato rozzamente i ragazzi di Semitalia di reiterare il reato di istigazione alla coltivazione – hanno sposato la causa proibizionista (la caccia alle streghe) e impugnata la spada della giustizia brandiscono a destra e manca la lama del proprio privilegio. Quello di giudicare senza essere giudicati. Giudicare senza essere sottoposti a giudizio. Liberi e indipendenti. Liberi di commettere errori e reiterarli senza alcuna conseguenza, che non sia, per quel che vale, disciplinare, e quindi di casta. Giudici che giudicano giudici. Una garanzia nella forma e non certo nella sostanza, perché è del tutto evidente che il cittadino che ha subito un torto non viene certo risarcito da un’azione disciplinare nei confronti del giudice colpevole.
Il caso di Semitalia è fra i più famosi: un’azienda distribuisce semi di canapa all’ingrosso in tutta Italia, attività legale e alla luce del sole. I proprietari vengono accusati di istigare alla coltivazione. Vien da ridere ma è tutto vero. Se il prodotto che vendo è legale come posso essere accusato di istigare persone maggiorenni e vaccinate solo perché descrivo, come ogni buon commerciante, il prodotto che distribuisco? Vengono assolti nel novembre 2008. Il fatto non sussiste. Passa un anno e mezzo e si procede nuovamente per istigazione, con l’aggravante della reiterazione del reato. Attività sequestrata, quindi galera. E dopo un anno e due mesi arriva, lo scorso 1 giugno, la seconda assoluzione.
In questo caso però, non è il giudice che reitera un accanimento giudiziario nei confronti di imprenditori che lavorano? In caso positivo non sarebbe giusto risarcire queste persone e per la galera fatta scontare senza motivo e per il danno economico dell’attività sequestrata? Il giudice prima di procedere non era a conoscenza della precedente assoluzione? Un giudice che incrimina un cittadino per un reato nel quale è già stato prosciolto, non dovrebbe procedere con molta molta cautela? Nulla di tutto questo, chi fa il bello e cattivo tempo non ha il problema di dover rendere conto del proprio operato. Il cittadino si lecca le ferite e il magistrato sposta la propria attenzione altrove. Nel frattempo però, nessuna regola democratica impedisce che in futuro, prima di sequestrare un'attività e arrestare i titolari per le medesime imputazioni, un magistrato abbia il dovere di conoscere le carte dei processi affrontati in passato e risolti con assoluzione. Tra l'altro se un magistrato ipotizza un reato e cerca di accertarne la sussistenza (al di fuori di ogni ragionevole dubbio) deve mettere in campo le risorse che lo Stato e le sue istituzioni prevedono: comunicazioni giudiziarie, mandati, notifiche, polizia giudiziaria. Questo impiego ha un costo che viene sobbarcato dalla società tutta, anche dalle stesse persone perseguite. E allora non c'è bisogno di porre un limite all'azione della magistratura quando è evidente che sta impiegando le risorse a sua disposizione in procedimenti che si risolvono in un buco nell'acqua? La tiritera è un po' quella che il vecchio Silvio non perde mai occasione di raccontare: una democrazia pilotata dalla magistratura deviata. Non si tratta certo di questo, ma c'è per davvero chi può fare il bello e il cattivo tempo con la vita della gente qualunque, senza aver timore di patire una qualunque conseguenza.
Giudici senza timore, cittadini senza protezione. Giudice timorato, cittadino più tutelato.