Cannabis e malattie autoimmuni

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06 Jun 2014

Uno studio dimostra il potenziale terapeutico del THC nelle malattie autoimmuni


Uno studio dimostra il potenziale terapeutico del THC nelle malattie autoimmuni

Il principio attivo della marijuana ha mostrato un potenziale nel trattamento delle malattie autoimmuni come artrite, lupus, colite, sclerosi multipla e simili. Tutte condizioni in cui l'infiammazione cronica gioca un ruolo centrale. Lo studio


 

Si parla ancora della marijuana, e dei suoi princìpi attivi da sempre dibattuti.
Allo stato attuale, questo farmaco vegetale è utilizzato regolarmente e con discreto successo nell'alleviare gli effetti collaterali della chemioterapia come nausea e vomito, o nel contrastare la sindrome da deperimento che causa in alcuni pazienti affetti da AIDS la perdita di una quantità significativa di peso e di massa muscolare. Si utilizza anche per alleviare il dolore cronico che non risponde agli oppioidi e altre applicazioni ancora.

Un nuovo studio, ora, pone l'accento sulla possibilità che con la marijuana si possano combattere le malattie autoimmuni come, per esempio, artrite, lupus, colite, sclerosi multipla e simili. Tutte condizioni in cui l'infiammazione cronica gioca un ruolo centrale.

 

Ad aver esplorato le nuove potenzialità del THC - il primo principio attivo della marijuana - sono stati i ricercatori dell'Università della Carolina del Sud, dottori Mitzi Nagarkatti, Prakash Nagarkatti e Xiaoming Yang. Il team di ricerca ha condotto uno studio, pubblicato sul Journal of Biological Chemistry, in cui hanno scoperto un nuovo percorso attraverso il quale la marijuana può sopprimere le funzioni immunitarie del corpo.
Il lavoro dei ricercatori si basa sulle recenti scoperte scientifiche che suggeriscono come l'ambiente in cui l'uomo vive possa effettivamente innescare cambiamenti che si verificano al di fuori di DNA umano, ma che possono comunque causare alterazioni della funzione dei geni controllati dal DNA e modifiche a carico del DNA stesso o delle regioni che lo circondano.

Queste molecole e fattori esterni che hanno la capacità di alterare la funzione del DNA sono conosciuti collettivamente come epigenomi - e l'epigenetica è la scienza che studia questo fenomeno.

In questo studio, i ricercatori hanno voluto scoprire se il tetraidrocannabinolo (THC) presente nella marijuana avesse la capacità di influenzare l'espressione del DNA attraverso percorsi epigenetici al di fuori del DNA stesso. Il THC, come dimostrato da studi recenti, può modificare le molecole critiche di epigenomi chiamate istoni (proteine legate al DNA), portando alla soppressione dell'infiammazione.

Ecco pertanto come un'azione sul sistema immunitario, all'apparenza negativa, possa in realtà avere un potenziale terapeutico nelle malattie autoimmuni, riducendo l'infiammazione che è altresì implicata nell'esordio di questo genere di patologie.

 

 

Fonte: La Stampa

 

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